strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Parla con me

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OK, storia di vita vissuta…

Era il… mah, diciamo il 1985, quando la mia insegnante di matematica al liceo decise di dare una infarinatura di programmazione a noi studenti.
Animata dalle migliori intenzioni di questo mondo (1985, ricordate… Commodore 64?), la signora mise insieme alcune slide per insegnarci i primi rudimenti del linguaggio Basic.
E per slide intendo, ovviamenti, fogli di lucido con sopra testo ed immagini tracciati col pennarello.
Testo.
If… Then… For… Next… GoTo… 10… 20… 30… 40…
E Puffi.

In uno dei più clamorosi passi falsi della storia della didattica che io riesca a ricordare, la mia insegnante di matematica al liceo aveva pensato che il modo migliore per… per raggiungere dei quindicenni armati di 64 kilobyte di RAM e sogni cyberpunk… lo strumento adatto per sfondare la parete del disinteresse… aveva pensato che fossero gli ometti blu di Peyo.

La questione – sollevata dal mio amico Fulvio su assist di IguanaJo – è: come faccio a parlare coi sedicenni.

Primo suggerimento – evitare i Puffi.

Ma la questione non è affatto banale.

Giriamola in una versione più generica – come faccio a raggiungere il pubblico?
Nel momento in cui ha in mano il mio racconto, sul piatto il mio disco, è seduto sulle sedie dell’aula in cui tengo una conferenza…
Nel momento in cui elementi come il marketing, la grafica, il passaparola o semplicemente l’obbligo lo hanno messo nelle mie mani, come faccio ad impedirgli di mollare tutto?
Come faccio ad interessarlo?
E nel caso di un dialogo, come faccio a tirarlo fuori dal suo guscio?

Il buonsenso – parente stretto della pudenza, della quale abbiamo parlato malissimo nell’ultimo post – ci suggerisce di cercare un terreno comune, un linguaggio condiviso.
Il problema, ovviamente, è che – per tutta una serie di motivi – potremmo avere una illusione di condivisione.
Potremmo credere che una ventina di quindicenni siano davvero più interessati alla programmazione dei computer se gliela insegnamo con i Puffi.
E perché no – nel 1985 i Puffi erano la spina dorsale della programmazione televisiva per ragazzi.
Poi, certo, i quindicenni guardavano Drive In, non i Puffi.
Gli smanettoni avevano visto Tron, Wargames e Electric Dreams.
Ma… I Puffi?
Forse è la distanza, che produce uno schiacciamento – a quarant’anni è facile considerare quindicenni e dodicenni come membri dello stesso gruppo.
Il risultato?
Ve lo lascio immaginare.

Ma allora, come li acchiappiamo, ‘sti ragazzini?

Io sono per prenderli completamente in contropiede.
Devo parlare di evoluzione? Proietto una foto di Charlize Theron, poi una di Hugh Jackman (bisogna pensare anche alle signore in sala).
Prossimamente dovrò parlare di editoria elettronica… prevedo di partire parlando di viaggi in treno.

Il rischio è che parte del pubblico decida che quello che ballonzola davanti allo schermo è un guitto, un idiota o un perditempo, e si alzi e se ne vada – o rimanga sul fondo (come capitò ad un mio corso, anni addietro) a postare su Facebook commenti taglienti sulla lezione.
Ma la curiosità è una brutta bestia – e noi esseri umani siamo scimmie curiose.

Questo, ovviamente, nel dovermettere in piedi una lezione.
Ammetto che, sulla base delle mie poche esperienze coi liceali, per entrare in un’aula di sedicenni a tenere una lezione, oggi come oggi, vorrei un’atirabbica e una pistola carica.
Oltre alla patina di disinteresse ostentato – ehy, hanno sedici anni, non c’è nulla che nessuno possa insegnar loro, giusto? – c’è anche una aggressività malate che mi spezza il cuore, e che li rende spesso quasi inaccessibili.
Ma dietro opportuno pagamento, potrei anche provarci.

