Ho riletto The Treasure of Tranicos, la notte scorsa.
La vecchia edizione ACE del 1980, con la costola irrigidita e le pagine ingiallite, che per me è quasi il sinonimo di fantasy.
L’ho riletta per due motivi – in preparazione per un futuro post su Il Futuro è Tornato, e perché mi è capitato di venire nuovamente assaltato da uno di quelli che sputano sulla tomba di Lyon Sprague De Camp.
Cominciamo da qui.
La storiella fa più o meno così – Robert E. Howard scriveva da dio, Conan è il vertice della narrativa fantastica; poi venne Lyon Sprague De Camp, a fare scempio del capolavoro, censurando la maschia prosa del texano, aggiungendo ridicoli dettagli su selle e staffe, e producendo una valanga di pastiches, spesso in combutta con Lin Carter.
E quindi quelli fighi sputano sulla tomba di De camp.
E anche quella di Carter, per far buon peso.
Ecco, io credo che sia una valanga di scemenze.
Tanto per cominciare, per dirla con Fritz Leiber – non esattamente l’ultimo arrivato – Howard al suo meglio era inarrivabile, al suo peggio era veramente pessimo.
E poi mi domando dove sarebbero, quei bavosi fan di Two Guns Bob, se non ci fosse stato, negli anni ’60, Lyon Sprague De camp a mantenere disponibili a prezzi popolari i lavori di Howard.
In edizioni discutibili, certo.
Ma senza De Camp a pubblicare tonnellate di Howard per la ACE, senza De Camp a cedere alla Marvel i diritti per i fumetti di Conan, senza De Camp a fare da consulente a John Milius, Conan e le altre opere di Howard sarebbero scivolate nel dimenticatoio, e sarebbero oggi oggetto di costose ristampe filologiche a bassissima tiratura, come capita ad altri eccellenti autori dei pulp, che alla morte di Weird Tales non vennero più ristampati.
Volete un esempio?
Posso acquistare tutto Conan, nell’edizione originale di Howard, senza gli interventi di De Camp, per circa la metà di una singola ristampa di una dozzina di racconti Henry Kuttner (che pure era un prosatore più disciplinato di Howard).
Lyon Sprague De Camp ha contribuito a mantenere vivo l’interesse per Howard, ed è responsabile della passione di coloro che ora si fanno un vanto di detestarlo.
La vita a volte è davvero strana.
Il che ci porta a The Treasure of Tranicos.
Howard lo scrisse negli anni ’30, col titolo di The Black Stranger, e non riuscì a venderlo.
Molto pragmaticamente, Howard riutilizzò la trama, con alcune modifiche, trasformando la sword & sorcery hyboriana in un’avventura storica, interpretatat dal pirata irlandese Black Vulmea, intitolata Swords of the Red Brotherhood.
Non si buttava via nulla, in casa Howard.
Sprague De Camp scovò le note originali di Howard, alcune pagine del manoscritto di The Black Stranger e il testo di “Swords” nei primi anni ’50, e risistemò la storia, trasformandola in The Treasure of Tranicos.
Pubblicata su Fantasy Magazine nel ’53 e poi in varie antologie, ottenen nel 1980 la dignità di volume a se stante, e uscì in un volumino della ACE con 50 pagine di illustrazioni di Esteban Maroto, e due saggi di De Camp.
Io misi le mani sulla mia copia nel 1986, credo.
La trama è howardiana e polposa – sfuggito ai pitti, Conan raggiunge il forte isolato nel quale un nobile zingarano in esilio tiene corte1.
Ben presto, il forte si trova preso fra due fuochi – pirati verso il mare, e pitti dall’entroterra.
Potete immaginare lo sviluppo.
C’è anche un tesoro, difeso da un demone.
E due giovani donen poco vestite, una bonda e una bruna.
E la prevedibile scena di flagellazione.
Un gran divertimento, insomma, con un sacco di battaglie, intrighi, doppi giochi e tradimenti, e chi più ne ha più ne metta.
Io ci son cresciuto, con questi volumetti della ACE, e con De Camp, come autore, editor, e divulgatore.
L’odore della carta da pochi soldi ancora mi riporta ad un’epoca forse più felice.
E mi è parso il caso di infliggere anche a voi queste riflessioni notturne.
- Siamo, evidentemente, oltre il Fiume Nero. ↩
8 Maggio 2012 alle 8:22 AM
Grazie, e buona giorata!
8 Maggio 2012 alle 10:08 AM
Totalmente d’accordo. Mi è capitato solo un paio di volte di difendere De Camp/Carter da qualche talebano, quindi mi fa piacere leggere considerazioni simili alle mie! 🙂
8 Maggio 2012 alle 10:17 AM
Grande storia, il Tesoro di Tranicos, la metto nel mio olimpo accanto a “la Torre dell’Elefante” e “Chiodi Rossi” (e “Lo Stagno dei Neri”, ovviamente).
8 Maggio 2012 alle 12:27 PM
Certo De Camp aveva uno stile diverso da quello di Howard però, in primis non mi dispiace per niente, poi è vero che senza di lui Conan sarebbe caduto nel dimenticatoio.
I Talebani, di qualsiasi genere, creano solo guai.:)
8 Maggio 2012 alle 10:24 PM
Io mi piazzo nel mezzo: è innegabile l’importanza di De Camp e Carter per la divulgazione dell’opera di Howard, ma i loro racconti con Conan come protagonista non è che mi entusiasmino particolarmente, anzi. Secondo me è come se avessero colto solo i tratti esteriori del personaggio, ma senza carpirne l’essenza. Spiegare come mi viene difficile, ma secondo me il Conan di Howard (che ai giorni nostri è diventato il clichè di un fantasy vetusto e superato) era “credibile”, adulto; quello di De Camp/Carter mi dà l’impressione di una rilettura che avrebbe potuto farne un adolescente, a prescindere dalle questioni di stile e dalla pedanteria della loro scrittura. Poi però sono anche della scuola che un racconto di Conan lo si legge sempre volentieri, a prescindere da chi l’abbia scritto 🙂
8 Maggio 2012 alle 10:51 PM
Nessun pastiche howardiano è all’altezza dell’Howard migliore.
Non De Camp, non carter, non Wagner.
Nemmeno Poul Anderson.
Meno che meno Offutt – i suoi lavori hyboriani sono romanzi godibilissimi, ma con Conan non c’entrano nulla.
(e sì, me li son letti tutti)
È necessaria una certa forma di nevrosi molto specifica, io credo, per scrivere Conan – e De Camp era maledettamente sano di mente (e anche tutti gli altri).
D’altra parte, se leggo De Camp, voglio leggerlo quando fa De Camp, non quando fa Howard.
Idem per tutti gli altri (tranne forse Carter, che quando fa Burroughs è divertentissimo).
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