strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Perché lo facciamo – part deux

17 commenti

Torno con un paio di post alla questione scrittura – così poi metto tutto insieme in un bel manualone, ne vendo migliaia di copie e divento ricco.
Come no.

La scusa per questo post (e magari per i successivi, se ce ne saranno), è data dall’annuncio, pubblicato di fresco su Malpertuis – Elvezio Sciallis si appresta a scrivere un romanzo, e quindi per un po’ ridurrà la propria presenza web (più sul suo blog che su World of Warcraft, credo – ed è dura, quando, da lettore di blog, ti accorgi di contare meno di un’orda di goblin digitali).

Scherzi a parte, non posso che augurare buon lavoro ad Elvezio, naturalmente.
E rubargli la seguente osservazione…

I numeri sono contro di me.
Nel senso che se penso e affermo da sempre che circa il 90% della narrativa che ho incontrato in vita mia è pattume, è assai probabile che al 95% (con me devo essere un filo più cattivo) anche il mio romanzo lo sarà.
Come sapete, a rileggerli ora non avrei pubblicato un mio singolo racconto.
Sono quindi d’accordo con l’anonimo cuor di leone trepalle di qualche commento fa che si è messo a ridere triste: è molto probabile che produca una cosa mediocre.

Il problema, naturalmente, è – se nel momento in cui mi siedo a scrivere le prime righe già mi dico che probabilmente produrrò qualcosa di mediocre… ma allora perché buttare del tempo?

Nel post precedente, dal titolo Perché lo facciamo, ho dato un’occhiata molto rapida al perché si decida di scrivere un certo genere, in una certa forma – perché si prediliga un certo tipo di limiti e convenzioni rispetto ad un altro.

Qui vorrei fare un passo indietro e considerare semplicemente la colossale carica di spocchia, arroganza e presunzione che sta alle spalle della scrittura.
Di qualsisi scrittura.
Che io prepari un articolo scientifico, un post per il mio blog o una storia su un centurione romano, io parto dalla presunzione che qualcuno voglia legermi.
Di più, che qualcuno, leggendomi, ricavi qualcosa di positivo da ciò che scrivo.
Parto cioè dal presupposto che il mio articolo getti una nuova luce su un certo aspetto della realtà, che il mio post sul blog stimoli una discussione interessante e che il mio racconto possa non solo intrattenere il lettore, ma catturarne l’immaginazione, per cui io possa sentirmi non solo dire “Bravo!”, ma anche “Di più, ne vogliamo di più!”

E a questo punto, è lecito avere dei dubbi, giusto?
Chi sono io, per avere certe aspettative?
In fondo, lo ha detto Ted Sturgeon, il 90% di tutto è pattume, giusto?
Quindi, in termini brutalmente statistici, ci sono nove probabilità su dieci che il mio articolo sia fallato, il mio post noioso, il mio racconto orribile.
Diamine, lo ha detto Sturgeon, e chi sono io per negare la Rivelazione di Sturgeon?

Beh, in primo luogo, Ted Sturgeon ha anche detto Niente è sempre assolutamente così.
Che sarebbe poi la Legge di Sturgeon.
Ed io, per mia natura, confido di più nelle Leggi che non nelle Rivelazioni.

Ed in secondo luogo, scrivere non è un gioco d’azzardo.
Non è puntare sul 23 rosso e poi vedere cosa succede.
Quindi Sturgeon o non Sturgeon, il fatto che il 90% sia pattume non incide sulle probabilità che ciò che sto scrivendo lo sia a sua volta.
Non ho nove probabilità su dieci di toppare.
Non scriverò in media una buona pagina ogni dieci.
I numeri sono contro di me suona maledettamente drammatico, ma è privo di significato (scusa, Elvezio).

Ciò che contro di noi – e lo è davvero, e si maschera dietro a numeri o leggi attribuite a grandi scrittori morti – è il nostro censore interno.
È la Vocina di cui parla Magnum nei telefilm, quella parte del nostro cervello che ci dice, in sostanza, che andrà male.

Ora, esistono varie teorie (e tenete presente che io tutto ciò che so di psicologia l’ho imparato guardando Starsky & Hutch) sull’origine di questa famosa Vocina.
Secondo i più radicali, la Vocina è la sintesi di tutti quelli che la sapevano lunga che abbiamo incontrato nella nostra vita – insegnanti delle medie, professori di ginnastica, confessori, ex fidanzate, madri apprensive, blogger che hanno più visitatori di noi…
Tutte quelle persone che, per il nostro bene (e non mancavano mai di sottolinearlo) ci dicevano sostanzialmente che eravamo inadeguati.
Comunque.
Che è una bella teoria, ma io ne ho un’altra (si parlava di presunzione, giusto?)
La mia teoria è che la Vocina sia strettamente apparentata con tutti quei mecanismi endocrini per cui, paradossalmente, la produzione massima di adrenalina nel nostro sistema si ha quando dormiamo.
Si tratta di meccanismi sviluppati decine di migliaia di anni or sono, su savane ormai dimenticate, quando essere in grado di svegliarsi di botto, urlare e cominciare a correre significava non venire sbranati nel sonno da qualche grosso felino.
Quando avere una Vocina che ci diceva che sarebbe andato tutto in vacca ci portava a rivedere il nostro brillante piano di abbattere l’alveare con un bastone e rubare il miele in barba alle api assassine.