Di sicuro, cercherei di evitare di imitare il loro linguaggio o il loro atteggiamento.
L’essere una strana bestia, il membro di un’altra tribù, se mi danneggia rendendoli ostili, dall’altra mi aiuta perché li incuriosisce.
Ed eviterei anche i confronti – ai miei tempi, quando ero giovane io, quando io avevo la vostra età…
E l’accondiscendenza.
Tutte cose che mandano in bestia una persona intelligente, e che gli idioti hanno imparato a riconoscere come segnale che ora la palla è nel loro campo, e possono fare quel che vogliono.

Rimane poi, naturalmente, un ultimo punto da ponderare.
Ma io, con ‘sti sedicenni, ci voglio davvero parlare?
In altre parole, il mio pubblico, è quello col quale vorrei veramente mettermi in comunicazione?

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Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

18 thoughts on “Parla con me

  1. Personalissimamente, no. Non sedicenni. Specie per parlare qualcosa di cui mi interessa.

    Un pubblico adulto di norma sceglie: o gli interessa già e quindi è lì per simpatia, oppure ha una curiosità e devi giocartela, oppure ha un pregiudizio formatosi con gli anni ed è lì perché ce l’han mandato.
    In ogni caso, è un combattimento quasi ad armi pari. Ci si può confrontare sulla logica o sulla dialettica.

    Coi sedicenni, l’impressione è mortale: non hanno ancora una idea fatta e potrebbe anche piacergli se ingoiassero l’esca.
    Questa cosa che potrebbero è quello che carica di aspettative.
    In più, è quasi inevitabile una certa empatia: ragazzi, ci son passato, ci sbatterete su quegli spigoli, date retta a uno che vuole spiegarvi un pezzino della vita – nelle maglie di questa lezione sulla Nutria carnivora del Monferrato.

    Ma a me pare che il pubblico sedicenne sia impermeabile a qualsivoglia sollecitazione.
    Non ingoiano niente: masticano, disprezzano e sputano a prescindere.
    Qualunque cosa sia anche solo vagamente “insegnata” è rigettata a priori.

    Si è anche spuntata la baionetta puntata alla schiena: studia o…
    O, cosa?

    E l’insegnante che non sia li per puro spirito mercenario ne esce con un sacco di turbe che, magari, avendo usato i puffi… O forse, facendo il burbero, o l’amicone, o con le donnine nude…

  2. Siamo lettori di fantascienza? Siamo interessati al futuro?

    Di conseguenza parlare con i sedicenni (e, ancor di più, ascoltarli) non dovrebbe essere fonte di dubbi ma qualcosa di doveroso.

    Poi è vero: “per entrare in un’aula di sedicenni a tenere una lezione, oggi come oggi, vorrei un’atirabbica e una pistola carica.
    Ma parlare con un sedicenne non dovrebbe ridursi a tenere una lezione, anche perché se loro risultano strani a noi, loro cosa dovrebbero pensare di un quarantenne sconosciuto venuto a catechizzarli?
    Dopotutto se noi per primi non facciamo che generalizzare, manco ‘sti cazzo di sedicenni fossero tutti uguali, ci possiamo forse aspettare una risposta migliore da parte loro?
    Vi ricordate cosa pensavate voi della maggioranza degli adulti che vi circondavano?

    Insomma, se ogni volta che si evoca lo spettro dell’adolescenza si passasse dal dileggio al confronto all’ascolto, beh… sarebbe già un bel passo avanti.
    Non credete?

    OK, questo era per rispondere all’ultima domanda di Davide.

    Per quanto riguarda il “come” parlare ai gggiovani, beh… mi sembra che l’approccio che proponi sia corretto. Poi è chiaro che su trenta persone obbligate ad ascoltarti (che siano sedicenni o quarantenni non fa differenza) magari solo una decina ti ascolterà e solo un paio se ne ricorderà.
    Ma questo non è necessariamente colpa dell’oratore, e nemmeno del pubblico.
    È che qua fuori ci sono molte più differenze di quanto si creda.

