No, non si tratta di un post sull’attuale catalogo Mattel…
I giocatori di ruolo sono una strana razza.
In generale percepiti come nerd anche da quelle categorie che si suppongono composte prevalentemente da nerd (appassionati di fantascienza e fantasy, lettori di manga, trekkies…), considerati pericolosi adoratori del demonio dai disinformati, spesso dipinti come fenomeni da baraccone dalla stampa e dalla televisione, i roleplayers costituiscono una comunità variegata ed agguerrita.
Ci sono poche, pochissime cose sulle quali tutti i roleplayer concordino.
Esistono partiti e fedi inconciliabili.
I sostenitori del D20 contro il resto del mondo.
Quelli del vecchio World of Darkness contro quelli del nuovo World of Darkness – e questi due contro quelli che il World of Darkness lo trovano una ciofeca.
I Cyberpunkers contro gli Shadowrunners.
Quelli di Star Wars edizione WEG contro quelli di Star Wars edizione WoTC.
Quelli che Call of Cthulhu è troppo lovecraftiano, troppo poco lovecraftiano, con Lovecraft non c’entra per nulla.
I simulazionisti, i method actors.
Quelli che sono per l’approccio minimalista, i mind-mappers ad oltranza, gli improvvisatori, i free-former.
I larper.
In questa giungla intricatissima, esistono solo poche certezze
. non si porta la fidanzata al tavolo da gioco
. i rules lawyer devono morire
. se il master sorride è ormai troppo tardi
. niente fa più schifo di Rolemaster (no, neanche Cyborg Commando, neanche GURPS Fourth Edition)
La pessima – e meritatissimamente pessima – fama del sistema Rolemaster ha tuttavia causato una grave svista.
Gravissima.
Perché, fra le tonnellate di ciarpame pubblicate dalla Iron Crown Entertainment a supporto di Rolemaster, c’è un libricino che vale tanto oro quanto pesa.
Di più – un libricino così meraviglioso che dalla sua lettura trarrebbero giovamento non solo i giocatori di ruolo, ma anche tutti coloro che praticano in una forma o nell’altra la narrativa.
Il volumino si intitola Nightmares of Mine, sta comodamente in tasca e l’ha scritto Kenneth Hite nel1996.
Di cosa si tratta?
Di un libro sul genere horror.
Vediamo l’indice
- Introduction
- The Deep Questions
- Caught in the toils: Roleplaying Horror
- Before Night Falls: Building a Scenario
- Scenario formats
- Behind the Screen: Running a Session
- Building the Horror Campaign
- Running thw Horror Campaign
- Bibliography and Filmography
In altre parole, partendo dal motivo per cui l’orrore possa e debba essere un elemento della nostra narrativa, si passa alle istruzioni operative per rendere l’orrore fruibile al nostro pubblico in maniera efficace e soddisfacente per tutti.
Pensate a quel vostro amico che legge solo horror e guarda solo film dell’orrore (ne abbiamo tutti, di amici così).
Beh, Ken Hite non è così.
Ken non si è cibato di una dieta esclusivamente fondata sull’horror, e per questo ci può spiegare i meccanismi, illustrare cosa funziona e come, senza che noi si debba condividere integralmente il suo pool di conoscenze; perché è quello, no, il problema con quei nostri amici monomaniaci? Che se non parliamo la loro stessa lingua, se non condividiamo in pieno i loro interessi, ci mancano degli elementi per comunicare, perdiamo i riferimenti, ci annoiamoa morte.
Ken non è così – per capirci, questo è uno che cita Stephen King e Jean Paul Sartre, passando per Milton Keynes (battuta…) e Thomas Ligotti.
Il testo di Hite mostra una notevole dimestichezza, comunque, con i linguaggi mediatici e con le situazioni di gioco.
