Lungo post, la notte passata, sul blog di David Brin, che per una caso di pura sincronicità si ricollega ad un post scovato in India pochi giorni or sono, e stimola un pork chop express.
Si celebra questo mese il cinquantesimo anniversario della famosa Rede Lecture di C.P. Snow, nella quale venne delineata per la prima volta in maniera precisa la divisione delle Due Culture, sulla base di differenti linguaggi, differenti atteggiamenti mentali, differenti assunti di partenza.
A partire da quella conferenza si cominciò a delineare l’idea di una Terza Cultura, che potesse fungere da ponte fra le due – in modo che umanisti e scienziati potessero essere in grado di comunicare.
Pare che non abbia funzionato.
Oh, badate, la Terza Cultura esiste, sta bene e vi saluta tutti.
Il piccolo problema è che non si tratta della Terza Cultura ipotizzata da Snow.
Non è insomma il punto d’incontro di umanisti e scienziati, sulla base di un linguaggio e di una impostazione mentale comune.
Il motivo?
Semplice: gli umanisti si sono rifiutati di giocare.
Perciò, come sottolinea il profeta della Terza Cultuta, John Brockman
The third culture consists of those scientists and other thinkers in the empirical world who, through their work and expository writing, are taking the place of the traditional intellectual in rendering visible the deeper meanings of our lives, redefining who and what we are. Increasingly, The Third Culture has moved into the mainstream and the questions it is asking are those that inform us about ourselves and the world around us.
Il fatto che si siano rifiutati di giocare, naturalmente, non impedisce agli umanisti di essere incacchiati come furetti alla perdita (o minaccia di perdita) di quello che hanno sempre considerato un proprio primato.
Il fatto che scienziati – rudi meccanici che passano le proprie vite a scrutare il moto degli astri o a contare animali morti – possano esprimere opinioni su filosofia, arte o cultura, arruffa loro le penne in maniera egregia, e chiunque abbia incontrato nella sua vita un tacchino infuriato si rende conto di quanto pericoloso possa essere un laureato in lettere col panico che un chimico gli possa portar via il giocattolo preferito.
A partire da queste considerazioni, Brin ci mette del suo
High-end scientists do tend to be vastly more agile and forward-looking thinkers, than their counterparts in almost any other field of endeavor. Instead of narrowly-specialized “boffins,” those at the top of their fields seem to be smarter, more-broadminded and deeply curious than anyone else alive. The reason for this is so astonishingly simple that it seems to have escaped notice. It has nothing to do with any intrinsic superiority of scinetific minds.
Il motivo, spiega Brin, è da ricercarsi probabilmente nell’impegno che una carriera in ambito scientifico richiede.
Non ci si può occupare di scienza nel tempo libero – mentre altri interessi, parimenti dignitosi, e riferibili alla sfera delle humanities possono trovare spazio nel tempo libero.
Indeed, nearly all of the top scientists I’ve met (and I know many) also nurtured impressive artistic hobbies and passionate avocations, at near-professional levels. They bridge the gap not as invaders from science but as brilliant people who never accepted the existence of any gap, in the first place!
Insomma, se gli umanisti si sono rifiutati di giocare, è anche molto probabile che gli scienziati abbiano accettato inconsapevolmente di giocare e – essendo gli unici in campo – abbiano vinto per questo motivo.
Meanwhile, the intellectual curse of vapid, simpleminded postmodernism has been slow to dissipate from hundreds of university English, Literature and social studies departments. One symptom of this obdurate troglodytism has been the refusal of all but a dozen U.S. universities to pay more than nodding attention to science fiction, the most exploratory and truly American of all genres. Another diagnosable illness is the slavish devotion that so many have pledged to the rigid storytelling tropes that Joseph Campbell called “fundamental” to myth.
Ma a parte questa simpatica polemica che è garantita per andare contropelo alla manciata di allegri umanisti (ostinati trogloditi tutti quanti, ma in fondo benevoli) che talvolta hanno la ventura di capitare su questo blog, ciò che mi interessa in particolare del post di David Brin è l’idea che un sistema educativo che permetta agli studenti “orizzonti laterali di interesse” – o, se preferite un termine meno idiosincratico, un sistema che favorisca l’interdisciplinarità – sia preferibile ad uno che tenda ad approfondire un ambito ristretto e specialistico.
Da questo punto di vista, sulla carta per lo meno, il sistema americano risulta superiore a quello europeo – che tende ad avere corsi di laurea più focalizzati e approfonditi.
Non stiamo qui a discutere dei meriti di Harvard rispetto ad Oxford o altre simili baggianate – anche il sistema universitario italiano, sulla carta è un capolavoro, epoi si rivela essere una bolgia infernale nella pratica.
Parliamo dell’impostazione mentale.
È in fondo una questione della forma che si vuole dare alla propria cultura – se ampia e superficiale o profonda ma ristretta.
Possiamo ammettere senza campanilismi che, in ambito scientifico, l’Europa forma degli eccellenti specialisti (che non per nulla stanno popolando i laboratori del globo) mentre gli Stati Uniti producono degli eccellenti generalisti, dei validi mediatori interdisciplinari.