  3. In primis valuterei bene la scelta di parlare coi sedicenni di oggi? E’ così necessario? E’ davvero indispensabile? Diciamo che, potendo scegliere, infilerei lo scroto in un frullatore acceso… beh, quasi.
    Non ho grandi esperienze nel rapportarmi coi sedicenni di oggi, ma la mia migliore amica lavora come segretaria in una scuola superiore, quindi di aneddoti ne sento decine e decine ogni settimana.
    Partiamo dal pressuposto che pochi sono “salvabili”. Dietro l’apparente patina di indifferenza, supponenza, maleducazione e ignoranza… beh, c’è ben poco altro. In rari casi tale patina è solo un atteggiarsi, un omologarsi al gruppo, ma sotto sotto si nascondono giovani virgulti. Ecco, questi vale la pena trovarli e tentare di comunicare con loro.
    Come? Ancora una volta credo che l’Arte sia il modo migliore per farlo. Musica, cinema, fumetti, libri (sì vabbé… questi ultimi partono un tantino svantaggiati). Questi veicoli comunicativi possono avere anche una valenza didattica e formativa.
    Di certo non nel modo inteso da MTV, dove non si parla coi giovani, li si imita e basta. E pure nel peggiore dei modi.

  4. anni fa ho insegnato italiano, per circa un anno, ad una classe di ragazze sedicenni giapponesi. Sembra l’inizio di una barzelletta o di un pinku eiga ma e’ la verita’. Certo l’esperienza non puo’ essere paragonata con il discorso che si sta facendo pero’ quel poco che ho imparato e’ che e’ meglio portare la propria alterita’ fino in fondo ( straniero o di un’altra generazione che sia) e non scendere ad inutili e dannosi atteggiamenti del tipo ” lo so cosa pensi ci sono passato anch’io”. Insomma il paradosso e’ che mettere le distanze talvolta crea piu’ effetti di comunicazione di quanto si creda.
    Nel mio caso poi ho dovuto resistere alle minigonne ascellari ed al profumo si shampoo delle ragazzine…ma questa e’ un’altra storia…

  5. Premetto che, sono nato proprio nell’85, il mio campo è l’it e i miei genitori sono entrambi professori ASD, detto questo comprendo perfettamente che parlare di Informatica in quell’epoca fosse una grande conquista didattica… (inutile dire che i film Wargames e Tron in primis, ma anche tanti altri film USA, hanno fatto crescere in noi Italiani, l’aspettativa e conseguentemente la voglia di sapere tutto di quella meravigliosa branca), peccato invece per il passo falso dei puffi, anche se in un altro blog ho letto di corsi di programmazione della Marvel Comics, dove tra i vari disegni e illustrazioni dei Fantastici 4, c’erano anche dei listati in basic per le varie macchine del tempo 😀

    L’insegnante troverà sempre lo studente ribelle, bullo o snob, o “mister secchione so tutto io” che ovviamente vorrà mostrarsi e\o fare di tutto per bloccare la lezione questo è poco a sicuro, le soluzioni non valgono per tutti e in un gruppo di 20-30 alunni ne si evidenzieranno le lacune.
    Per ridurre al minimo l’insuccesso, le uniche armi a disposizione sono la conoscenza superiore e aggiornata riguardo a un argomento (altrimenti se c’è qualcuno che né sa qualcosa, sbandiera immediatamente l’eventuale errore comesso), l’autorità e il sense of humor, magari tutto condito da esempi pratici che piacciono a tutti ma che purtroppo vengono ignorati molto spesso.

    A mio parere un grande miglioramento si otterrebbe dalla scelta personale dei corsi da seguire, in stile americano, ovviamente abolendo l’uso dei test nelle verifiche e sostituendolo con prove scritte e maggiori interrogazioni in stile italiano.

  6. Parlare ai giovani, ma perchè?
    Se non si è insegnanti, se non si ha una ragione simile, perchè si dovrebbe parlare propio ai giovani?
    Non sembra poi una frase fatta del tipo -radicarsi sul territorio-?

