Nonostante tutta ‘sta storia del fantasy, io resto un appassionato di fantascienza.
Semplicemente, la SF che piace a me voi non la conoscete.
Nel 1990, Colin Greenland fece il colpaccio – diventando il primo scrittore di fantascienza a vincere tutti e tre i premi principali riservati alla fantascienza britannica, Eastercon, British SF Association, e Arthur C. Clarke.
Il libro che gli aveva fatto spazzolare tutte quelle patacche era Take Back Plenty – primo volume di una trilogia, al quale fecero seguito Seasons of Plenty e Mother of Plenty.
Space opera ballardiana, se dobbiamo trovare un’etichetta appropriata.
Una specie di Uplift, di David Brin, ma filtrato attraverso la new wave inglese degli anni ’70 (argomento questo, della tesi di laurea di Greenland).
Astronavi.
Alieni.
Transumanesimo a manetta.
Satira politica.
Ribellione.
I canali di Marte.
Alice Liddell.
E un bel campionario di umanità in fuga su una astronave rubata, al comando di Tabitha Jute – un personaggio memorabile in una storia memorabile.
Plenty lascia presagire l’avvento ed il successo di autori come Iain Banks e Ken MacLeod, anch’essi al loro esordio nei primi anni ’90.
Colin Greenland è in gamba.
Quando inciampai sulla trilogia di Plenty – all’uscita di Seasons, che aveva una copertina fantastica – conoscevo già Greenland per l’altro suo libro, quiel Death is No Obstacle che è una lunghissima intervista con Michael Moorcock, durante la quale si discute di scrittura, ispirazione, stile, rock’n’roll, fumetti e quant’altro.
Arrivato in fondo – con un ballardiano mal di testa – alle circa milleseicento pagine di Plenty, mi procurai anche The Plenty Principle (una bella raccolta di racconti) e Daybreak on a Different Mountain, opera prima di Greenland, un fantasy alla maniera di M. John Harrison.
C’era poi unaltro titolo, che mi interessava moltissimo – ma che risultava introvabile.
Oggi, quindici anni dopo, la simpatica postina mi ha lasciato fra le sbarre del cancello di casa una copia in rilegato rigido, in più che buone condizioni, di Harm’s Way – romanzo del 1993, messo insieme da Greenland proprio mentre lavorava a Plenty.
Ancora space opera.
Ma questa volta steampunk.
Società vittoriana.
Personaggi dickensiani.
Velieri fra i pianeti del sistema solare.
Si apre con un prologo in cui uno strano, alienato Jack lo Squartatore interplanetario si mette all’opera su una prostituta londinese, con l’aiuto di due strani guardaspalle alieni che paiono usciti dalla Cantina di Guerre Stellari.
Poi da lì in avanti le cose si fanno strane.
Greenland è estremamente letterario, ama la frase lunga ed articolata, la descrizione precisa di colori, odori, sensazioni, personaggi che si esprimono con una piega del capo, una spallucciata.
Per tutta la sua adesione assoluta alle regole della narrativa d’immaginazione, rimane un autore realistico.
Lo sviluppo del ciclo di plenty corrisponde allo sviluppo di una teoria narrativa – il principio dell’abbondanza, per cui il lettore viene sottoposto ad un sovraccarico sensoriale e cognitivo estremo, ma non filtrato.
Informazioni a tonnellate, ma non necessariamente affidabili.
E neanche l’ombra di una spiegazione.
Greenland, come Mary Gentle (altra autrice che amo), vuole obbligare il lettore a metterci del suo, a rimboccarsi le maniche ed a lavorare, a meritarsi la narrativa.
Negli ultimi anni, Greenland ha mantenuto un profilo basso – pur venendo citato regolarmente come fonte di ispirazione da Neil Gaiman.
D’altra parte, la sua compagna di vita, Susanna Clarke, ha esordino nel 2004 con quel massiccio e pluripremiato Jonathan Strange & Mr Norrell che ci lascia a domandarci come debba essere una tranquilla conversazione a tavola a casa loro.
O come debba essere partecipare ad uno dei corsi di scrittura tenuti da Greenlande, Clarke e Geoff Ryman.
E dire che Greenland ha pure insegnato nel college londinese dove ho studiato…
31 Maggio 2010 alle 9:47 PM
Sei il primo che mi cita quel gioiello di Jonathan Strange. Una perla di esordio (Childermass e The man with the thistle-down hairs sono comprimari d’eccezione)
31 Maggio 2010 alle 10:08 PM
Io non ho ancora avuto la forza di aprirlo, il libro della Clarke.
Credo sia più adatto all’inverno…
31 Maggio 2010 alle 10:47 PM
fonte di Gaiman + informazioni a tonnellate non sempre affidabili + frase lunga + lettore al lavoro + navi nello spazio = (per quel che ne sapevo) Gene Wolfe.
Mi fa sapere che l’equazione abbia due soluzioni 😛
31 Maggio 2010 alle 11:08 PM
Lunga vita alla fantascienza!!!
31 Maggio 2010 alle 11:16 PM
Il paragone con Wolfe non è completamente esatto.
Greenland ha anche una componente di azione che spesso in Wolfe manca – insomma, la vecchia radice avventurosa della space opera permane molto più forte in Greenland che non in Wolfe.
Però, sì – la soddisfazione che si prova nel leggere Wolfe è affine a quella che si prova ad affrontare Greenland.
Con in più il mal di testa ballardiano 😀
1 giugno 2010 alle 8:34 AM
Cavoli, com’è che non ne ho mai sentito parlare???
‘mo mi tocca segnarmi anche Greenland. Come se non avessi già abbastanza libri da leggere. Però la descrizione che ne fai mi attizza un bel po’. Spero comunque che la sua fantascienza sia più simile a Wolfe, Banks o Gentle che a Harrison…
(il suo inglese è molto difficile?)
