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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

La passione non (si) paga

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La prima volta che mi ritrovai davanti a degli studenti per insegnare loro statistica, l’amica il cui dipartimento universitario mi ospitava mi presentò come “appassionato”, di statistica.
Già – la laurea, dopotutto, ce l’ho in geologia.
Sono un micropaleontologo.
Il fatto che io abbia imparato (un po’ di) statostica da autodidatta non è (o per lo meno non era all’epoca) parte del mio curriculum accademico.
Perciò, sì – in fondo avevo lavorato sull’argomento, sciroppandomi articoli e manuali, pacioccando coi software per vedere come funzionavano e se funzionavano, sostanzialmente per passione.
L’argomento mi interessa.
Mi diverte.
Mi affascina.
L’analisi statistica di dati relativi alla paleontologia, agli ecosistemi, è una miscela di esplorazione, investigazione, rompicapo logico, gioco con le matite colorate.

Questa della passione, d’altra parte, è una lama a doppio taglio.
Credo di aver già raccontato come un collega dell’Università di Torino venne a chiedermi se

Questa storia della statistica tu la fai per passione, o vuoi essere pagato?

Lui aveva dei dati, vedete, ed avrebbe tanto voluto farci una analisi statistica.
Non che lui fosse in grado, o avesse voglia di seguire uno dei miei corsi, ma non gli sarebbe dispiaciuto se io avessi reso dfisponibile quella mia storia della statistica
Gratis.
Se poi avessi anche evitato di volere il mio nome sulla sua pubblicazione, sarebbe stato me-ra-vi-glio-so.

Ecco, era il 2003.
E se i miei corsi sono sempre stati pagati, grazie, sono ormai nove anni che mi vedo offrire l’alternativa.

passione o denaro

Perché apparentemente, se fate bene un lòavoro che vi piace fare, non sarebbe poi il caso di pagarvi.
Perché offrirvi del denaro? Dopotutto, lo fate per passione, no?
Lo fareste anche gratis.
Anzi, magari paghereste anche, per farlo…

Io credo che lavoro e passione siano assolutamente indivisibili.
L’idea di spaccarsi la schiena a fare un lavoro orribile, odiando ogni minuto, perché così vuole la nostra cultura pseudo-cattolica*, mi è sempre parsa una truffa.

Eppure, provate, a trasformare la vostra passione in un lavoro, e vedrete un sacco di smorfie, sentirete riecheggiare su e giù per le vallate il solito, classico

Ma allora ci vuoi guadagnare!

… come se aveste tradito la vostra vocazione monastica, inquinando col vile denaro ciò che fino a quel momento avete fatto gratis.

Certo, non è proprio incoraggiante sentirsi dire, implicitamente o esplicitamente

Ciò che fai mi piace, ma non credo che valga un euro.

E potrei parlare di questo, ma ne ha già discusso ampiamente ed esaurientemente Minuetto Express.
Andate a leggere quel post.

No, quello che mi andrebbe di discutere, nelle prossime poche righe, è come questa dicotomia apparentemente inconciliabile fra passione e lavoro, fra passione e retribuzione, si rifletta sul nostro mondo del lavoro, sulla scuola, su tutte le attività umane che comportano una fatica mentale o fisica.

Questa idea che la sofferenza faccia bene.
Che divertirsi sia comunque una cosa sporca, fuori luogo, che distrae dall’impegno e squalifica i risultati.
E per estensioni, la pessima opinione di chi, invece di spaccarsi la schiena, lavora seduto all’ombra.
È poi in fondo il motivo per cui si sbuffa alle pretese dei laureati (gente che ha buttato il proprio tempo sui banchi, comodamente seduta, invece di… bla bla bla), si considerano scelte come la musica, la pittura, la scrittura, la fotografia, come hobby, come rubare i soldi per divertirsi.

Questo naturalmente significa che avere un figlio “artista” è in fondo un motivo di vergogna.
Significa che studiare è una scappatoia, un trucco per non andare a lavorare e “farsi mantenere”.
Significa che tutte le spinte che di fatto portano al miglioramento sono viste con sospetto, disprezzo, superiorità.
Ed in fondo, perché desiderare il miglioramento?
Se lavorare significa soffrire, allora più arretrato è il posto di lavoro, più onesto è il lavoro che si svolge.