  7. Difficile questione, stimolante.
    I sedicenni di oggi si sono evoluti a velocità warp rispetto a noi, sarebbe inutile quindi dichiarare a pieni polmoni “ci sono passato anch’io”, perchè è straordinariamente falso.
    A quell’età non sopportavo l’adulto finto amicone, quello che sorride e si veste giovane, ma con tutto il suo spirito ti urla in silenzio che sa più cose di te, le fa meglio e ha pure i soldi per permettersele. Volevo sperimentare io, curiosare io, mettere in discussione io. IO IO IO è il manifesto dei sedici anni.
    Io a sedici anni non pensavo minimamente ai Puffi, ma ancora a Goldrake e Capitan Harlock e nel contempo mi ubriacavo di Iron Maiden, Kiss, Billy Idol.
    Oggi bisognerebbe inventare una ricetta con 500 gr di Facebook, 125 gr di Twilight, 2 sise intere ed eliminare dal vocabolario i congiuntivi, poi, armati come Tomb Rider, entrare nell’arena e stupirli.
    Come? Evitando di enunciare e basta, ma facendo guidare loro l’aereo, farli sentire protagonisti, attivi, metterli in cattedra e chiedere a loro di spiegare cosa direbbero di questo esemplare o quell’altro, evitando le slide e mettendoci una presentazione di flickr o altre diavolerie flashitiche con una bella colonna heavy metal sotto, far creare a loro stessi una presentazione.
    Io adoro i dinosauri e anni fa a Londra vidi una mirabile mostra dove tutto sembrava vero, con suoni, piccoli e grandi robot, reperti veri e un enorme T-Rex a cui tutti potevano con dei joystick far fare dei movimenti.
    E mostrare i film che parlano di dinosauri, chiedere a loro come ne girerbbero uno, con quale storia. E ogni tanto, fare riferimenti veri alla loro cultura, tenendo a mente che non sono tutti col cervello a cubetti e che molti di loro sono curiosi, leggono, adorano viaggiare e detestano con tutte le forze la volgarità delle trasmissioni tv.
    Odiano la scuola perchè la scuola oggi è vecchia e non ha niente da insegnare col loro linguaggio, sebbene le intenzioni siano buone.

    @Davide
    Proprio domenica scorsa ho rivisto Electric Dreams (sto raccogliendo tutti i film della mia adolescenza)…l’ingenuità di questa pellicola è strepitosa, e Giorgio Moroder mi ha portato indietro nel tempo.

  8. @Iguana
    Senza intento polemico, di fatto chiacchierare coi sedicenni, se non in un ambito accademico, per quel che mi riguarda, non è possibile – non ho parenti giovani, cuginetti o altri esemplari simili.
    E come ho già detto, “Ciao, ragazzi, vi va di fare quattro chiacchiere?” detto ad un capannello di sedicenni al pascolo è forse un buon modo per diventare sottosegretario da qualche parte, un po’ meno per scoprire le rotte del futuro.

    Che inoltre – e qui mi appendo un bersaglio al collo e vi invito a sparare – non credo che si possa desumere qualcosa sul futuro parlando con gli adolescenti.
    Di sicuro, intervistando la mia classe di liceo, nessuno avrebbe previsto il nostro mondo del 2010…

  9. non credo che si possa desumere qualcosa sul futuro parlando con gli adolescenti.

    Non lo credo nemmeno io, il punto per me è un altro: gli adolescenti sono alieni. Di più: sono alieni con un forte legame con il retroterra culturale che appartiene anche a noi, solo che lo interpretano alla loro maniera.
    Basterebbe solo questo punto per renderli interessanti.

    Se poi ho insistito sul “parlare con i sedicenni” è solo perché mi pare che si tenda a vederne solo i lati negativi, a farne l’epitome della catastrofe culturale che pare ci circondi.
    E se non si è disposti a leggerne i comportamenti in maniera più sfaccettata (non dico profonda che se no poi Coriolano se ne ha a male) non si è poi molto distanti dalle generalizzazioni dei media quando parlano di cose che non conoscono (tipo la letteratura di genere, o la scienza, tanto per fare due esempi a caso). E allora forse è meglio tacere.

