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Archeologi della Domenica

15 commenti

Sto leggendo un interessante libriccino intitolato The Amateur Archaeologist.
Si tratta di un manuale, pubblicato nel ’92, per dare una formazione minima agli appassionati di archeologia in modo che sappiano cosa fanno quando vanno in giro avanti e indietro per il paesaggio alla ricerca di reperti archeologici.
Un buon testo, che copre le basi in maniera chiara, zeppo di foto, disegni, mappe, esempi, indirizzi (ormai non più) utili.
Non è il primo libro di questo genere che mi capita fra le mani – l’altrettanto ottimo Archaeology is Rubbish, pubblicato da Channel 4, è una versione più riccamente illustrata e costosa, e recente, dello stesso principio.

Ci sono due cose che mi colpiscono, apartire dalla lettura di questo volume.
Si tratta di due fatti collegati.

Il primo è la biografia dell’autore del libro che sto leggendo.
Stephen Wass è un archeologo dilettante.
Nel senso che non credo abbia una laurea in archeologia.
Però ha cominciato ad occuparsi di archeologia a scuola, nel 1967, e da adolescente partecipava agli scavi archeologici nei dintorni del suo paesello, venendo regolarmente pagato, e costruendosi una esperienza che a 16 anni gli garantì il primo incarico come supervisore allo scavo.
Insomma, in termini puramente cinematografici, Stephen Wass è Sallah.

Trovo questa cosa assolutamente meravigliosa.
Diventare archeologo cominciando da ragazzino, scavando nei prati…
Cosa mi offriva la scuola, quando avevo 14-15 anni?
Di giocare a pallone.
O di starmene a casa a leggere*.

La seconda cosa curiosa di questo libro – e di molti altri in effetti – è questa impressione che si ricava, che basti farsi una passeggiata per la campagna britannica per inciampare in resti di interesse archeologico – che poi sia archeologia romana, pre-romana, medioevale o industriale, poco importa.
Ce n’è ovunque.

E allora mi domando… la campagna britannica?
E noi, che dovremmo essere la nazione col più vasto patrimonio culturale e archeologico al mondo?
Com’è che se vado a fare quattro passi per la campagna dell’Astigianistan trovo un sacco, ma proprio un sacco, di capannoni, ma archeologia maledettamente poca, salvo qualche chiesa romanica rabberciata col calcestruzzo?
Come è possibile che nel 1992 ci fosero 177 società amatariali dedicate all’archeologia in Gran Bretagna, con un totale di oltre 40.000 iscritti?
E da noi?
Da noi dove in teoria basta rivoltare un sasso per trovarci l’arte, dove sono tutti?

Certo, ricordo ancora molto bene lo scavo delle sepolture longobarde che erano state rinvenute nel cortile di Palazzo Carignano, a Torino, durante dei lavori di ristrutturazione, nel ’90.
Ricordo bene l’archeologa – o futura archeologa – che mi inseguì urlando e sventolando una cazzuola dopo che mi ero introdotto nel cantiere (il cancello era aperto) con una Nikon ed un teleobiettivo.
Il mio piccolo momento-Peter-Parker.
Capita di rado, di essere inseguiti da una bella donna, certe cose restano impresse**.

Ma ve lo vedete, un quindicenne che in una situazione del genere si presenta e dice che l’archeologia gli piace, e vorrebbe partecipare?

Da tempo mi piacerebbe mettere insieme un volumetto per dare una impostazione scientifica e dignitosa ai raccoglioni – quei paleontofili che si sbattono come dei dannati a caccia di fossili, e troppo spesso fanno più danno di una sequenza di catastrofi naturali.
Sarebbe bello, mi dico, trasformarli da piaga biblica in risorsa per la scienza.
Ma ormai il problema non si pone più – raccattare qualsiasi cosa da sottoterra, manufatto o fossile che sia, è ormai un reato perseguibile penalmente, e quindi ai ragazzini, quali che siano i loro interessi e le loro aspirazioni, rimane ancora solo e sempre il pallone.

Ma quand’è che la nostra cultura ha deciso di arrendersi in maniera così totale ed assoluta al pensiero unico?
—————————–
* Sì, è vero, c’erano i boy scout, con la loro aura di militarismo, l’etilismo rampante, i soprusi, le gravidanze indesiderate e il piacere di camminare per chilometri sotto al sole per poi dormire per terra.
Eh, e poi mi lamento, eh?