Ed ora badate bene, non sto dicendo nulla contro i lavori umili, manuali, brutti, o quelle cose che tocca fare per mettere insieme il pranzo con la cena – ciò che sostengo è che provare piacere nel fare ciò che si fa è un diritto.
Rende più facile svolgere il proprio lavoro.
Ci spinge a migliorarci.
Che sia cercare il Bosone di Higgs o risuolare un paio di scarpe, se è fatto con passione è bello, piacevole e leggero per chi lo fa.
Ma ciò non significa che non valga il denaro che lo si paga.

E dovrebbe essere normale, per chiunque, potersi guadagnare onestamente da vivere facendo ciò che l’appassiona.
Ma se provate a dire, alla domanda “Cosa farai da grande?”,  che da grandi volete fare qualcosa che vi piace, vi diranno che non è possibile.
Che è infantile.
Che è un capriccio.
Che non è così che funziona il mondo.

E si sarebbe quasi portati a pensare che questa mentalità per cui l’ambizione è male, e la passione è una cosa sporca, sia stato studiato per mantenere un certo status quo.
Folle, eh?

———————————-

* Ricordate, quella faccenda del pane e del sudore della fronte…

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

34 thoughts on “La passione non (si) paga

  1. Bravo condivido tutto….
    Angie

  2. Questo articolo mi trova (quasi) completamente d’accordo (quasi perché la questione della cultura cristiana non è che mi abbia convinto granché… :D). Del resto è così che si viene trattati quando si esce dal seminato: -che lavoro fai?- -il regista e l’insegnante di teatro- -ma dai! E lo fai proprio per lavoro?- è quasi routine. Come del resto è routine la gente che pretende che le “arti” siano sostanzialmente passione, e passione=gratis. Chè tanto il teatro nelle scuole lo insegna pure la maestra, che va a teatro due volte al mese, è tanto appassionata. Tanti saluti alla professionalità, come ennesima conseguenza del lavoro gratis perchè è passione. Devo dire comunque che questo tipo di meccanismi pensavo fossero estranei al mondo accademico…beata ingenuità 😀

  3. Completamente d’accordo con l’articolo, ma non credo nemmeno io al fatto della cultura cattolica.
    Penso si tratti sempre di menti incapaci e frustrate, che costretta a vivere una vita che non vogliono (o perché costretti da giovani, o perché deboli per seguire le loro passioni) non riescono a vedere qualcun altro che lavora in qualche ambito che gli piace, men che meno in ambiti considerati “non lavorativi”.
    La cosa brutta è che la maggior parte della gente è cosi, nonostante poi la maggior parte di questi legga, ascolti musica, guardi film,…

  4. 1) “Mamma non va al lavoro, mamma va solo in ufficio.”
    (Implume treenne, sulla differenza tra lavoro manuale e lavoro di concetto)

    2) “Ah, ok, ma di lavoro vero, invece?”
    (Troppa gente, dopo lo scambio – Di cosa ti occupi? – Scrivo romanzi storici e teatro)

    3) “Be’, ma il tuo non puoi chiamarlo davvero lavoro: fai una cosa che ti piace…”
    (Mia cugina – che, incidentalmente, non ha mai lavorato un giorno in vita sua)

    4) “Ma dài, e ti pagano per questo? Ma allora lo faccio anch’io! Ha ha ha!”
    (Troppa gente, sottintendendo trattarsi di ispirato e aereo giochetto di cui tutti son capaci – non fosse che sono impegnati a lavorare davvero.)

    4)b “Ma scusa, se l’altra volta l’hai fatto gratis, perché stavolta dovrei pagarti?”
    (Persona cui si è fatta una gentilezza una volta per motivi personali/famigliar/benefici o che altro…)

    4)c “Ma no che non vuole essere pagata, tanto per lei fare queste cose è un divertimento!”
    (Troppa, troppissima gente, in ogni possibile circostanza).