    (se in questo discorso ci cogli una vena leggermente polemica, forse dipende dal fatto che ho una stima enorme della tua capacità di affrontare gli argomenti più diversi. Quando invece affronti il discorso gggiovani mi pare tu rimanga spesso vittima di facili scorciatoie e pregiudizi. Poi magari non ho capito nulla io, eh! Però se mi rimane il dubbio non dormo bene la notte e allora preferisco affrontare la questione direttamente.)

  10. Partendo dalla mia classe all’ITIS, c’è da stupirci che ci siamo arrivati, al 2010…

    Comunque, personalmente, anch’io ho la brutta sensazione che -comunicare coi giovani- abbia echi in -radicarsi sul territorio-.

    A mio vedere, un qualsivoglia intervento sui sedicenni passa strettamente e inderogabilmente dalla gerarchia. Anche essere zio è comunque un sistema gerarchico. Esclusi i genitori, non si scappa.

    Scuola o “gruppopurchessia”, ma adulto insegna a sedicenne costretto ad essere lì.
    Questo, dall’alba dei tempi. É biologico, come l’acne.

    Poi, possiamo aggiungere che in questo preciso momento i sedicenni sono stati lasciati soli e senza esempi esterni solidi, quindi si sono creati una loro conformità che è ovviamente al ribasso.
    Nella generazione precedente, se uno tendeva ad essere un secchione sfigato, c’era sempre una famiglia che sperava di vederlo laureato e dietro ad una scrivania o una cattedra. Era complicato per la vita sociale, ma c’era un puntello, un orizzonte, un modello.
    Altre generazioni sono state forse peggio, in cui dovevano ingoiare l’iperattività biologica ed attenersi a regole prestabilite, e non delle migliori.

    Ma oggi, un sedicenne medio che tende ad essere “non omologato”, dove si attacca?
    A meno che non sia un non omologato di terza generazione, figlio di nerd e nipote di secchioni, o comunque uno che ha già una strada segnata per via ereditaria (biologica o partimoniale), non c’è più il pezzo di carta, non c’è più una dignità familiare, non c’è più una speranza più o meno teorica di meritocrazia.

    Quindi, la bubbola degli “altri mezzi” è appunto una bubbola.
    A meno di non pigliare la società occidentale e rivoltarla, tornando alla TV democristiana in bianco e nero e passando il napalm su internet, o qualcosa di altrettanto drastico.

    Detto questo, in una struttura gerarchica, si può discutere sul tono: abbiamo avuto più o meno tutti il professore sapiente che amavi a prescindere, l’entusiasta della sua materia, quello duro che rispettavi, l’idiota che non era un uomo ma un caporale, quello amicone da pigliare un po’ sottogamba, eccetera.
    E i modelli si applicano un po’ ovunque.
    Esiste una ricetta apposita, buona per tutti i gusti? Probabilmente no.
    La formula dell’amicone pare in genere la più sospetta, ma…

    C’è, poi, un discorso di feedback.
    Ovvero, stabilito che tu insegni e il sedicenne è lì in gruppo ad ascoltarti, è ben difficile che ci sia un ritorno.
    Magari è rimasto affascinato dal tuo seminario sulle Nutrie e vuole dedicare la sua vita ai roditori, ma difficilmente un sedicenne te lo farà sapere: si attaccherà ad internet, magari, ma “in classe” terrà l’atteggiamento sfottente ed annoiato.
    Che se gli altri lo scoprono a fare il “cocco del prof”, si è fregato la vita.

    Anche qui, soprattutto in questo periodo in cui o sei come noi o sei fuori: ma la cosa è appunto d’ogni tempo, anche vent’anni fa era pericoloso sembrare troppo secchione.
    E questo può spiegare come mai siamo arrivati a questo 2010 con quei diplomati e laureati negli anni’80 e 90..

  11. OK, Iguana – abbocco.
    Non ammetto che mi si sbattano in faccia delle “facili scorciatoie”.

    Potrei essere sbrigativo e dire che se avessi voluto fare l’antropologo culturale avrei studiato antropologia culturale e comunque sarei andato a studiare i cacciatori di teste del borneo e non le baby-gang da Fnac, ma a me le cose facili non piacciono – anche perché sono illusorie.