Ora, alcuni propongono di mettere al muro il censore interno, soffocare la Vocina una volta per tutte.
Ma se, ammettiamolo, lo avremmo fatto volentieri anche con professori e insegnanti, confessori e sacerdoti vari, parecchi guru, un paio di ex e un sacco di blogger, non possiamo mettere al muro la mamma, giusto?
La Vocina in fondo una sua stupida funzione la svolge, e nel momento in cui la sentimo, e sappiamo cos’è, e come lavora, possiamo metterla in prospetiva, trasformarla in qualcosa di costruttivo.
E poi metterla al muro (scusa, mamma).

Insomma, il primo essenziale meccanismo interno, per scrivere (sarà poi un altro discorso lo scrivere bene o male, ma ne abbiamo già parlato, e ne parleremo ancora)… il primo meccanismo essenziale, dicevo, è avere una certa sicurezza in noi stessi e nelle nostre capacità.
Non nel senso di essere degli arroganti egocentrici con l’autocritica di un blocco di marmo (per certe cose esistono i blog), ma di non permettere a fattori estranei di affossare il nostro entusiasmo da pagina uno.

Ed è vero, è di cativo gusto, presuntuoso e inelegante affermare Io sono in gamba.
Ma se consideriamo quanta gente è la fuori pronta a sostenere il contrario a prescindere, perché solo affossando gli altri, sempre e comunque (una scusa la si trova) riescono a provare una sensazione di valore personale…
Se abbiamo delle capacità, la modestia è una gran cosa, ma non si esprime con l’autoboicottaggio (esattamente come la competenza non si esprime con la stroncatura).

Quindi, ok, umili nell’avvicinarsi alla pagina bianca, ma non supini e derelitti.
Perché siamo in gamba.
Perché Sturgeon poteva anche avere ragione.
Ma sarà un divertimento dimostrare che non parlava di noi.

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Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

17 thoughts on “Perché lo facciamo – part deux

  1. Mi vien in mente il motto di Von cLausewitz citato da Patton: Audacia, Audacia e ancora Audacia.

  2. D’accordo in pieno. Qualche volte la Vocina ha ragione, che sia nella vita (istinto della preda) o davanti alla pagina vuota. E qualche volta parla a vanvera. L’importante è capire quale sia il caso e reagire di conseguenza. Peccato che se hai bassa autostima, di tuo, è difficile discernere tra i due casi 🙂

  3. Qualche giorno fa, dopo aver letto il tuo post su Corona, mi è nata in testa l’idea di postare un articolo e catalogare i dieci motivi, in chiave ironica, sul perché cui uno non dovrebbe scrivere un romanzo.
    Già in questo tuo post ci sono degli spunti e degli indizi su come devo lavorare.
    Uno potrebbe essere:
    “Non vi sentirete degli insicuri!”

    Tornato al contenuto vero del tuo articolo concordo in pieno sull’umiltà.
    Quelle poche volta che mi sono lasciato prendere dalla mano ho ricevuto delle sane palate sui denti e ho impiegato pochissimo tempo a rimettermi in riga.
    L’umiltà è una delle doti che maggiormente apprezzo nell’essere umano e quando si riesce a trasmettere in maniera empatica, forse non si piacerà a tutti, ma un buon numero di persone ci apprezzerà.
    Dal mio punto di vista l’esercizio e la lettura quotidiana creano il 99 per cento di un romanzo, la percentuale minima mancante è coperta dal nostro cuore e dalla nostra anima, se l’aggiungiamo senza timori è probabile che faremo qualcosa di buono.

  4. Tutto giusto. Sottoscrivo in piano.

    Aggiungo un mio ragionamento: noi scribacchini tendiamo a ragionare con la mentalità da lettori forti (oddio, direi anche “ultraforti”) quali siamo.