    5) “Eh no, per fare Inglese ci vuole la Specialista.”
    (intendendosi fanciulla con corso di due mesi alle spalle, grammatica brada e orrida pronuncia – che procede a trasmettere tal quale agli implumi. E non essendo Specialista, io posso insegnarlo solo gratis)

    6) “Ma mia figlia ha studiato, vorrai mica che vada a fare la commessa?”
    (Genitore a scelta di disoccupatissima ultratrentenne, con carriera di fuoricorso decennale, laurea acquisita per sfinimento e nessun gusto o talento per il Diritto – cui fare la commessa piacerebbe anche, ma non si può perché “ha studiato”…)

    Ovvero, sì: abbiamo un’etica del lavoro all askew e un sacco di pregiudizi, ma anche, temo, una bizzarra idea della relazione studio/lavoro – se pensiamo che avere faticosissimamente e inutilmente conseguito una laurea intitoli a considerare inaccettabile un lavoro da commessa…

  5. 4)b “Ma scusa, se l’altra volta l’hai fatto gratis, perché stavolta dovrei pagarti?”
    (Persona cui si è fatta una gentilezza una volta per motivi personali/famigliar/benefici o che altro…)

    Geniale! Succede anche a me! 😀
    E’ il motivo per cui ho tendenzialmente smesso di fare il mio lavoro gratis, per chiunque o per qualsiasi motivo.

  6. @gherardopsicopompo: Saggia conclusione – cui sono giunta e che cerco di applicare.

    E che dire di questa variante:
    “Fretta, fretta, frettissima, serve per domani, per oggi, per ieri, ti prego in ginocchio, ti supplico, t’imploro…”
    And you oblige, e la volta sucessiva invece richiedi un tempo ragionevole e ti guardano con occhi da cocker (e un nonnulla scettici):
    “Ma scusa, se l’altra volta l’hai fatto in una notte e un giorno, perché stavolta vuoi prenderti due settimane?”

  7. Si… suppongo che i fotografi professionisti odiano la fotografia. Che la Pellegrini odia nuotare. Che la Cagnotto ha addirittura paura dell’altezza, e si tuffa solo perché costretta. E così anche molti giornalisti, tutti i giornalisti. Li hanno costretti con la forza a fare domande sceme in giro per il mondo. Senza contare gli astronauti, tutti quanti odiano il loro lavoro, e hanno un terrore folle di infilarsi dentro una palla di metallo ed essere sparati nello spazio. Caspita! Comincio a pensare che persino il nostro ex presidente del consiglio odiasse il suo mestiere. Lui preferiva cantare sulle navi, già… questo l’ha sempre detto, tant’è che, per passione, ha scritto qualche brano assieme ad Apicella.

    Mannaggia… cosa ci tocca fare per portare a casa la pagnotta. 😦

    Qui in Italia c’è una visione davvero distorta del mondo del lavoro. Non è colpa dei genitori, che magari vengono da un’epoca in cui lavorare significava mangiare, e per cui si faceva ciò che si poteva e non c’era spazio per le passioni. Ma oggi…

  8. Dunque dunque…

    Sui dubbi relativi alla cultura cattolica – ci ho messo pseudo- proprio per quello.
    D’altra parte quella della sofferenza come segno di particolare attenzione da parte della divinità non l’ho inventata io 😉

    @gherardo
    Il mondo accademico è una espressione del mondo in genere – perciò c’è di questo e c’è di quello, e purtroppo di quello ce n’è parecchio.
    Perché una cosa è essere presentati come “appassionati”, ricevere il dovuto rispetto e la dovuta considerazione, e venire pagati per un lavoro qualificato ben fatto, una cosa ben diversa è sentirsi chiedere se “questa storia della statistica” la si fa per passione o per soldi.
    Insomma, la distribuzione di idioti è casuale rispetto alla popolazione.

    @laClarina
    Beccati quasi tutti… anzi no, proprio tutti, con le dovute variazioni.
    Sulla faccenda della commessa, d’altra parte esiste un rovescio della medaglia – se avessi voluto fare il magazziniere in un supermercato, mi sarei cercato un posto a vent’anni, e non avrei bruciato tempo e risorse per laurearmi.
    Questo per dire che non esistono lavori “non abbastanza dignitosi” per le nostre qualifiche, ma che sarebbe bello fare ciò per cui si è studiato e che – in linea di massima – è ciò che ci piace.
    Ogni riferimento a ministri che suggeriscono agli ingegneri di “essere umili” e fare i ciabattini, è puramente casuale 😉

    Aggiungo infine come nota a pié pagina che statostica, che compare a inizio post, è un meraviglioso neologismo che sintetizza quanto mi sia stata ostica la statistica appresa da autodidatta.