    Quindi, un breve inquadramento.

    Io non credo che le cose siano cambiate significativamente, per molti versi.
    Le percentuali di individui accesi e spenti, di persone con una vita intellettuale eccitante e persone con una vita intellettuale sintonizzata sul minimo comun denominatore, credo siano rimasto grossomodo invariate negli ultimi trent’anni.
    L’impressione diversa è dovuta agli occhiali rosa attraverso i quali guardiamo il nostro passato.

    Eppure qualcosa è cambiato.
    È innegabile.
    Cosa?
    Il rapporto genitori-figli?
    Il ruolo autorevole degli educatori?
    È davvero tutta colpa dei cartoni animati giapponesi?

    Io credo che Quino, negli anni ’70, avesse colpito nel segno quando, disegnando un ragazzo che fuma una sigaretta mentre stringe in pugno un leccalecca, osservò che abbiamo talmente fretta di diplomarci dall’infanzia che non abbiamo il tempo di trovarci un posto nell’età adulta.

    Non c’è più la distinzione fra TV dei bambini e TV dei ragazzi.
    OK, dimmi che sono scemo, ma prima ascolta questa… gli anni fra i 6 ed i 16 sono stati schiacciati in un unico continuum – un’unica fascia di mercato alla quale sono stati proposti modelli adulti di consumo.
    Dev’essere maledettamente dura, avere 14 anni e volere qualcosa che legalmente potrai ottenere solo a 18…
    Specie se ti hanno detto che quella cosa, e quella cosa soltanto, definirà la tua identità.

    Con questo non voglio dire che sia colpa del mercato – pur restando dell’idea che l’unica cosa buona che un pubblicitario possa fare sia suicidarsi, subito.

    Diciamo che è una questione di gratificazioni, ed accessibilità delle medesime.
    Ed attraverso le gratificazioni, di stadi nello sviluppo della nostra auto-immagine.
    Se è vero che la percentuale di accesi e spenti era lòa stessa quando io andavo al liceo, è anche vero che noi siamo maturati più lentamente.
    Ciò ci fornisce una diversa percezione del tempo, una diversa scala di priorità.

    Cosa c’entra tutto questo col dialogo?
    Si dialoga per due motivi essenziali (a parte passare il tempo in sala d’attesa dal dentista, e farsi coraggio)
    . per scambiare informazioni
    . per costruire rapporti

    Nel caso in esame, lo scambio di informazioni viene cortocircuitato da una diversa percezione delle priorità.
    Ciò che io posso insegnare ad un adolescente gli interessa più o meno quanto ciò che lui potrebbe insegnarmi interessa a me.
    Ed il rapporto – a parte il “Ciuao, piccola, vuoi fare un giro sullamia macchina?”, che è garantito per metterti nei guai (anche perché per la mia percazione ha per lo meno vent’anni, ma in effetti ne ha quattordici), a parte i rapporti familiari (parenti, figli di amici), va a sbattere contro l’alienità che tu citi.

    Noi siamo alieni per loro almeno quanto lòoro sono alieni per noi.
    E non glie ne potrebbe fregare di meno.

  12. > Iguana

    Và bene anche conoscenza profonda, non me la prendo, ma non credo che sia semplice o utile, poi chiedo scusa, ma quella del -capire i giovani- è una cosa che sento da taaanto tempo…
    Alieni?
    Una volta si sarebbe detto -sono solo dei ragazzi-, e forse lo sono ancora, con i loro pregi e difetti e con il loro mondo e modo di vedere la realtà che non è il nostro come il nostro non è il loro ma, a parte questo, non sono alieni, sono solo giovani [adesso], poi verrà anche per loro il turno di cercare di capire le nuove generazioni… in fondo questo fà parte del “gioco”.

    Comunque il mio post precedente non era una risposta polemica al tuo, solo un personale pensiero sulla domanda di fondo di Davide, ovvero se era/è necessario parlare ai giovani [sedicenni], se ho dato un’impressione sbagliata colpa mia che non mi sono saputo ben spiegare.