L’ideale, ovviamente, sarebbe una competenza a forma di T – ampia e approfondita.
Ma costa – in termini di tempo, impegno, danaro.
E spesso viene scoraggiata.
Qui da noi, ad esempio.
Attivamente.
Se per lo studente delle elementari e delle medie è male avere troppa immaginazione, per lo studente universitario è male avere troppi interessi.
Specie se questi interessi hanno un carattere extracurricolare.
È forse anche per questo – la butto lì tanto per stimolare la polemica – che i buoni scrittori di fantascienza, in Italia, si contano sulla punta dei pollici – perché chi si è costruito una solida cultura scientifica (il bacino principale di sviluppo della maggior parte dei grossi nomi della SF anglosassone e non solo) è stato attivamente scoraggiato a frequentare anche ambiti “artistici”.
Ed è forse sempre per questo motivo che molti di coloro che si occupano professionalmente di fantascienza dimostrano un curioso disprezzo – o per lo meno un’aria di superiorità ingiustificata – nei confronti del loro genere d’elezione.
E per cambiare registro – è forse per quessto che il livello qualitativo dell’insegnamento, a tutti i livelli, è spesso tanto scarso: aver passato sei anni in università a tritare integrali tripli non è una garanzia di essere in grado di spiegare la matematica a degli adolescenti in piena tempesta ormonale.
Ma che si tratti di creare scrittori di fantascienza, comunicatori e divulgatori che non addormentino il pubblico o scienziati in grado di collaborare con esponenti di altre discipline, le cose non sembrano destinate a cambiare alla svelta – per lo meno nel nostro paese.
Se è vero che la Terza Cultura ha ormai vinto (semplicemente facciamo fatica ad accorgercene), è anche vero che nel nostro paese è stata picchettata e opzionata da pochi nomi celebri, con opportuno catalogo di noiosi bestseller, mentre il suo sviluppo viene attivamente scoraggiato in ambito accademico.
L’ostinato trogloditismo di cui parla Brin non è quindi appannaggio esclusivo dei docenti di materie umanistiche, ma di tutta la classe accademica (con le solite, poche eccezioni).
Mummificati e intombati.
Tutti presi da lunghe e vuote discussioni sull’eredità culturale di questo o quel riformatore che novant’ani or sono impose una sua visione alla cultura, e quella è rimasta, in altezzosa ignoranza dei cambiamenti avvenuti nel mondo reale.

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10 Maggio 2009 alle 12:03 PM
Poh, poh, poh… premesso che questa mia non intende essere una difesa d’ufficio di nessuno (e tantomeno del sottoscritto, che è piuttosto un disumanista), tenderei piuttosto a un certo disincanto: moda, soltanto moda. Nessuno fugge e nessuno incalza. Semplicemente, la retorica delle Scienze – e delle Tecniche, con le quali le prime vanno a braccetto nell’opinione dei polloi (che nessuno equivochi, per carità!) – conosce attualmente maggior fortuna rispetto a quella delle discipline ‘umanistiche’ tradizionali. Tutto qui. Quanto alla capacità di dialogo… qui in Italia ne furono ottimi testimoni Calvino, P. Levi, e poco prima di loro l'”ingegner fantasia”, il buon Gadda (che più umanista di lui, nonostante la formazione ‘meccanica’… ). Saluti a tutti.
10 Maggio 2009 alle 12:20 PM
Ma è semplicemente retorica?
Ora, dopo lunghe nottate passate a discutere di scienza con amici di solida estrazione umanista, mi pare che questa della retorica rimanga la questione centrale.
Generalizzando (il che è sempre male, ma spesso necessario) l’atteggiamento dominante negli elementi provenienti da Palazzo Nuovo pare essere quello di considerare qualsiasi argomento scientifico da un punto di vista puramente retorico – per cui, se io affermo che l’acqua bolle a cento gradi al livello del mare, loro si sentono comunque sicuri di poter sostenere la tesi opposta, o una qualsiasi tesi alternativa, trattandosi in fondo solo di retorica, di chiacchiere amantate di autorità , utili per abbindolare i gonzi ma aperte a qualsiasi rimaneggiamento.
Ma non è così.
Ora, l’esempio dell’acqua calda è volutamente elementare – ma la semplice considerazione che le affermazioni scientifiche siano basate su fatti e osservazioni li lascia del tutto indifferenti.
Si tratta solo, per costoro, di retorica, appunto.
È questo uno dei punti incui io trovo difficile conciliare le due culture, e dove la terza, sul versante umanista, casca nel nulla.
Certo, con tutte le debite eccezioni.