  9. Ah, Glauco, il bello è proprio questo… che esiste una vasta ammirazione per personaggi che fanno cose che se i nostri figli si proponessero di fare, noi faremmo tutto il possibile per dissuaderli…

  10. @laClarina questa delle tempistiche mi manca… Non si sono ancora spinti così oltre 😀 Anche perchè quando mi chiedono “prestazioni” di scrittura drammaturgica generalmente ammettono di non saperne una cippanulla, e quindi posso prendermi (più o meno) il tempo che voglio. 😀

    @Davide d’accordissimo sulla questione rovescio della medaglia…mi capita spesso (troppo spesso) di incontrare gente che è “costretta” a fare la cassiera, il magazziniere, il meccanico ecc. dal “mondo crudele” che non gli ha permesso di sviluppare come si deve il suo amore per …. (inserire random arte/pittura/musica/archeologia). A volte mi domando quanta di questa gente fosse davvero con le spalle al muro e una famiglia da mantenere, quando ha scelto di fare quello che fa…

    la “statostica” è geniale 😀

  11. Io durante e dopo gli studi ho fatto tutta una serie di lavori che con la geologia e la paleontologia non c’entravano nulla – dall’insegnare italiano agli stranieri a fare lo spaventapasseri, dal vendere polizze assicurative al vendere auto usate.
    Sono tutti lavori che mi hanno permesso di mantenermi – o hanno contribuito a mantenermi – e da tutti ho cercato di imparare qualcosa (e spero di esserci riuscito).
    Però nessuno di questi era il mio lavoro.
    Adattarsi ed essere di bocca buona è una cosa – rinunciare a ciò su cui si è investita una fetta consistente della propria vita è qualcosa che nessuno ha il diritto di chiederci.

    E come diceva quel tale, ci sono due cose che non bisogna aver fretta di criticare – la donna che un uomo si sceglie, ed il suo lavoro.

  12. “Be’, ma il tuo non puoi chiamarlo davvero lavoro: fai una cosa che ti piace…”
    Esatto. Oramai è una questione sociale, o sociologica. Per essere uguale al resto del branco devi avere un lavoro canonico, diciamo dalle 9.00 alle 17.00, possibilmente brutto e con cui lamentarsi con gli amici nel week end*. Ovviamente se vieni pagato per fare una cosa che ti piace vieni considerato un fortunato (e non uno che si è sbattuto per realizzare i suoi sogni). Senza considerare la mentalità tutta “nordica” secondo cui se non arrivi a sera stanco e sudicio non hai davvero lavorato.
    Io mi sono ribellato a tutto ciò fin da dopo la fine dell’università. E ancora non mi arrendo.

    *Poi chi è che si lamenta, eh?

  13. Beh, il risvolto della medaglia è che c’è tanta gente che si rifiuta (in questi tempi di magra!) di fare determinati lavori perché non sono quelli che fanno per loro. Esempio vissuto personalmente: alla stazione di Bergamo un paio di settimane fa alla biglietteria una ragazza distesa per terra sta parlando al telefonino proprio accanto a me che sono in fila: “mi hanno offerto un lavoro (con aria quasi disgustata), pensa: sei mesi dalla prossima settimana! E tu credi che io possa accettare di perdere sei mesi della mia vita a fare un lavoro che non è il mio ideale?”

  14. Più che altro mi domando se se lo possa permettere.
    Se se lo può permettere, di rinunciare all’offerta, meglio così – magari lascia il posto a qualcuno che invece lo desidera.

    Il fatto di cercare un lavoro, non significa che si sia disposti ad accettare qualsiasi lavoro.
    E accettare qualsiasi cosa, pur di lavorare, è una scelta, rispettabile come tale, ma non è necessariamente un segno di virtù.

  15. Mi trovi completamente d’accordo. Trovo insopportabile questa concezione del “lavoro onesto e serio” che va retribuito… mentre ogni tipo di creazione mentale è vista come un passatempo, una frivolezza, una distrazione. E pure l’insegnamento, purtroppo. Insomma, se il frutto del tuo lavoro non si può pesare con la bilancia, difficilmente si otterranno riconoscimenti di sorta..

