Mi è capitato di leggere un post, sul blog di Aislinn, giù nel settore femminile del Blocco C, che mi ha dato da pensare.
Voi leggetevelo, il post di Aislinn, che è interessante – ma per intanto riassumiamolo così:
Aislinn si è stancata di vedersi correggere gli errori di grammatica dei suoi personaggi e dei suoi io narranti come se fossero errori suoi.
Una scocciatura legittima, direi.
Il fatto è che non necessariamente il narratore in terza persona deve essere privo di idiosincrasie, di vezzi linguistici o di uno stile, che non necessariamente rifletono quelli dell’autore.
Ora, onestamente, non è che io abbia una gran voglia di mettermi a discutere di narratologia, di prima persona, terza persona limitata, narratore onniscente.
Cercatevi un manuale, e leggetevelo.
Solo, ricordate che si tratta di un manuale – non di un credo.
Vi fornisce gli strumenti di base – che poi dovrete adattare alla vostra mano, al vostro modo di lavorare.
Ma se non vogli parlare di narratologia, di cosa voglio parlare?
Beh, mi piacerebbe parlare di fiducia.
Ai vecchi tempi era facile.
Usavano le cornici.
La storia di solito cominciava al club, e l’autore, proprio lui, quello scritto in copertina, ci spiegava di essere andato a fumarsi un sigaro e a bere un brandy con gli amici, e mentre si chiacchierava dell’India, degli ultimi eventi alla camera dei lord e del tempo, ecco che il vecchio Carruthers se ne era venuto fuori con una delle sue storie bislacche.
E qui l’autore passa la palla a Carruthers, cambia voce narrante, e ci racconta, in terza persona, certo, ma con tutti i vezzi del nuovo narratore, dei fatti avvenuti in Africa nel ’56, e che a Carruthers vennero raccontati da un erpetologo belga che faceva il veterinario a Mombasa, anche se probabilmente aveva anche altri traffici.
Questa struttura mette immediataente in chiaro per il lettore il fatto che svarioni, iperbole, sbandamenti e altri “difetti” non sono dell’autore il cui nome compare in copertina (e che nel prologo ci ha oltretutto dimostrato di saper scrivere anche benino), ma dello sciagurato Carruthers, oltretutto già lubbrificato con due o tre bicchierozzi di Lagavulin.
E poi, certo, andatevi a fidare del belga…
La dignità dell’autore è salva – lui si limita a riferire chiacchiere altrui, e l’intera, imbarazzante e poco signorile questione dell’invenzione viene attribuita ad un altro.
E intanto, l’autore ha a disposizione una pluralità di voci.
Oppure, che diamine, si trattava delle carte del vecchio zio Reginal Hinklebotham, consegnate all’autore in qualità di esecutore testamentario, che le ripubblicava qui di seguito, avendo apportato solo qualche minima alterazione al testo originale.
Lui già lo sa che la storia vi parrà incredibile, perché pare incredibile anche a lui – e tuttavia, non può esimersi dal pubblicarla.
I romanzi epistolari funzionavano più o meno allo stesso modo.
Nel presentarci il faldone con il carteggio relativo agli eventi narrati, l’autore si riserva un certo numero di voci, di punti di vista*, di opzioni.
E il lettore ha ben chiaro che gli svarioni grammaticali nelle lettere del giovane Charles Wadsworth, che sta a Bristol, sono errori suoi, di Charlie, non dell’autore il cui nome compare sulla copertina.
Oggi non si usa più.
Cornici narrative, framing device, romanzi epistolari, manoscritti ritrovati…
Oggi non si fanno (o così mi dicono).
Il che significa che spesso molti tendono a dare per scontato, sempre e comunque, che la voce narrante sia quella dell’autore.
E se perciò il frasario è grezzo, i congiuntivi latitano, e quant’altro – beh, ha sbagliato tutto! Corriamo sul nostro blog ad avvertire il mondo!
Il che mi ricorda quella compagna del liceo che avendo letto uno dei miei primi racconti (su un pianista di piano bar rapito dagli alieni), mi domandò con aria sconcertata
Ma tu sei davvero convinto che ti siano capitate queste cose?
Ora mi risulta lavori come psicanalista.
Il fatto è che non è assolutamente vero.
Non solo non necessariamente ciò che il narratore ci narra è davvero capitato a lui, ma non necessariamente l’autore scrive come mangia.
Non sempre la voce che “sentiamo” quando leggiamo il testo è quella della persona il cui nome sta scritto in copertina.
Magari l’autore ha scelto una maschera, uno stile specifico.**
E la fiducia cosa c’entra?
C’entra perché con quei framing device descritti qui sopra, in un certo modo l’autore si garantiva la fiducia del lettore.
Non sono uno che si inventa strane storie e parla strano, diceva, più o meno esplicitamente – sono solo un cronista che riporta fedelmente le parole altrui. Fidati.
