Delle due, non saprei dire cosa sia peggio.
La scoperta (e già scoperta è una parola grossa) della pratica diffusa negli atenei di alcune grandi città italiane, di affiancare agli studenti in sede di esame di ammissione un professionista che potesse loro fornire le risposte giuste ci dà un quadro della situazione universitaria nazionale assolutamente pessimo.
Aggravato dal fatto che i suggeritori truffaldini – tutti seri professionisti – fossero in qualche maniera consorziati in organizzazione finalizzate a falsare gli esami.
Ma d’altra parte, l’indignazione ventilata da alcune parti è al meglio sospetta, al peggio ridicola.
Il fatto che esami e test di ammissione e concorsi siano manipolati in modo da favorire questo o quel candidato è fatto noto ed acquisito che tutto il personale dell’università pare ben felice di ammettere in privato, salvo poi strapparsi pubblicamente le vesti davanti alla cattiva pratica.
Passi la disonestà – in fondo apparteniamo ad una cultura che venera l’avidità come tratto positivo del carattere.
Ma l’ipocrisia è un vizio odioso.
D’altra parte, considerando in che modo un grosso ateneo italiano si chiuse, anni addietro, in difesa di chi aveva sparato a caso da una finestra per vedere che effetto facesse, avremmo dovuto aspettarcelo.