  16. sono d’accordo su tutto quanto concerne la critica alla mentalità lavoro=sofferenza e passione=”stronzata senza valore”, però in tutto questo bisogna mantenere anche i piedi per terra.
    Sarebbe bello se chiunque potesse fare un lavoro che lo appassiona, per il quale ha studiato e fatto sacrifici, ma a questo punto i cosiddetti lavori umili chi li farebbe? Chi mai può avere la passione per spurgare fogne, stendere asfalto bollente sotto al sole estivo, e via dicendo? Eppure sono cose necessarie anche queste. Se si ragionasse solo per passione, avremmo settori saturi con più persone di quante ne sarebbero richieste ed altri sguarniti, cosa che in realtà un pò esiste già.
    E chi parla (vabbè, scrive, ci siamo capiti) è uno che ha sempre lottato come voi contro questo genere di mentalità, in maniera anche piuttosto dura perché nei piccoli paesi di provincia le teste sono sempre più chiuse.
    Perciò si, allo stato dei fatti chi può fare un lavoro che gli piace e legato magari ad una propria passione avrà anche fatto sacrifici ed investito risorse ed impegno, ma si tratta comunque di una persona fortunata, perché i sacrifici li fa anche chi per un motivo o per l’altro è costretto a prendere quello che viene per sbarcare il lunario, e che non ha nemmeno la soddisfazione di vedere il proprio tempo impiegato in qualcosa di “utile”.
    È inutile negarlo, nella vita ci vuole anche fortuna, si vince e si perde anche indipendentemente da ciò che si può fare in prima persona.
    Per ogni Pellegrini, astronauta e via dicendo, che hanno imboccato una strada e hanno avuto le capacità, le occasioni e anche la fortuna di poterla percorrere fino in fondo, quanti altri ce ne sono, magari non meno meritevoli, che invece sono stati costretti a cambiarla?

  17. Condivido in pieno, ma c’è un mentalità di fondo difficile da estirpare. sono considerati più professionali i tronisti dei programmi tv

    Dalle mie parti impera il motto, “bravo ragazzo, lavoratore e tutto”, se poi ti droghi e vai a puttane, va bene lo stesso.

    Io comunque da piccolo “voglio” fare lo scrittore

  18. @Sekh
    Quindi, a spurgare le fogne ci mandiamo i laureati in paleontologia, così imparano a voler fare un lavoro che gli piace?
    😀

    Il discorso qui non è distinguere fra lavori umili e lavori “alti”.
    Il discorso qui è fare il lavoro che ci da la maggior soddisfazione possibile.
    Il discorso è avere il diritto di scegliere il proprio futuro.
    Perché se è una lotteria, allora che lo sia fin dalla nascita – vieni partorito, e si stabilisce che da grande farai lo spazzino.
    Non devi più farti problemi – anche se studierai astrofisica, il tuo destino è la ramazza.
    È uscito quel numero, quando sei nato.
    Gattaca?

    Chiunque ha il diritto di provare ad essere un grande artista, un grande atleta, un grande insegnante, un grande panettiere.
    E al limite scoprire a proprie spese di non esserci portato, e dover ripiegare su qualcos’altro.
    Certo.
    Succede.
    Ma sapere di esserci portato, esserci palesemente portato, aver sputato sangue per farlo, e vedersene escludere perché , eh, ragazzo, così va il mondo, è criminale.

  19. Avete praticamente detto tutto voi, quindi non faccio altro che accodarmi.
    La tristezza di fondo sta proprio nel fatto che viviamo in una società “strana”, dove prima ti insegnano ad inseguire i tuoi sogni, a conquistarteli e poi, quando ti azzardi a sognare per davvero…beh, tutte cazzate.
    Sarebbe bello fare della propria “passione” un lavoro retribuito. Qualcuno ci riesce, qualcuno no. Diciamo che vedendo quelli che ci riescono, ci si allarga il cuore perchè per lo meno si hanno le prove tangibili che è possibile farlo. Anche se è difficile. 🙂

    L’importante secondo me è non ridursi al motto scritto su un muro impresso da una splendida fotografia: “Lavori per comprarti la macchina per andare al lavoro”.