Oggi questa fiducia nell’autore – la fiducia nel fatto che l’autore sa cosa sta facendo, sembra essersi incrinata.
La lettura è spesso ostile, aggressiva.
Vediamo dove ha toppato questo imbecille, sembra essere l’atteggiamento del lettore.
Eppure, il narratore è la persona che, nel mondo che sta descrivendo, rapresenta i miei occhi, le mie orecchie, tutti e cinque o sei i miei sensi.
Aprire il libro apagina uno è implicitamente accettare un contratto in cui io, come lettore, dico, ok, fammi divertire.
Se il lettore nega questo primo tacito accordo, tutto ciò che verrà dopo sarà un disastro.
ma la fiducia non c’è più.
Forse è per questo che in apertura ai film ora ci scrivono “Tratto da una storia vera.”
Per cattuarre alla svelta la fiducia del pubblico.
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* Io quelli che usano POV li farei sbranare da martore infuriate.
** Sì, lo so siamo a livelli elementari, siamo a livelli di 1700, quando il romanzo fece la sua comparsa e i framing devices erano necessari perché nessuno aveva mai visto un romanzo prima, e scambiarlo per narrazione fattuale – o che si millantava per tale – era molto facile (e gli autori rischiavano di essere malmenati).
Siamo decisamente ad un livello di sofisticazione, dei lettori, che pare fermo al 1709…
18 Maggio 2012 alle 10:28 AM
Mi farò un giro sul blog si Aislinn allora, però è vero, è seccante vedersi bacchettare, spesso da gente che magari non ha nemmeno letto bene o non ha posto la dovuta attenzione, il racconto o il libro in questione.
Del resto mi sembra ovvio che se in un libro il protagonista è un contadino medioevale, non potrà certo parlare come un professore di Oxford del nostro secolo, tanto per fare un esempio a caso.
18 Maggio 2012 alle 10:36 AM
Credo di avere raccontato della volta in cui uno spettatore venne a cercarmi backstage per dirmene quattro sui congiuntivi della mia protagonista di otto anni.
“È una bambina spaventata,” protestai. “Non bada alla consecutio…”
“Se non è capace di farlo da sola, si faccia aiutare da qualcuno, prima di passare un testo a una compagnia.”
A volte sospetto che alla mancanza di fiducia, si combini un certo qual truce compiacimento di saperne più di te…
E non si tratta solo dei congiuntivi, in realtà. Hai presente la prefazione di Firedrake’s Eye, in cui Finney… Ma questo richiede rimuginamenti. È un potenziale post quello che vedo davanti a me?
18 Maggio 2012 alle 11:13 AM
@Nick
Credo che più che scarsa attenzione nella lettura, sia proprio un non sapersi (più?) rapportare col testo, oppure…
@laClarina
… più che mancanza di fiducia, si potrebbe sospettare una mancanza di intelligenza.
E poi sì, c’è questa (crescente) ansia del lettore di mettersi in competizione con l’autore.
Ed è lì che la fiducia va a pallino – non siamo più complici o bonariamente avversari, siamo nemici.
Ma in realtà credo sia semplicemente un problema di immaginazione.
Si tende ad identificare la “voce” del romanzo con l’autore.
Per cui se sulla copertina c’è un nome femminile, leggendo sentirò nella testa una voce femminile… e così via….
… No, tutte illusioni, è proprio solo stupidità, temo.
18 Maggio 2012 alle 11:55 AM
Io veramente mi chiedo solo se oggi sia ancora necessario scrivere post come questi per chiarire come funzionano le cose
… evidentemente sopravvaluto troppo l’umanità 😛
18 Maggio 2012 alle 3:13 PM
martore infuriate. ci sarebbe da iniziare a allevarle, sì.
certo che un pubblico di cacaminchia così non sarebbe meglio lasciarlo in mano a se stesso e continuare a godersi le letture? io di solito le letture in genere cerco di affrontarle da fan, con la testa impostata sulla massima sospensione di incredulità possibile (e difatti mi bevo tutto e il contrario di tutto, forse è un male, ma di solito mi diverto)
o forse è un disclaimer in vista di una certa pubblicazione attualmente in fase di revisione ;)?
18 Maggio 2012 alle 3:15 PM
Ti ringrazio molto per avermi citato e sono contenta se il mio post ti ha dato lo spunto per questo.
In riferimento anche ai commenti che leggo qui, io adoro la terza persona limitata, che mi porta a raccontare tutto attraverso il linguaggio e l’interpretazione di un personaggio. Anzi, di più personaggi, perché a seconda della scena o del capitolo eleggo a personaggio-punto di vista l’uno o l’altro a seconda di ciò che mi sembra più efficace nella storia.
