strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Le Pesche Dorate di Samarcanda

6 commenti

The Golden Peaches of Samarkand, di Edward H, Schafer, menzionato en-passant da un amico versato nelle lettere classiche durante un vecchio scambio di mail, dopo breve indagine si è rivelato come un fondamentale pezzo mancante nella mia ormai piuttosto ricca collezione di dotti saggi relativi alla Via della Seta ed al traffico di uomini, merci ed idee fra Est ed Ovest nei tempi antichi, un interesse stimolato – bando alle pretese intellettualoidi – dall’aver letto troppe volte le Mille e Una Notte, ed aver giocato troppo a Prince of Persia e, quand’ero ancora utente Windows, a Silk Road.

Pubblicato nel ’63 dall’Università della California, il volume è oggidì disponibile per una ventina di euro in ristampa (del ’98) tramite il solito Amazon, ma una serie di considerazioni mi portano a cercarlo a meno.
C’è la tirchieria di fondo, naturalmente.
Poi, la soddisfazione di trovare a sei euro un libro che ne costa venti.
L’alibi pseudo-ecologico che riciclando libri usati limitiamo la necessità di tagliare alberi per afre altra carta.
Il vezzo pietoso di voler dare una casa aun volume vetusto che ha servito bene i suoi antichi padroni, ed ora viene scartato.
Il piacere di leggere nelle rughe e nelle imperfezioni del testo usato la sua storia, scoprendo annotazioni, monogrammi, firme e altre tracce dei precedenti proprietari.
E poi, visto il tema del volume in questione, il piacere di contrattare, di tirare sul prezzo, di scucire il buon affare.

Il lavoro di Schafer è infatti una lunga, dettagliata, coltissima disamina di tutte le importazioni “esotiche” dell’Impero T’ang, colossale stato cinese che per tre secoli si nutrì di pesche dorate di Samarcanda, appunto, si circondò di maghi e acrobati arabi, di schiave circasse, riempì i propri serragli di leopardi delle nevi tibetani e manguste indiane, importò coralli mediterranei, libri bizantini, vino dalla Palestina, spezie da Ceylon.
Il ritratto che se ne ricava è meraviglioso e sorprendente, altamente istruttivo.
Non si tratta del primo libro di questo genere sul mio scaffale, ma certo è il più approfondito, ed il più dettagliato.

Ci son voluti alcuni mesi, ma poi un contatto con un ex paracadutista acrobatico canadese che sta in Florida mi ha messo sulle tracce di una ristampa del ’97 del volume, in condizioni eccellenti, per circa un sesto del prezzo di copertina.
Un terzo di quel che verserò andrà in beneficenza, aggiunge.
Perfetto.
L’attesa è stata lunga, ma premiata dalla soddisfazione di stringere ora fra le mani un volume perfetto, esposto al pubblico l’ultima volta il 14 ottobre 2002, mi dice la sbiaditissima etichetta del magazzino, quando il volume costava la bellezza di 30 dollari e 95 centesimi.

L’esperienza sarebbe stata certamente migliore, naturalmente, se qualche doganiere sospettoso, nel trovarsi fra le mani un pacchetto di carta gialla che pesa come un libro, ha le dimensioni di un libro e reca sulla busta la dicitura “Libro”, non fosse stato colto da un attacco di paranoia galoppante e, in preda al dubbio di quale pericoloso oggetto potesse contenere la busta, non si fosse lanciato in quella che dev’essere stata la più approfondita ispezione doganale del 2009.
Lacerata la busta, e poi rimessa insieme con un bell’elastico giallo, approfonditamente esaminato il libro, ammaccandone malamente un angolo, rispedito il tutto – busta aperta ed elastico compresi – con un sovrapprezzo di quasi sette euro – quel che mi tocca pagare per il fatto che il mio libro sia stato ispezionato, maltrattato e rispedito.
Già, perché aperta la busta, l’affrancatura debitamente pagata tramite il mio fornitore non vale più.
E mi tocca pagare la spedizione dalla dogana fino a casa mia.
E poiché il postino non ha tempo di suonarmi il campanello, mi tocca pure mettermi in marcia sotto alla pioggia per recuperare il malandato involto all’ufficio competente.

Ora stringo il volume nelle mie manine avide.
E mi domando cosa ne sarebbe stato dei vini libici, delle schiave circasse, delle manguste indiane, delle pesche dorate di Samarcanda, se mille anni or sono i T’ang si fossero serviti delle poste italiane.

Powered by ScribeFire.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

6 thoughts on “Le Pesche Dorate di Samarcanda

  1. Ah, sì… una cosa che fa un po’ il paio con questa, ‘e contrario’:

    http://www.gatc.it/biblioteca/letture/miller-romaspezie.htm

  2. Interessante anche questo – e la data del 1974 mi lascia ben sperare per ciò che riguarda bancarelle e remainders.
    Grazie della segnalazione.

  3. La paranoia che domina i nostri tempi non risparmia neanche i nostri innocui acquisti cartacei.
    Indegno.
    Di Schafer non ho letto nulla, è tradotto nel nostro italico idioma?

  4. @Cyberluke: sì, è tradotto. Il difficile, ahimè, sta soltanto nel convincere un editore italiano — quale che sia — a pubblicarlo (e chi se lo fila? è un autore serio, oltre che un ‘classico’, a modo suo: cose che, oggigiorno… ).

  5. Per gli amanti dell’avventura – il libro di Miller segnalato da celiovibenna qui sopra, si trova in originale, nuovo, a 150 sterline.
    Usato può scucire circa la metà.
    Credo ora più che mai che farò un giro delle bancarelle…

  6. Per fortuna 1000 anni fa le poste italiane nemmeno esistevano ahahah

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.