  20. Un annetto fa, piu` o meno, un tizio (italiano) sapendo che mi occupo di GdR come secondo lavoro, mi contatto` per un lavoro. Dovevo scrivergli un manuale, solo che:
    a)Non volle dirmi di cosa si trattava il lavoro (paura che gli fregassi l’idea).
    b)Non c’erano scadenze
    c)Soprattutto non sarei stato pagato, perche` “gia ti pubblico, che vvoi, anche i soldi?”.

    Naturalmente lo mandai a giocare a pallone in tangenziale…

  21. Ah, dimenticavo, un ALTRO editore invece (americano), che mi ha contattato per una semplice consulenza (che gli ho dato in forma gratuita) ha insistito per pagarmi, anche se solo in materiale ludico.

  22. il problema è sulla superficie. è che tentan di farti apparire la sostanza sempre un po’ diversa da quel che è.

    – cosa vuoi fare da grande?
    – un lavoro di merda!
    – oh, bravo, è così che si ragiona.

  23. @Stefano
    Secondo me il discorso è un po’ più complesso di così. Ho conosciuto persone felici di fare lavori che per me sarebbero delle condanne, e persone insoddisfatte di lavori per me entusiasmanti (sopra ogni altro l’insegnamento). D’altro canto io (e quindi parlo solo per la mia esperienza) NON ho mai conosciuto una persona che avesse un sogno e, una volta perseguito con OGNI MEZZO, non lo abbia realizzato. Il mondo in cui lavoro è pieno di gente che ha il sogno di fare l’attore, però poi la maggior parte lavora al bar o al call center per più di metà della giornata. “Perchè così intanto metto un po’ di soldi da parte”, è la spiegazione. O “perchè intanto mi tolgo gli sfizi”. E io ti dico: se non dedichi TUTTO il tuo tempo ad inseguire il tuo “lavoro ideale”, come pensi di raggiungerlo? Già è difficile così, figurati se il sogno lo sogni part-time. Poi, ripeto, questo è il mio pensiero, ed è un’opinione personale, nulla più. Però è basata su un’esperienza concreta.

  24. Credo sia giusto nutrire aspirazioni, mirare in alto per realizzare i propri sogni. Nel frattempo, ci sarebbero le esigenze normali, quelle a cui badare ogni giorno se non c’è la famiglia a mantenerti. Sei mesi a fare il commesso/la commessa? Non ti cambiano la vita, non azzerano le tue idee, ti danno da mangiare e ti portano a una data successiva dove puoi fare altro.
    Quanto al gratis e/o ai favori, io ho messo una regola: ogni volta decido se farmi pagare o no. Se alla controparte non va bene, ognuno per la sua strada.