Lavoro così tanto sulla “voce” che, quando mi è capitato di far leggere un testo a diverse persone, che non sapevano chi fosse l’autore o l’autrice, nessuno ha capito che si trattava di una donna, il che mi porta a sperare che i personaggi-punto di vista, in quel caso tutti maschi, fossero ben costruiti.
Poi ti capita il parere di un lettore che non solo non ha capito nulla del lavoro che hai fatto, ma non ha neanche capito il finale (e non si trattava di un romanzo ermetico), anzi, nemmeno il prologo… E a quel punto ti chiedi: sono incapace io o costui non è in grado di leggere un testo?
Non voglio far la parte della scribacchina incompresa, perché se mi arrivano critiche ben motivate le accetto e anzi ringrazio di cuore per l’aiuto. Ma questo mi ha fatto proprio perdere le staffe.
Aggiungo solo:
Nick: il concetto è esattamente quello.
LaClarina: la tua esperienza è stata allucinante!
Engelium: sì, sopravvaluti l’umanità. Errore che tendo a commettere anch’io: ma poi che diamine, le storie finiscono nelle mani di lettori di ogni tipo. Chi ha gli strumenti – o anche solo un minimo di attenzione, perché non è affatto necessario aver studiato narratologia o scrittura creativa per distinguere tra autore, narratore, personaggio – capirà, gli altri… non siamo le loro balie. Fatto il nostro lavoro meglio che possiamo, anche il lettore deve metterci del suo.
18 Maggio 2012 alle 9:46 PM
Oh dear. Parafrasando la mia meravigliosa nonna: Quella che potrebbe sembrare stupidità, molto spesso lo è.
18 Maggio 2012 alle 9:50 PM
Il “contratto con il lettore” me l’avevano spiegato durante le ore di “narrativa”, se non ricordo male. Tutte cose a cui poi non penso, ma che poi fanno parte del mio modo di leggere.
Detto questo, a me la cornice narrativa piace! È solo passata di moda, ma conserva la sua forza, dato che alcuni autori moderni continuano a usarla. L’unica occasione in cui l’ho odiata è leggendo Lord Jim di Conrad, ma fondamentalmente perché ci ho messo un’eternità a ingoiarne la prima metà!
18 Maggio 2012 alle 11:41 PM
@Salomon: sento che non dovrei fare questo, ma… e dopo ti sei riconciliato con Lord Jim?
19 Maggio 2012 alle 10:44 AM
Due anni dopo l’ho ripreso in mano, mi sono fatto forza e sono andato avanti. E l’ho finito! La seconda parte è decisamente più avventurosa e avvincente. Però la parte del processo ho davvero fatto fatica a digerirla, anche se devo dire che il ritratto psicologico di Jim lì è davvero magistrale, e aiuta a capire le sue azioni successive.
19 Maggio 2012 alle 11:37 AM
Non so, non l’ho mai considerato una storia di avventura – quanto meno non soltanto quello. Però la prima volta che l’ho letto l’ho piantato lì dopo qualche decina di pagine, convinta che non mi piacesse… ma ero già talmente catturata che ho *dovuto* riprenderlo in mano e finirlo e poi in anni successivi rileggerlo più di una volta.
19 Maggio 2012 alle 1:08 PM
Lord Jim è anche una storia d’avventura – e ne sfrutta i moduli in maniera ababstanza consapevole.
Io comunque non faccio testo – prima di leggere il romanzo, avevo letto Kinky Friedman che raccontava di che effetto gli avesse fatto avere Lord Jim come unico libro da leggere per un paio d’anni passati nel Borneo coi Peace Corps (dove Friedman era stato impegnato “ad insegnare ai cacciatori di teste come si lancia un frisbee”).
Quindi, diciamo che avevo delle aspettative un po’ diverse dalla media.
19 Maggio 2012 alle 2:31 PM
Io l’ho letto qualcosa come dieci anni fa e avevo zero aspettative, avendolo pescato a caso in una bancarella “tutto a 1 euro”. Dovevo ancora conoscere Heart of Darkness. Rimasi bloccato dalla parte iniziale proprio perché lo immaginavo più incentrato sulle avventure di un tale Jim in chissà quale esotica regione del mondo, cosa che poi avviene nella seconda parte. Tra l’altro, Conrad mi pare avesse inizialmente pensato la storia come limitata all’episodio della nave…
Uff, mi è venuta voglia di riprenderlo in mano!
19 Maggio 2012 alle 5:01 PM
@Davide: LJ utilizza props&trappings del genere avventuroso a scopi diversi, direi…
Then again, nemmeno io faccio testo, vista la mia ossessione nei miei confronti di questo libro.
@Salomon: in origine doveva essere un racconto (tra l’altro parzialmente ispirato a un fatto di cronaca simile all’incidente del Patna), poi diventò un racconto lungo, poi una novella, poi un romanzo… Anyway, buona rilettura.