** Mia cara, non riuscisti mai a raggiungermi perché io non fuggii fuori, ma dentro – perché all’ultimo piano c’erano le aule di Geologia.
Da quelle finestre continuai a fare fotografie, ma i negativi sono perduti da tempo.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

15 thoughts on “Archeologi della Domenica

  1. Io mi iscrissi a scout, trovai un frammento di coccio con una lettera etrusca, bevvi, subii i soprusi, non venni ingravidato, marciai e dormii e partecipai alla manifesta di roma del 2003.

  2. * Sì, è vero, c’erano i boy scout, con la loro aura di militarismo, l’etilismo rampante, i soprusi, le gravidanze indesiderate e il piacere di camminare per chilometri sotto al sole per poi dormire per terra.

    Eh?

  3. Sugli scout mi sento di dissentire: a parte l’aura (ma appunto solo un’aura) di militarismo per il resto ho imparato un sacco di belle cose e mi sono divertita come in pochi altri momenti della mia vita. Certo poi la conseguenza è che sono diventata agnostica ma vabbè! Per quanto riguarda il resto a Roma per esempio c’è il gruppo archeologico che organizza le campagne di scavo anche per gli adolescenti. All’epoca ne ho fatte tre e incontrai un sacco di ragazzini appassionati. Poi c’era gente di tutte le età in effetti. Ora come ora, ma ne ho una conoscenza solo di striscio (nel senso che sento e leggo quello che scrive una mia amica che fa parte di archeologhe che resistono e già il nome dovrebbe far capire qualcosa), è vero pure che il mondo dell’archeologia (ma come tutto il mondo della ricerca purtroppo) versa in pessime acque. Sembra che l’Italia in nome di un’economia prima industriale e poi di mercato abbia completamente rinunciato a quello che potrebbe davvero fare la differenza rispetto a paesi come la Germania e la Francia: loro hanno le materie prime e certo che possono permettersi certe scelte. Le nostre materie prime sono il patrimonio artistico-culturale e quello ambientale. Ma mi sa che sto andando off topic! 🙂

  4. Prendendo spunto da quel che scrive Cassiana (e già che ci sono ritorno in topic) per segnalare le iniziative del Parco archeologico della Terramara di Montale (vedi il pdf lincato nella pagina): i miei figli ci andarono sia con la scuola (elementare) che con noi. Bella esperienza.

  5. (scusate la risposta tardiva e stringata – oggi ho la rete messa peggio del solito)

    OK, è chiaro che ho avuto esperienze con gli scout più traumatiche delle vostre 😀
    Ed ho incontrato ex scout più amareggiati 😉

    Bello ovviamente scoprire le iniziative di cui parlate – ci sono cose affini anche in queste terre – ma la sensazione di inadeguatezza (specie a fronte del colossale patrimonio archeologico nazionale) rimane.

    Lo stesso vale per i gruppi di resistenza.
    Grazie al cielo ci sono, ma…
    Ma come nota giustamente Cassiana, qui andiamo fuori tema.

  6. Bellisimo post.
    Un po’ malinconico, ma pieno di tante cose su cui riflettere.
    Ogni volta che spari un articolo di questi mi sento come se fossi nati in un posto sbagliato.
    Tra l’altro sono stato un (aspirante) archelogo dilettante pure io.

  7. Siamo un esercito – la nostra generazione è stata segnata da certe passioni.

  8. Mia mogliecè archeologa professionista, quindi ne avrei di cose da dire, in effetti un paio di volte ho partecipato ad un suo scavo. La sensazione però, anzi la certezza è che per l’ ennesima volta nel nostro paese si sia voluto sminuire il nostro patrimonio di professionalità . Basta fare un solo esempio pratico: gli archeologi sono forse l’ unica categoria che non è stata dotata di un proprio albo di categoria, sembrerebbe una stronzata detta così, però provate a considerare il fatto che nel nostro schifoso paese di solito un albo professionale ce lo hanno perfino le categorie più sfigate e insulse.

  9. Addendum: mia moglie mi segnala che comunque esistono diverse societá o coperative per archeologi non professionisti nel nostro paese.
    Ciao a tutti.

  10. Io è da un pò che sto guardandomi intorno epr vedere se le mie competenze da geometra possano essere riciclate in ambito culturale-archeologico.

    Dopo tutto diversi punti di contatto ci sono, ad esempio la topografia di per sè è la stessa, sia che tu la applichi per scopi catastali che per altro, i metodi impiegati sono quelli.