Particolarmente interessanti sono le due scale, di Sovrannaturalità e di Irrealtà, utilizzate per definire i diversi tipi di storia e ambientazione…
Sovrannaturale
uno – niente di sovrannaturale (ideale per campagne di orrore psicologico; Millenium o Criminal Minds sono due buoni esempi televisivi)
due – sovrannaturale “naturale” (poteri psi, leggende metropolitane su cacciatori di organi, alieni occasionali… L’incendiaria, di King, si colloca da queste parti)
tre – minimo sovrannaturale (l’elemento sovrannaturale è circoscritto a un’areao un personaggio… Dracula, It, Angel Heart…)
quattro – sovrannaturale classico (il sovrannaturale è nascosto ma diffuso… Buffy l’Ammazzavampiri)
cinque – sovrannaturale spinto (il sovrannaturale è ovunque; funziona meglio col fantasy)
sei – sovrannaturale palese (il sovranaturale è accettato dalla società come dato di fatto – Anno Dracula)
Irrealtà
uno – nessuna irrealtà (l’orrore deriva da elementi realistici – serial killer, crudeltà umana)
due – irrealtà suggerita (esiste la possibilità che esista di più di quanto ci è stato insegnato a scuola – Ammazzavampiri, Tremors)
tre – irrealtà minima (ci sono cose là fuori e a volte qualcuna arriva al pubblico – Vampire$ di carpenter è un buon esempio)
quattro – irrealtà ricorrente (cosa sta succedendo?! La scienza da sola non spiega l’universo, situazioni surreali diventano frequenti – Benjamin)
cinque – irrealtà spinta (il rapporto causale collassa, la realtà è plastica – Nightmare, molte storie di Dick, Dark City, Matrix)
sei – irrealtà conclamata (la realtà non esiste, è tutto un incubo sognato da qualcun’altro – Il Seme della Follia)
Ecco.
Questo genere di cose.
In circa 180 pagine.
Con forse tre o quattro figure.
Immaginate a cosa si arriva a dire nei capitoli relativi a Religione, sesso e Politica.
Sì, è buono fino a questo punto, Ken Hite.
Nightmares of Mine è assolutamente tutta polpa.
Per un roleplayer si tratta certamente della miglior guida all’impostazione, utilizzo e troubleshooting di un gioco horror (o di un episodio virato all’orrore all’interno di una campagna di genere diverso) che si trovi sulla piazza.
Per un non roleplayer, si tratta di una classificazione ed organizzazione degli elementi costitutivi di un genere, una scatola di montaggio eccellente, un’ottima guida a capire come, ma anche perché, l’orrore funziona.

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10 dicembre 2009 alle 5:45 PM
Ottimo articolo, come sempre.
Io sono un ex role player, nonché ex master di non so quante campagne.
GDR provati? Alla fine non moltissimi: AD&D, CoC, Vampiri, Il gioco di ruolo di Dylan Dog (!) e altri di nostra ideazione.
Ho giocato per quasi quindici anni.
Non mi sono mai considerato particolarmente nerd, anche se col tempo mi son reso conto che si trattava di un passatempo… inusuale.
GdR pericolosi? Mah, forse se uno già non ci sta con la testa…
A me sono serviti sia per passare delle ottime ore, sia per imparare l’inglese, sia per migliorare la mia scrittura (a suoi tempo ideai non so quanti scenari d’avventura).
Certo, col senno di poi forse si trattò anche di molti week end buttati via. E allora perché un po’ li rimpiango, quando ci penso?
10 dicembre 2009 alle 6:01 PM
Aha… caschi male se cerchi simpatia 😉
Io gioco da qualcosa come 25 anni – di norma almeno due partite la settimana, una come master, una come giocatore.
Credo di aver giocato tutto il giocabile.
Credo che il gioco di ruolo sia un passatempo divertente (spesso meglio dell’offerta cinematografica), istruttivo e formativo sul piano delle relazioni sociali.
Dopo che hai passato non meno di dodici ore la settimana per mesi o anni, insieme con le stesse persone, a combattere il male (o a difendere l’umanità, o a raddrizzare i torti), si creano dei legami forti.
Sulla pericolosità, faccio riferimento a quel vecchio studio francese secondo il quale il GDR elimina i fattori criminogeni dall’ambiente dei giocatori.
In altre parole – se hai la cultura, l’intelligenza e la flessibiliutà mentale per giocare, difficilmente finisci a commettere crimini.
Trovo anche buone le ricadute sulla scrittura – purché si resista alla tentazione di tramutare in racconti le avventure giocate… 😀
10 dicembre 2009 alle 6:11 PM
Concordo l’affermazione sui legami che si creano tra i roleplayers. Alla fine nascono belle amicizie, che trascendono un po’ i soliti discorsi calcio-gnocca-locali. Il rischio è che poi in pubblico si finisce inconsciamente a parlare di magia, draghi, vampiri e sun blade. Chi non capisce ti guarda malissimo :))
Riguardo alla pericolosità, hai detto tutto tu.
Ogni passatempo è potenzialmente pericololoso, se praticato da persone senza sensibilità e intelligenza. Anche il calcio a cinque o la musica pop (basta pensare al fenomeno dei “fans”…)
Ovviamente è più facile puntare il dito contro ciò che non si capisce.