(Jonathan Strange è una meraviglia, e sono davvero curioso di leggere – prima o poi – la tua opinione al riguardo, che forse è un tomo troppo serio per i tuoi gusti fantasiosi :-))
1 giugno 2010 alle 9:09 AM
L’inglese di Greenland è abbastanza spessino, ma non più di quello della Gentle.
I problemi, casomai, nascono quando comincia a giocare con la struttura – in Seasons of Plenty, ad esempio, l’azione si svolge completamente su una nave in transito a velocità ultraluce – e quindi tempo e spazio vengono polverizzati e riarrangiati fuori sequenza nella mente dei protagonisti (che continua a lavorare in maniera lineare e sequenziale).
Da cui, il mal di testa ballardiano.
Però è molto in gamba.
Sul libro della Clarke, non mi provocare.
Me lo tengo in caldo per la stagione fredda – e di fianco conservo un paio di bei pulp farciti di azione improbabile e dialoghi ridicoli per evitare che l’eccessiva seriosità mi mandi in depressione.
Oltretutto, ho appena scoperto che la Clarke è stata in gioventù insegnante di inglese a Torino!
1 giugno 2010 alle 10:51 AM
Semplicemente, la SF che piace a me voi non la conoscete.
Cavoli, com’è che non ne ho mai sentito parlare???
LOL come volevasi dimostrare
Spero comunque che la sua fantascienza sia più simile a Wolfe, Banks o Gentle che a Harrison…
Grrr…
Daybreak on a Different Mountain, opera prima di Greenland, un fantasy alla maniera di M. John Harrison
Ecco, questo invece era sfuggito anche a me, sembra interessante.
1 giugno 2010 alle 12:13 PM
Io in effetti l’ho trovato un po’ lento.
Ma son passati diciotto anni – magari nel frattempo i miei gusti son cambiati 😛
1 giugno 2010 alle 12:17 PM
Effettivamente è un libro da inverno. Ci si perde fra le note fantastoriche a fondo pagina
1 giugno 2010 alle 3:10 PM
Take Back Plenty era stato opzionato dall’allora Perseo Libri per una traduzione, ma poi non se ne fece più nulla…peccato.
A proposito di Harrison: questo mese dovrebbe uscire su Urania “Nova Swing” 🙂
1 giugno 2010 alle 3:55 PM
Visto – un’altra occasione per sentire il lamento dei fan di Miles Vorkosigan 😛
2 giugno 2010 alle 7:14 PM
A proposito, ho intenzione di leggere Brian Aldiss, in particolare il ciclo di Helliconia e Il lungo meriggio della Terra. Qualcuno li ha letti?
2 giugno 2010 alle 7:25 PM
Helliconia è piuttosto pesante.
Bello, eh, ma dannatamente denso.
Il Lungo Meriggio della Terra non è male, anche se forse è invecchiato male, ed appare oggi un po’ datato.
3 giugno 2010 alle 12:17 PM
certo, il libro della gentle è da inverno. per il camino.
una di quelle storie così compiaciute e intellettuali che il coefficente di penetrazione nel mondo finzionale è una morgana (ma non preoccupiamoci: c’è una noticina a fondo pagina che ci spiega che una morgana fu in effetti vista nell’ottobre del 1817 nella brighiera inglese vicino a shaffoltshire da tre pecorai dei quali non è pervenuto il nome e da Lord Eugene Clarkswell, che riportò l’avvistamento a Jonathan Strange, il quale ne fa una veloce menzione nel suo ricettario magico) e la sospensione dell’incredulità un sogno (a quanto pare jonathan strange visitò le terre del sogno insieme a un americano del quale non è documentato il nome nell’agosto del 1822 mentre l’attendente della capitaneria dio porto di norfolk beveva una tazza di tè proveniente dalle indie orientali, proprio dove il nonno della suocera di jonathan strange aveva avvistato, secondo l’auobiografia del persiano di casa norrell, un grosso e temibile…).
3 giugno 2010 alle 1:30 PM
@ Marco: lo so che per te fantascienza e fantasy uguali sono, però ecco, da una famosa intervista all’autore m’era parso di capire che il fantasy e la fantascienza di Harrison siano parecchio diversi tra loro.
@ Davide: come direbbe il buon Travis, “Are you talking to me?”
Non toccarmi Miles!
@ alladr: c’hai mica voglia di spiegarmi cos’è il coefficente di penetrazione nel mondo finzionale? Grazie!
(immagino tu comunque ti stessi riferendo alla Clarke, non a Mary Gentle)
4 giugno 2010 alle 12:46 PM
@Iguana
In fondo, per quanto stilisticamente differenti, la fantasciena e la fantasy di M. John Harrison sono mosse dalla stessa poetica, dalla stessa filosofia.
Canzoni simili suonate in modo diverso.
Riguardo a Vorkosigan, non era un attacco ad personam – non sapevo frequentassi quel secchione insopportabile.
Ma naturalmente, noi che siamo cresciuti con Dominic Flandry, tendiamo a muoverci in circoli differenti 😛
5 giugno 2010 alle 8:06 AM
Non ci avevo mai pensato però in effetti “secchione inspopportabile” è perfetto! 🙂
(Comunque sia Miles darebbe la paga al buon Flandry, in qualunque momento e situazione. Non c’è dubbio!)
5 giugno 2010 alle 10:33 AM
Non credo.
Flandry ne ha seppelliti a decine, di personaggi corretti e ligi al dovere come Vorkosigan.
Se tutto il resto dovesse fallire, gli sparerebbe alla schiena alla prima occasione opportuna, facendo poi ricadere la colpa su qualche altro frescone.