    Il fatto che non esista un ordine mi pare piuttosto strano, anche se solitamente non ci si pensa il mestiere di archeologo è piuttosto tecnico e richiede una formazione, oltre che umanistica, anche, appunto, tencico-scientifica (ed in effetti questo mix di competenze è una della cose che me lo renderebbe appetibilissimo… sigh…). Considerando che vogliono demolire anche tutti gli altri (enorme cavolata, se volete la mia opinione) però la logica ci sta tutta. Ri-sigh…

  11. allora, visto che sono un archeologo, mi sento chiamato in causa.

    – Cominciamo dall’archeologo dilettante.Sinceramente, libro a parte, questa cosa comincia a dare sui nervi. Se trovaste un medico dilettante, un ingegnere dilettante, un avvocato dilettante il vostro giudizio, io immagino ma correggetemi se sbaglio, sarebbe sicuramente negativo. ” come può una persona dilettante praticare in maniera professionale un mestiere per il quale sono richiesti anni di studio?”. L’archeologia però è scusata. Perché certo i miei otto anni di studio accademici, li ho fatti perché non avevo niente di meglio da fare. E così la mia laurea, la mia specializzazione, un mio eventuale dottorato. Pare che, per l’opinione pubblica in generale, per fare l’archeologo basti avere passione e tempo libero. La passione, per fare questo mestiere, serve. Ma servono soprattutto, preparazione, studio, conoscenza dei contesti e delle procedure di scavo ( no, non basta fare un buco per terra e si trova il tesoro e no, non giriamo per templi cercando idoli di oro massiccio – anche se a volte ci piacerebbe 😛 ). Quello che facciamo è raccogliere dati, studiare, analizzare, confrontare e interpretare. Per fare tutte queste operazioni occore saper scavare secondo procedure e metodologie ben definite. Occorre saper riconoscere classi ceramiche e altri tipi di reperti e saperli classificare. Occore avere un ricco bagaglio di confronti con la realtà che si ha davanti. E occorre saper interpretare ciò che si è scavato, formulare un ipotesi, per restituire dal terreno e dai reperti un informazione storica. Occore anche (ed è fondamentale) saper raccontare quell’informazione storica, Per confrontare quell’ipotesi con la comunità scientifica certo, e per restituire alla comunità quello che essa stessa ha investito sull’archeologo, in termini di risorse (sempre troppo poche, sigh), disagi (perchè un cantiere archeologico blocca lavori pubblici e privati) e anche perché il lavoro stesso dell’archeologo alla fine abbia uno scopo e un senso. Tutto questo si acquisisce con la pratica sul campo, certo, Ma anche con anni di studio. E c’è pratica sul campo e pratica sul campo. Uno studente di archeologia che partecipa alle campagne di scavo della propria università, non impara (o non dovrebbe imparare) soltanto a tenere in mano pala, piccone e cazzuola, a pulire uno strato, a disegnare piante e sezioni, a usare stazioni totali per il rilievo. C’è tutto il post-scavo, l’informatizzazione dei dati raccolti e la loro gestione, l’elaborazione di piante di fase, la creazione di database….Tutto questo sembra non venire riconosciuto né dall’opinione generale della legge, né tantomeno dallo stato italiano.
    Il non avere un albo e neanche una definizione professionale di “archeologo” sostanzialmente permette a chiunque di mettere su una cooperativa (le cooperative di scavo sono ditte a cui la sovrintendenza, non potendo fisicamente lavorare su tutti i cantieri di una regione, appalta i lavori) e gestire cantieri archeologici. Questo “mercato libero” porta varie consequenze, di cui sarebbe veramente lungo parlare e già il mio commento è abbastanza lungo. Ne cito solo una. Una cooperativa può dichiarare nel bando alla sovrintendenza che per un cantiere utilizzerà 4 archeologi. Sul cantiere invece saranno presenti 15 studenti, che saranno pagati meno del minimo sindacale (stiamo parlando di 7 euro all’ora lordi, giusto per fornire qualche cifra), i quali non saranno neanche forniti delle attrezzature che PER LEGGE la cooperativa dovrebbe fornire loro (anti infortunistiche, materiali da disegno, attrezzi di lavoro etc).