Da che mondo è mondo succede così.
E i GdR non sono proprio alla portata intellettuale di tutti.
PS: dimenticavo… ho giocato anche a “I figli dell’olocausto”, e voglio vedere se mi rispondi “anch’io!” 😉
10 dicembre 2009 alle 6:30 PM
Il titolo mi dice qualcosa…
Il postatomico de no’antri!
Una sola partita, a casa di un conoscente… sarà stato il ’92…
10 dicembre 2009 alle 6:37 PM
Colpevole anch’io: Master di D&D, giocatore di Warhammer Fastasy, CoC, GiRSA, lettore di innumerevoli manuali di GdR mai messi in pratica. Tutto questo una vita fa.
Due osservazioni:
1. sarei curiosissimo di sapere perchè GURPS 4th Ed. ha la fama che citi, lessi il manuale delle 3a ma non ne so abbastanza;
2. l’ottima serie di libri “shared universe” Wild Cards, oltre a essere un mio pallino, nacque proprio da sessioni RPG di George RR Martin e compagnia (il gioco si chiamava Superworld), quindi la tua regola ha almeno una eccezione 😉
10 dicembre 2009 alle 7:02 PM
Di GURPS 4 ho sentito dir bene e (soprattutto) male, anche dai gurpsisti.
Diciamo che essenzialmente fa esattamente ciò che faceva GURPS 3, ma in 570 pagine anziché in 250.
Poi, da lì in avanti, è una questione di gusti… 😛
Molto buoni certi vecchi supplementi, comunque.
10 dicembre 2009 alle 7:04 PM
Sulla scia dei gdr insolti che ho avuto modo di masterizzare rilancio con “skull & crossbones” (1980) e I Signori del Caos 2° ed. (1988).
Reperti archeologici 😉
Una sola volta mi è capitato di giocare ad un gioco di ispirazione horror ed avere successo… un party composto solo da ragazze alla loro prima esperienza con i gdr nel lontano ’96, un evento che sfida le leggi della fisica.
10 dicembre 2009 alle 7:50 PM
Ho un amico che ha cominciato a giocare a D&D nei camerini di uno strip club.
Andava a dare ripetizioni ad una spogliarellista che si stava diplomando, e scoprì che le ragazze, fra gli spettacoli, avevano una campagna in corso.
Da anni.
D&D base, scatola rossa e scatola blu.
Era ancora l’epoca della T$R…
11 dicembre 2009 alle 2:15 PM
è proprio lui 🙂
Non era nemmeno malaccio… lo scenario prendeva!
11 dicembre 2009 alle 2:16 PM
PS: dimenticavo “Uno sguardo nel buio”, forse il primo GdR preso in mano, come evoluzione dei Librogame. Ricordo perfino… Katacumbas! 😛
11 dicembre 2009 alle 3:05 PM
Io invece sono un giocatore di ruolo fallito.
Agli inizi dei ’90 le ho provate tutte per convincere un gruppo di amici a giocare, avevo perfino iniziato a frequentare qualche tizio losco di un club modenese e a comprare Kaos.
Mi sono limitato a AD&D, a Warhammer Fantasy, a Girsa.
Ci siamo anche divertiti, solo che è finito tutto troppo in fretta.
‘mo mi limito ai giochi da tavolo, però no, non è la stessa cosa.
(Se c’è in giro qualche modenese che ha bisogno di un niubbo per riempire il tavolo…)
11 dicembre 2009 alle 8:15 PM
@mcnab
Ah, uno sguardo nel buio, gioco teutonico nel quale il master deve indossare un maschera per uccidere i personaggi…
Solo i tedeschi…
@iguana jo
Gli amici refrattari sono la maledizione del gioco.
Un problema – sulla base di ciò che dici – potrebbe essere stato costituito dalla scelta di un gioco fantasy.
C’è dell’eccellente fantascienza in forma di gioco di ruolo, dalle storie di superscienza stile pulp alla space opera alla hard sf più dura e tecnologica.
Oppure giocare un poliziesco…
Ma molti, mi resi conto nei primi tempi della mia attività ludica, fanno proprio fatica ad accettare l’idea di sedere ad un tavolo e di raccontare una storia nella quale devono calarsi nei panni di un personaggio.
L’idea è completamente aliena a costoro.