O magari sono io che frequento principalmente ostinati trogloditi 😉
10 Maggio 2009 alle 2:05 PM
“[…] se io affermo che l’acqua bolle a cento gradi al livello del mare, loro si sentono comunque sicuri di poter sostenere la tesi opposta”.C’è retorica e retorica — non è una brutta parola, la si può usare senza tema di essere accusati di affabulazione-fine-a-se-stessa –, e quella delle Scienze è, appunto, la retorica della verità scientifica. Che non si può scalzare, naturalmente, attraverso la manipolazione più o meno abile di sofismi (cattiva retorica), ma che è rischioso considerare superiore, il non plus ultra dell’umana saggezza. Ora, ciò che molti ‘scienziati’ tendono a fare è appunto fornire un giudizio di valore: la nostra è l’ultima parola, il giudizio inappellabile (che potrà semmai esser mutato soltanto attraverso un nuovo giudizio scientifico), ecc. ecc. Il campo di battaglia tra questo genere di arte della parola ‘vera’ e quella, diciamo, di matrice più strettamente antropologica pare attualmente essere costituito dalla religione (l’ambito di un altro genere di verità rispetto a quella scientifica: la verità di fede), che suo malgrado si trova a rivestire il ruolo di ‘punta avanzata’ del fronte ‘umanistico’ — in sé una sciocchezza. E’ però significativo il fatto che, invece di irridere i creazionisti per le loro mattane (il che è un po’ come sparare sulla Croce Rossa, dal punto di vista ‘scientifico’), assai raramente gli ‘scienziati’ si dedichino alla ‘pars construens’ di una positiva dialettica tra le ‘culture’ — e, che io sappia (ma posso sbagliare: non ho fatto una ricerca sul blog) neanche tu hai mai citato nemmeno una volta gli studi di gente come Santillana e la Dechend, che dal MIT bostoniano si occupavano di creazione e di miti consimili con un interesse che non indulgeva a facili polemiche di sorta… sbaglio? 😉
10 Maggio 2009 alle 4:30 PM
Non spostare l’argomento della discussione.
Io mai ho parlato di religione nel lungo post qui sopra, e di fatto non era questo il tema attorno al quale ruotavano le mie riflessioni.
Lo stesso Brin, citato ampiamente, parla di fantascienza, e di attacamento a certe forme basilari di narrativa da parte dell’establishment critico/accademico.
E per quanto io ami la fantascienza, non ne ho ancora fatta una religione 😉
Ma per restare al giudizio di valore, perché gli unici autorizzati a fare simili affermazioni sarebbero gli specialisti in materie umanistiche?
Perché la verità dovrebbe essere materia dei filosofi e non degli scienziati?
10 Maggio 2009 alle 6:21 PM
Non ho mai avuto l’intenzione di affermarlo… e poi, come diceva quel tale che disbrigava gli uffici di procuratore imperiale in Giudea (brutto posto… ): “Che cos’è la verità?” Pare che alla domanda non abbia risposto né ‘a’ né ‘ba’ neppure il fondatore della setta galilea 😉
10 Maggio 2009 alle 7:49 PM
Potrei richiedere un passo indietro, please? Se non ho capito male, da una parte abbiamo gli umanisti e dall’altra gli scienziati. Giusto?
In che cosa si distinguono gli uni dagli altri nel nostro immaginario? E non è una battuta. Credo che ci siano delle epoche che ci costringono un attimo a fare il tagliando alle nostre definizioni…
10 Maggio 2009 alle 8:45 PM
Mi vengono in mente un sacco di risposte taglienti, ma poi Celiovibenna mi danna 😉
Seriamente, e sbrigativamente, personalmente non vedo tanto una differenza di ambiti di pertinenza (ma hey, io sono un membro attivo dela Terza Cultura), quanto di metodologie.
A livello basilare, gli scienziati hanno gli esperimenti e il metodo Galileiano, gli umanisti no.
Il fatto che talune materie attinenti all’ambito umanistico abbiano cercato di emulare il metodo Galileiano è fuorviante – si tratta appunto dell’assunzione del metodo scientifico a forma di retorica.
10 Maggio 2009 alle 9:01 PM
… che saranno comunque, inevitabilmente, definizioni che lasciano il tempo che trovano. Cercherò di dire la mia, benché — come giustamente asserisce il nostro ospite — incorrere in generalizzazioni offra sempre un margine piuttosto ampio di scorrettezza e di approssimazione: potremmo però dire, grosso modo — e fenomenologicamente parlando — che, se da una parte abbiamo una cultura (quella ‘scientifica’) che si fa corifea di un modo di conoscere privo di preconcetti, dall’altra avremo di necessità un pensiero, quello ‘umanistico’, che non potrà a questo punto che farsi paladino di forme di conoscenza tradizionali (quali la filologia, la filosofia o la sua versione ‘volgarizzata’, la religione). Mi pare insomma, in soldoni, la vecchia opposizione tra progressisti e conservatori, tra una ‘sinistra’ scientifica e una ‘destra’ umanistica. Corsi e ricorsi ideologici, e poco altro.
10 Maggio 2009 alle 9:05 PM
uh-oh, scusate… tentavo un approccio diretto con Maria grazia, ma il padron di casa ci ha separati appena in tempo… 😀
10 Maggio 2009 alle 9:27 PM
Non permetto approcci diretti alle signore sul mio sito.
Per certe cose ci sono servizi web appositi.
Interessante comunque notare come le nostre due definizioni, in fondo, sottolineino in fondo le differenze fra le due culture.
Pur essendo noi entrambi rappresentanti della Terza.