    – Il nostro paese; ha il patrimonio culturale più ricco e più sottosfruttato del mondo. Ma ha anche un sistema di gestione e valorizzazione del patrimonio stesso che evidentemente funziona poco e male, e per vari motivi. DA una parte sicuramente la cultura nel nostro paese ha avuto spesso il difetto di rimanere “elitaria”; non entro nel particolare, ma tutt’ora è difficile trovare musei “friendly” sul modello anglossassone o americano perché la cultura è una cosa SERIA. O trovare musealizzazioni particolaremnte ardite, come ricostruzioni o animazioni, perchè la paura è quella di trasformare i siti in una specie di Disneyland.
    Credo che dalle mie parole si capisca come io disapprovi in maniera decisa. Abbiamo musei con pezzi incredibili, musei i cui magazzini contengono cose incredibili, di cui non sappiamo cosa fare. Abbiamo siti archeologici stupendi e sconosciuti, o lasciati in stato di degrado assoluto. In un paese come il nostro che non ha di per se grandissime risorse naturali per l’industria, la cultura da sola potrebbe essere IL motore economico nazionale. Qualche mese fa Andrea Carandini, proponeva di usare i pezzi del magazzino del museo archeologico di Napoli per aprire un museo della cultura mediterranea classica a Shangai.
    Non entro nel panorama della ricerca universitaria, di cui Davide ha già parlato tante volte.

    Scusate lo sfogo e il papello un po’ aggressivo, forse alcune cose erano scontate ma mi sembrava giusto ribadirle. Buona continuazione 😀

  12. Corsaronero, niente aggressività.
    Parliamo.

    Ciò che tu dici dell’archeologia io lo vedo per la paleontologia – non chiamiamo gli appassionati “raccoglioni” per fargli un complimento.
    Però mi aggancio proprio al tuo discorso sulla raccolta dei dati e su tutto il lavoro a monte e a valle dello scavo.
    Userò esempi presi dal mio ambito accademico, ma credo saremo più o meno in grado di capirci.

    Dato di fatto – i raccoglioni esistono.
    Se escludiamo dal discorso quelli che ne fanno un commercio, che vanno sul sito col martello pneumatico e che andrebbero impiccati sul posto, la maggior parte dei raccoglioni sono persone degnissime, che arrivano sul sito, lo devastano, distruggono magari duecento pezzi per portarsene a case tre “belli”, che seppelliscono in eterno nel loro soggiorno, magari avendo solo un’idea molto vaga di ciò che sono.
    Sta accadendo, in questo momento, mentre io scrivo.
    Il fatto che io pianga, mi strappi i capelli o invochi un albo (i geologi ce l’hanno – e guarda quanto siamo rispettati) non cambia questo fatto.
    La legge, che prevede multe e arresti per la rimozione di qualsiasi resto fossile dal terreno (per cui un bambino di 5 anni, sulla spiaggia, se si porta a casa una palettata di sabbia, che è zeppa di microfossili, è da arresto e processo per direttissima – o se non lui suo padre per favoreggiamento), è una stupidata.

    Allora perché non dare una formazione e una struttura a questi inevitabili appassionati?
    Perché non informare l’appassionato sulle procedure, in modo da renderlo capace di fare ciò che nel suo piccolo può fare, evitando ciò che è oltre le sue possibilità?
    Perché non tramutiamo il raccoglione in un segnalatore per i professionisti, invece di lasciarlo al margine della legge, oggetto di scherno o fastidio?
    Perché non tramutare i raccoglioni in raccoglitori di dati, con un metodo, una procedura, un numero da chiamare per le emergenze ed un posto dove segnalare i propri ritrovamenti, con una dignità riconosciuta, con la possibilità di vedere i “loro” pezzi esposti, correttamente identificati?
    Perché non fornire un patentino, che paradossalmente ha chi va a funghi, ma non chi va a fossili?

    Perché insomma non cercare di tramutare i paleontofili o gli archeofili in una risorsa come è accaduto con gli astrofili?

    Oltretutto, non sarebbe la realizzazione e la gestione di, la partecipazione a un network di questo genere, una prospettiva per i neolaureati nella mia o nella tua scienza, preferibile ad un call center?
    Non sarebbe un modo per dare un’esperienza di lavoro e di comunicazione a chi esce dall’università, al contempo censendo e valorizzando l’intero patrimonio nazionale, e lavorando per rendere le persone la fuori migliori?

    Non sarebbe interessante insomma, in linea di massima, e facendo un discorso molto generale, riconoscere la passione in tutte le sue forme, grandi e piccole, garantire la dignità di tutte le persone coinvolte, accrescere il pool di competenze a tutti i livelli, e fare scienza, anziché politica?

