strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Sei ciò che indossi

6 commenti

Potenza del blog – uno lascia un commento così, a cuor leggero su un blog altrui, poi ci ripensa, e si dice che, sì s’, a cuor leggero finché ti pare, ma poi…
Pork chop express.

https://i0.wp.com/www.mycatwalk.com.au/pages/Resources/birds8dc.jpegSu Speculum Maius compare un sinistro raffronto fra l’immagine della maestra così come presentata da due libri di lettura per la scuola elementare, uno del 1951 ed uno del 2006.
Per difficoltà di copia-incolla, vi rimando al post nello specifico per leggervi i due succosi paragrafi e tutto il post che li avvolge.
La transizione, in 55 anni, è da un’immagine beatificata e un po’ leziosetta dell’insegnante “anima della scuola” ad uno sproloquio falso-giovane (scritto da qualcuno che non ha idea di come parlino i ragazzini veri) nel quale si sottolineano l’aspetto fisico ed il look sportivo della nuova maestra.
Che porta i jeans e la coda di cavallo e quindi è “ganzissima”.

Da cui il mio patetico commenticolo, che diventa il titolo di questo post.
È il ventunesimo secolo, siamo ciò che indossiamo.

Poi però ci penso su e ricordo di essermi sentito domandare, nel bar dell’albergo dove di solito faccio base per i miei corsi all’Università di Urbino, se io fossi un autista di pullman.
https://i0.wp.com/www.doctor-fashion.com/public/images/scacchi-verde.gifLe scarpe da corsa, i jeans, la camicia di flanella da boscaiolo su una t-shirt blu… decisamente sovrappeso.
Evidentemente working class.
Manca solo il cappellino da baseball con il logo di una marca di trattori….
La domanda sul mio impiego (ma perché poi?) arriva da una direttrice di sala gelida e superiore, l’interrogativo appena accennato, il sopracciglio inarcato come il signor Spock.
E allora no, ci son soddisfazioni che ogni tanto ci si può prendere. “No, madame, sono un docente universitario.”

Succede anche spesso che io venga scambiato per studente.
Ma questo casomai lusinga la mia vanità e l’immancabile desiderio di giovanilismo di chi ha superato la quarantina.
Prossima tappa – la spider rossa e la fidanzata diciannovenne.

https://i0.wp.com/www.ecopromogifts.co.uk/downloads/lowres/Miscellaneous%20Accessories/yoyo.jpgÈ la camicia di flanella, credo.
O la camicia aloha che porto anche in classe nel periodo estivo.
O la cronica assenza di cravatta – che quando è presente (è comodissima per appenderci il microfono) è comunque di solito piuttosto eterodossa.
D’altra parte in aula io vado per un look californiano…

Non credo sia lo yo-yo – col quale mi sono quasi certamente bruciato ogni credibilità da studente ma col quale non ho più l’abitudine di giocare quando sono in coda in ristoranti o locali pubblici.

Certo comunque è che tutta quella faccenda di abiti e di monaci andrebbe rivista, ed alla svelta.
Perché se incrinare il sorriso di una cameriera in carriera che si crede una duchessa è una magra soddisfazione da pardente che ci si può concedere una volta l’anno, in generale essere giudicati per come sembriamo è peggio che fastidioso.
È pericoloso.
Ma lo stiamo insegnando ai bambini.
Il mio maestro è ganzissimo perché fa sport e porta il giubbotto azzurro…

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

6 thoughts on “Sei ciò che indossi

  1. Ti sarò eternamente grata per il “sinistro raffronto” 😀 Mi piace da morire. Mi fermerei a disquisire ulteriormente ma mi attendono a Foggia e scappo via…
    Ciao

  2. Io ho un hanten (una specie di casacca) ricevuto, credo, a Yokohama lo scorso anno con scritto sulla schiena “spirito combattente”. Quasi quasi durante le lezioni me lo metto…

  3. Di fatto, i contenuti dovrebbero avere la precedenza sul contenitore – nel senso che il look non conta nulla se poi ai ragazzi non dai nulla.
    Certo, c’è la questione del rispetto per chi ti sta davanti – ho subito la mia percentuale canonica di docenti universitari con maglioni dotati di vita propria e tasche piene di polvere di gesso per poter apprezzare una giacca ed una cravatta – ma se quello non sei tu, è inutile che cerchi di esserlo.

    Sarebbe la prima cosa da chiedere di un insegnante, no – che sia se stesso.
    Altrimenti, cosa ci si può aspettare?

  4. La qualita’ di quello che si insegna dovrebbe senza dubbio essere l’elemento centrale. Poi, per gli eventi mondani, ci si puo’ pure vestire bene, ma li’ si esula dalla didattica.
    Una certa immagine puo’ affascinare gli allievi e chi ascolta, ma deve essere accompagnata da una grande capacita’ di insegnamento, altrimenti siamo alla scuola delle veline…

  5. psst!… la barba fa parte — può far parte — dell’abbigliamento? perché alla cravatta e alla giacca — almeno durante gli appelli estivi — rinuncio già volentieri (anzi, mi munisco in cambio di un marsupio con su scritto ‘wolfskin’ o qualcosa del genere: una sorta di cintura da berserk), ma alla barba come si fa?

  6. Bella l’idea del marsupio da berserker…

    Quanto alla barba, ah, non saprei.
    Il testo sulle maestre, molto opportunamente non menziona barbe di sorta.
    Per la docenza a livelli superiori… mah!
    Bisogna vedere come la “leggono” i clienti… segno di conservatorismo accademico un po’ tromboniano? Marchio dell’integralista? Celebrazione mentale (nel senso del mento) di Castro, di Marx, di Orson Welles, di Sandokan…?

    E se fossero solo fedine?
    Favoriti?
    Mustacchi?

    Ecco, sarebbe così bello vivere senza dover cercare di dedurre ciò che i nostri superficiali interlocutori potrebbero dedurre dai nostri abiti, tagli di capelli e pelami assortiti….

    “Come vede, dottor Watson, il cappotto gli si è aperto nel mezzo della schiena, chiaro segno che non è della sua misura, e se lo deve essere fatto prestare per l’occasione da un amico….”
    [citando a braccio da “The Adventure of the Dorset Street Lodger”]

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