  13. @ Davide: innanzitutto grazie per la risposta articolata (e per non avermi mandato a cagare :-))
    Quello che scrivi è del tutto condivisibile, ciò non toglie che io continui ad avvertire una punta di fastidio ogni volta che, accennando ad adolescenti e dintorni ci si ponga sempre con aria di superiorità o, quando va bene, di accondiscendenza. (non è il caso di questa tua risposta, lo dico a scanso di equivoci).
    È da questo fastidio che nasce il mio imbarazzo quando da queste parti si parla della meglio gioventù attuale.

    A me pare che il modello di sedicenne che emerge prepotente dai commenti sia inesorabilmente schiacciato sull’ideale televisivo imperante. Che, e almeno su questo punto non posso che concordare, è quanto di più povero, deprimente e volgare la nostra cultura è in grado di esprimere.
    Io però sono convinto che oltre a questo grado zero simil-bestiale ci siano molteplici altri modi di essere sedicenne oggi. E mi chiedo se l’incapacità di vederli dipenda dalla potenza dei media che hanno oscurato ogni possibilità di osservazione che non sia autoreferenziale o dalla nostra pigrizia che ci impedisce di andare oltre il primo impatto con l’immagine “maleducata” dei fanciulli in cui capita di incappare uscendo di casa.

    Qui non si tratta nemmeno di “capire i giovani” si tratta semplicemente di accettare la loro presenza senza mettersi pure noi a dargli addosso. Che non c’è dubbio: per i sedicenni noi siamo il nemico, ma siamo sicuri non abbiano ragione loro?
    Insomma quello che mi piacerebbe vedere è un po’ più di rispetto per ciò che non si conosce, per chi è diverso da noi, per gli altri, chiunque essi siano.

    (Ma forse sono solo i fantasmi del mio passato che han preso la parola nel rivedere a ruoli invertiti gli stessi meccanismi che hanno infestato la mia adolescenza, quando se solo avevi il capello troppo lungo o il vestito non proprio in ordine venivi additato al ludibrio generale dell’adultame circostante.)

  14. @Iguana
    Concordo in pieno sul fatto che il modello televisivo sia imperante.
    Non solo nella percezione di noi matusa, ma anche come modello comportamentale per molti ragazzi.

    Ma anche lì, è sempre stato così, credo.
    Ai miei tempi c’erano i paninari, coi loro piumini sgargianti e i capelli a spazzola, le ragazze invariabilmente col fiocco nei capelli, il golfino e la gonna a pois.
    Happy Days aveva fatto sfracelli.
    E tutti gli altri?

    Quindi, oggi come allora esiste una buona percentuale (se ti accontenti del 20%) che si defila, gioca la propria partita, porta avanti i propri interessi.
    Essendo inseriti in questo sistema, a differenza di noi alla stessa età hanno accesso a più opzioni e, a differenza dei loro coetanei spenti, hanno la scintilla che li porta ad usufruirne.
    Questi vogliono le lezioni, le conferenze, il dialogo – questi aggrediscono gli amici dei genitori per discutere.
    E brindo a tanta vitalità.
    Ma è una cosa privata.

    Il volto pubblico della generazione rimane quello fin qui dibattuto.
    E io sono preda della tristezza perchè vedo un mare di possibilità inutilizzate e, peggio, la convinzione strisciante, fra i potenziali utilizzatori, che tali possibilità non abbiano significato.