    Non sarebbe, alla fine, proprio un riconoscimento di quell’importanza e quella dignità che invece tu per primo sostieni – e io concordo in pieno – non ci viene riconosciuta dai nostri politici e amministratori?
    Non sarebbe proprio un modo per sfuggire all’impostazione elitaria che entrambi lamentiamo?
    Non sarebbe un modo divertente per fare qualcosa di serio?

    È solo questo, che io sostengo.
    Solo un’idea, naturalmente.

  13. Sono in linea generale d’accordo con te. I raccoglioni esistono e anzi, nel mio campo, sono una realtà diffusa e che, in alcuni casi, funziona proprio nel modo in cui hai pensato. Ho lavorato poco tempo fa con il Museo di una piccola città del piacentino, museo nato e gestito da volontari, che si occupano di organizzare e segnalare i ritrovamenti casuali nei campi,di condurre piccole campagne di scavo in siti del loro paese che rimarrebbero altrimenti sconosciuti, perché non inseriti nelle priorità di intervento della sovrintendenza. Organizzano incontri e conferenze, invitano studiosi e partecipano a seminari per diffondere quello che hanno trovato. La coordinazione scientifica è affidata ad una archeologa specializzata, mentre il grosso del corpo di volontari è gente appassionata, che attraverso l’esperienza, viene anche formata.

    Così funziona. E su questo sono d’accordo con te; la maggior parte delle realtà di appassionati e volontari fosse coordinata da una direzione scientifica che ne garantisce una formazione e, però, si prende anche la responsabilità scientifica – nel bene o nel male- di quello che viene fatto, io ci metto la firma. Purtroppo nella mia esperienza non sempre è così.

    Altro dato che andrebbe tenuto presente, è che volontari, appassionati, raccoglioni, fanno gratis quello per cui noi archeologi siamo (meglio dire dovremmo essere) pagati per fare. Perché se un comune vuole affidare lo studio di alcuni reperti per creare il museo del paese, a chi lo affida, all’archeologo che deve pagare o al volontario/appassionato/raccoglione? E quanti bandi di scavo ci sono aperti su internet per volontari/appassionat ecc ecc?

    Il nostro paese ha un patrimonio culturale che da solo basterebbe a far lavorare tutti i suoi archeologi se solo su detto patrimonio si investisse in maniera seria e capillare.
    I raccoglioni possono essere una risorsa, preziosa per il nostro patrimonio, a patto che le competenze non si sovrappongano e non vadano ad eliminarsi a vicenda. (leggesi non voglio lavorare in un call center perché qualcuno fa il mio lavoro gratis 😀 )

  14. Io sono archeologo. Di quelli laureati in. Di quelli che hanno lavorato nei campi d’istruzione, con la soprintendenza, che hanno fondato cooperative (2) e hanno lavorato per anni, con operai, studenti, archeoclub, in proprio, con i musei. Sono stato il piu giovane direttore di museo d’italia. e l’anno dopo sono diventato il più giovane direttore di DUE musei d’italia. Una volta ho trovato una necropoli volsca dentro un parcheggio dell’Agip al centro di Frosinone. Per un paio d’anni ho condotto gli scavi al Castello di Piombinara. Ho lavorato e ho vissuto di archeologia e turismo in Italia, cercando di barcamenarmi con l’Italia e come è fatta. Roma, Sardegna, Toscana, Frosinone e Sicilia. Posti dove se pianti i pomodori trovi anfore di duemila anni.
    Adesso vivo in Irlanda e sono un banale impiegato di una multinazionale e, vi dirò, vivo molto meglio e sono più felice. Cosa voglio dire? Che l’Italia mi sembra veramente un posto invivibile anche per quelli che ce la fanno e OTTENGONO quello che vogliono. Non si può lavorare in Italia, fare bene le proprie cose ed avere una qualità della vita migliore di quella di un normale impiegato da un’altra parte…

  15. @maurolongo
    Grazie della testimonianza, anche se ammettiamolo, lascia una certa amarezza.
    Però conferma le mie peraltro ridotte esperienze – è vero che è possibile fare un sacco di cose, ma costa una fatica tripla rispetto al normale.
    E dopo un po’ il sistema si chiude – avevo un post in rampa di lancio anche su questo aspetto, ma meglio lasciar passare qualche giorno, che già siamo tutti di umore pessimo così 😉

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