11 dicembre 2009 alle 9:23 PM
Io sono di quelli che la fidanzata al tavolo da gioco la porta.
11 dicembre 2009 alle 9:26 PM
Un uomo fortunato – o un folle.
In entrambi i casi, brindo a tanto coraggio.
D’altra parte, un mio giocatore storico al tavolo da gioco ci porta la moglie (che spesso gioca meglio di lui) e quindi immagino ci siano eccezioni a tutte le regole 😉
11 dicembre 2009 alle 9:27 PM
E io sono la fidanzata XD
11 dicembre 2009 alle 9:36 PM
Ed è un piacere averti fra i commenti.
Le giocatrici di ruolo sono sempre le benvenute su queste pagine!
12 dicembre 2009 alle 1:47 AM
Ho sempre avuto problemi a spiegare agli esterni cosa fosse un gdr, nel senso che l’unico modo che credo possibile è provare: ogni descrizione è riduttiva e rischia di essere fraintesa. Anche perché poi arrivano le domande “ma vi travestite?”, “ma il tabellone?” e l’inossidabile “ma chi vince?”.
Tu come risolvi la questione?
12 dicembre 2009 alle 10:03 AM
Io utilizzo l’eccellente esempio di John Tynes: il gioco di ruolo è come un radiodramma a soggetto.
Si interpreta una parte, si partecipa come interpreti e narratori all’improvvisazione di gruppo di una storia, a partire da un canovaccio noto solo al master.
Per comodità, ciascun personaggio è descritto sinteticamente con numeri, ma i numeri non sonoimportanti, sono solo una linea guida per l’interpretazione.
Alla domanda “Chi vince”, una volta ho risposto “Tu speri di vincere quando vai al cinema?”
Ma ero di cattivo umore 😉
12 dicembre 2009 alle 2:20 PM
La risposta che davo coincide quasi alla lettera (a parte per il radiodramma, che in effetti taglia fuori il fraintendimento rispetto ai travestimenti), ma lo stesso le facce di fronte erano quasi sempre piuttosto perplesse.
Proverò la versione di Tynes, vediamo se cambia qualcosa o se sembra ancora più nerd. 🙂
12 dicembre 2009 alle 8:40 PM
Nerd…
Io rimasi sconvolto a suo tempo quando scoprii che in svezia le squadre di giocatori di ruolo, se si scostituiscono club, ricevono un finanziamento statale.
Poi scoprii un gruppo di giocatori torinesi che, riciclando il proprio hobby tramutandolo in “psicodrammi attraverso i quali gestire l’aggressività e divulgare una cultura…(bla bla bla)” (gente che giocava i vecchi giochi White Wolf, insomma) riuscivano (e forse riescono ancora) a scucire fondi dalla Regione (o era la Provincia?) e ad avere una sede come “associazione per il teatro d’improvvisazione”.
In alternativa alla versione di Tynes (che scopro essere quella sottoscritta da Wikipedia), puoi dare un’occhiata a questo bel saggio di Andrew Rilstone
http://www.rpg.net/oracle/essays/rpgoverview.html
“A role-playing game is a formalized verbal interaction between a referee and a player or players, with the intention of producing a narrative. This interaction is such that the fictional character (controlled by the player) has complete or nearly complete freedom of choice within the fictional world (controlled by the referee). ”
Ma d’altra parte, se hai a che fare con dei “mondani”, credo ci sia poca speranza di poter portare loro la via, la verità, la luce ed i dadi poliedrici…
14 dicembre 2009 alle 9:04 PM
A Proposto di Svezia torno ora da Stoccolma, e devo dire che stanno avanti… oltre che ad avere produzioni di ogni tipo esportate in inglese e librerie fornitissime (sono riuscito a trovare Perdido Street Station, altra imbeccata di questo blog che mi è valsa i complimenti del commesso), hanno ottimi prodotti che non sono stati tradotti, tra i quali mi ha colpito la veste grafica di “Drakar Och Demoner” e l’impostazione di gioco di “Noctum”.
15 dicembre 2009 alle 12:30 AM
Ahimé, siamo noi che siamo indietro.
Anche i francesi, pur con tutti i loro limiti, a cominciare dal vezzo di mettere aglio ovunque, hanno dei giochi che da noi non si traducono e che sono eccelentissimi, sia per veste grafica che per originalità delle idee.
Siamo noi che, come al solito arranchiamo.
Oh, gli appassionati sono aggueritissimi, ma pochi editori di giochi sopravivono abbastanza a lungo da sviluppare un mercato.