    Sto imparando che il pubblico, in media, non è così esigente.
    Attenzione, non sto dicendo che è stupido, quello no.
    E’ esigente IL GIUSTO.
    Il che vuol dire che non sono poi molti che cercano il romanzo della vita. Molti vogliono un po’ di onesto, sano e ben scritto divertimento.
    E se poi ogni tanto arriva il capolavoro, buon Dio, tutta grazia ricevuta!
    Ma nel mentre ci si accontenta di materiale godibile e sfizioso.
    Il che vuol dire che, se voglio leggere del buon steampunk e mi trovo un romanzo decente in mano, sono contento.
    Non pretendo la versione “I miserabili” o “Addio alle armi” dello steampunk.

    Poi va da sé, molti scrittori pensano di dover scrivere qualcosa che cambierà il mondo.
    Io, nel mio piccolo, mi accontento di allietare una mezza giornata a chi ha la pazienza e il piacere di leggermi.

  5. Pingback: Perché lo facciamo – part deux « strategie evolutive

  6. Per certi versi credo si possa semplificare in: per mettersi a scrivere un romanzo bisogna essere pazzi.

    E adesso provo a spiegare brevemente (anche a me stesso).

    Pensare di dedicare molto tempo/cervello della propria vita, mesi, non di rado anni, a un’attività che richiede impegno, confronto, autocritica, disciplina e costanza, è qualcosa che solo una persona pazza o fortemente motivata può pensare di fare.

    Se ci si aggiunge l’elevatissimo tasso di incertezza dell’esito di un simile dispiegamento di forze, è facile che la motivazione cominci a scricchiolare e prevalga l’esigenza della pazzia.

    Ma quella dello scrittore è una pazzia sui generis. Una pazzia che coniuga in maniera unica la presunzione di cui parli tu, all’umiltà necessaria all’autocritica. Infine il tutto nello scrittore è mantecato con un pizzico di vanità, un po’ come la vaniglia nelle torte.

    Poi – riprendendo anche il tuo commento al malperpost – è molto interessante l’aspetto legato al “provare”. E su questo, da buon alieno verdognolo quale sono, tendo ad adottare la filosofia di Yoda. Ma nella fattispecie (a meno che tu non ne abbia già parlato da qualche parte che mi è sfuggita) attendo una part trois. 😉

  7. Avevo parlato anch’io un paio di mesi fa di queste ‘teorie’ e della ‘Legge’ di Sturgeon ancche se in un contesto diverso.(http://ilgaragedidemetrio.blogspot.com/2010/09/un-contributo-consolante.html). Un’altra motivazione per le osservazioni di Elvezio potrebbe essere (ma qui andiamo sul cattivello! e sicuramente non è il suo caso): buttarsi avanti per non cadere indietro. Come a dire: lo dico già io che fa schifo, così non farò la figura del sapientone ignorante. Ma è solo un detto popolare delle mie parti!
    Temistocle

  8. Che botta di energia.
    Mi sento molto meglio.
    Grazie per il post.

  9. Pingback: Il carattere dei segni | Book and Negative

  10. Ovviamente concordo in pieno sull’umiltà .Cè un altro aspetto del tuo discorso che vorrei sottolineare :
    quello sulla vocina interiore e sui giudizi esterni. Mi domando ad esempio cosa sarebbe successo se tanti scrittori ,pittori o artisti avessero ascoltato i pareri negativi di amici,colleghi e familiari e non avessero pubblicato niente.L’esempio classico è Verdi bocciato dagli insegnanti perchè considerato inadatto alla musica? O Gozzano bocciato anche lui in letteratura ? O Van Gogh che in vita vendette un solo quadro? Ma potrei continuare.
    @ Alex.
    Ho notato un lapsus:
    “Sottoscrivo in piano “.
    Geniale

  11. Come disse Seven of Nine in Star Trek Voyager :”chances are irrelevant”

  12. Che poi anche se quello che fai rientra nel pattume, chi ti dice che gli altri se ne accorgano? 🙂

    “I sometimes marvel that a third-rate writer like me has been able to palm himself off as a second-rate writer” – G.Collier

  13. personalmente credo nell’asserzione: “nessuno crederà in te più di quanto tu creda in te stesso”. E’ una volgarizzazione della concetto della sfera d’influenza del Ki(o chi) orientale.
    Insomma, bisogna crederci per primi altrimenti sarebbe troppo facile.

  14. Ora ho scoperto come fare un sacco di hit sul mio blog – faccio un post sulla scrittura e poi lascio il PC spento per 24 ore.

    Grazie a tutti per i commenti.
    La citazione di Collier è uno spettacolo.
    Quella sul Chi è geniale.
    E il detto popolare di TIM merita di essere meditato a lungo.

  15. Pingback: La Spinta, parte prima « strategie evolutive

  16. Pingback: I Grandi Quesiti della Vita: Perché la gente scrive? | Space of entropy

  17. Molto interessante. La presunzione come arma per superare le sfide della vita è quello che ho intravisto nell’articolo. Può funzionare!

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