  15. I sedicenni, i sedicenni… ed i diciassettenni? L’età ingrata in cui si è “quasi” maggiorenni? Paradossalmente, ho avuto molte più difficoltà a gestire il rapporto con la classe di diciassette-diciotto anni che con quella di sedici, nella mia -purtroppo breve- esperienza di insegnante. E che questi fossero più reattivi ne ho avuto conferma, il giorno che mi hanno chiesto di continuare un argomento che avevo appena accennato. Sarà che la materia che insegnavo non era Matematica o Chimica, ma Storia dell’Arte.
    Invece, la classe dopo… il caos. La prima fila, forse per il fatto di essere sempre sott’occhio, stava per lo più con gli occhi incollati alla cattedra, ma dietro succedeva di tutto. Quello che ostentatamente mangiava a qualunque ora, quello che sparava fesserie e slogan da discoteca col tono di voce di una iena, quelle perennemente impegnate a mandarsi SMS o foto… e ricordo la rabbia che hanno mostrato, anche in modo francamente offensivo, durante il viaggio di studio in Inghilterra, quando al pub sono stati costretti a stare in una sala riservata ai minorenni, dove servivano solo analcolici, mentre le due-tre già maggiorenni potevano tranquillamente stare dall’altra parte a sgonfiarsi pinte di birra (poche, noialtri accompagnatori stavamo lì apposta).

  16. Ah, qui dsi dice “sedicenni” ma si considera l’intero ingrato continuum che va dalla fine dell’infanzia al conseguimento della patente di guida…

    Anch’io ho trovato elementi decisamente agguerriti al Liceo Artistico – ma forse perché è il genere di scuola che tende ad attrarre personaggi già piuttosto fuori dal coro.
    Forse,non saprei.

  17. Il problema è che gran parte dei sedicenni, secondo me, stanno dietro un banco di scuola senza saperne il motivo. Senza avere un motivo.
    Il sistema didattico attuale è un sparare alla cieca, arruolare ragazzi a caso, costringerli ad ascoltare quello che hai da dire, e sperare che quel qualcosa a qualcuno davvero interessi. Avere culo che su 30 prigionieri un paio siano capitati lì per scelta consenziente, o sempre per caso ma con la fortuna di beccare proprio l’indirizzo di studi adatto a loro.
    Per un insegnante è frustrante insegnare ai giovani? Pensate quanto possa essere frustrante per un giovane dover imparare qualcosa che NON gli interessa. Ma è lì. Perché da qualche parte doveva andare, e non sapeva dove. Perché a 14 anni non si può sapere cosa ti potrà piacere quando ne avrai 20-25-30. Ed è questo che si pretende dai giovani d’oggi: predire il futuro.
    E quello che si impara controvoglia in 5 anni di superiori, un 25enne motivato lo impara in 6 mesi. Il sistema didattico attuale è uno spreco di risorse spaventoso costruito sul concetto che “più si sa, prima si sa, meglio è”.
    Io lascerei ai giovani il tempo di trovare le loro passioni. Le scuole primarie dovrebbero servire a questo, secondo me.
    E l’istruzione “pre-lavorativa” dovrebbe essere più elastica e specialistica. Anche l’università è un “insegnare un po’ di tutto” senza sapere dove davvero poi si andrà a parare. E se anche qualcuno lo sa, si deve sorbire lezioni a lui inutili, e anni dietro i banchi. Sarebbe meglio essere più diretti, lasciar scegliere le lezioni da seguire, e spingere sugli stage formativi. Se hai scelto quale sarà il tuo lavoro, tanto vale imparare lavorando.
    Io personalmente vorrei cambiare la mia vita lavorativa. E trovo deprimente vedermi bistrattato e impossibilitato a ricevere un istruzione solo perché il sistema è basato sulla convinzione che “ho già scelto”, e ora sono vecchio per cambiare idea. E sono ancora sotto i trenta!
    Quindi, per rispondere alla tua domanda: no, non vale la pena parlare ai giovani, che a loro non interessa niente quello che hai da dire. Puoi avere l’atteggiamento che vuoi, istigare la loro curiosità come ti pare: sono e rimangono dei prigionieri costretti ad ascoltarti. E quando si è prigionieri, l’unica cosa che si vuole è essere liberi.

  18. Izzy, sottoscrivo in pieno la tua panoramica della situazione dell’insegnamento.
    Anche a me non dispiacerebe una università più flessibile e più connessa col mondo del lavoro – senza sudditanza, senza essere al servizio dell’azienda, ma capace di insegnare un lavoro e favorire la scelta personale dello studente.
    Ma mi dicono sia fantascienza.

    Grazie davvero per il contributo.
    Il discorso meriterà di essere ampliato in un prossimo post.

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