  25. Beh, io ho sempre tentato di fare ciò che mi piaceva. Non ho mai concepito diversamente il lavoro. O mi interessa, mi piace, mi attizza o non se ne parla. Ho fatto diverse cose, in gioventù, alcune nemmeno brutte, ma pallose o stupide, nonostante la buona volontà nel “farmele piacere”. Poi ho iniziato il lavoro che ho fatto fino all’inizio di quest’anno, Tutt’altro che rose e fiori, intendiamoci, ma intenso, coinvolgente.
    Per chi non mi conosce, mi presento: sono stato un libraio per quasi una quarantina d’anni e quest’anno ho chiuso l’attività.
    Quando Davide parla, citando lo “zen del fare”, credo intenda innanzitutto questo, la quantità di intelligenza che il tuo lavoro chiama in causa. E non è un problema di lavoro “umile” o meno, ma di autonomia nel farlo. Da maledetto individualista quale sono mi sono sempre sforzato di fare le cose come piacevano a me. Mi sono sbagliato un mezzo milione di volte, ho passato interi mesi senza stipendio, ma la colpa – o il merito – sono sempre stati miei e non di qualcun altro. Onestamente non ho mai scambiato più di due parole con i sostenitori del lavoro come fatica o del lavoro come ascesi mistica. Sono ahimè convinto che chi pensa che il vero lavoro consista nel faticare stupidamente sia più o meno un crumiro psicologico. E io non parlo con i crumiri. O che sia motivato da un’invidia della quale probabilmente non è nemmeno conscio. E gli invidiosi mi danno fastidio. In generale.
    E sono peraltro convnto che l’elogio del lavoro come redenzione dai peccati non sia esattamente proprio di una mentalità particolarmente laica, quanto di un cattolicesimo reazionario da fine ‘800, provinciale e idiota.
    Il nocciolo del discorso è quello di arrivare a comprendere che cosa interessa più di tutto e gli sforzi che si fanno per arrivarci. Nei miei primi anni di lavoro lo stipendio era un optional, ma mi consolavo vedendo che per i miei colleghi non era meglio. Ma sopravvivere non era affatto facile, anche solo andare a un concerto o offrirsi una pizza era molto complicato. Ma non mi sono mai posto la domanda: “ma è proprio questo quello che volevi fare”? La risposta era ovvia. Al massimo la domanda poteva essere: “ma è possibile farlo?” e questa me lo sono fatta spesso, anche negli ultimi mesi. Onestamente penso che sia necessario a un certo momento scegliere, prima di gettare via la propria vita in un lavoro alienante o stupido. Scegliere, se necessario, anche di tirarle verdi per qualche tempo o di non potersi comprare la macchina o offrire la cena alla vostra tipa. In alternativa potete scegliere di vivere nei week-end e di sfottere il poveretto che ha la stessa macchina da dieci anni. In qualità di poveretto, onestamente, me ne fotto.

  26. @Davide:
    Lo sai bene che non ti manderei a spurgare una fogna, le uniche cacche che ti auguro sono i coproliti di sauropode 🙂

    @tutti:
    Quello che volevo dire non è che chi si laurea (o semplicemente chi ha delle capacità) deve chinare la testa e accontentarsi in silenzio. Io la penso esattamente come te e come gli altri sul diritto di poter scegliere e di poter puntare sempre non in “alto” ma dove si vuole andare, perché “alto” e “basso” sono relativi in fin dei conti. L’importante è poter spendere il proprio tempo (e la propria vita, in definitiva) in maniera che ci dia soddisfazione e che ci faccia sentire di stare facendo qualcosa che valga la pena fare. Quindi, no, non ho detto che bisogna distinguere fra lavori umili e lavori dignitosi o che si debba rinunciare a scegliere e a puntare alle proprie aspirazioni. Ci mancherebbe, se dicessi questo tradirei tutto ciò che ho fatto e pensato in vita mia.

    L’unico punto su cui la vedo diversamente è quando dici che tutti hanno diritto di essere artisti, atleti o panettieri e tirarsi indietro qualora si scopra di non esserci portati ripiegando su altro. Il fatto è che non sempre l’unico motivo che obbliga a battere in ritirata è scoprire di non essere all’altezza; posso anche essere perfettamente in grado di fare ciò che voglio e che mi piace, ma se poi sorgono condizioni esterne, sulle quali non posso agire, allora cosa faccio?
    Ti porto il mio esempio personale, che probabilmente più o meno conosci già: quando ho finito la scuola ho iniziato un doppio percorso parallelo, corso di laurea in storia e praticantato in uno studio tecnico. La prima via dopo qualche anno si è dovuta interrompere (ripeto, si è dovuta, per esigenze di carattere squisitamente materiale, e non c’è nulla che mi bruci quanto aver dovuto lasciare questa cosa), l’altra per diversi anni è andata avanti: biennio di praticantato finito, esame di stato passato con abilitazione alla professione di geometra, e collaborazione con lo studio che andava avanti con la prospettiva, per diverse cose anche concretizzatasi, di costruirsi una professionalità ed un mestiere in questo ambito, che sebbene non fosse la prima scelta (ma d’altronde sapevo bene che la storia sarebbe stata il mio mestiere molto difficilmente) era comunque qualcosa che avrei fatto volentieri.
    Poi iniziano i problemi, l’edilizia inizia a rallentare e con lo sbocciare della crisi praticamente va a picco. Io di rimanere a lavorare accettando una paga che non mi avrebbe permesso nemmeno di ripagarmi il viaggio in macchina fino all’ufficio non ne ho voluto nemmeno sentire parlare (e parliamo di sei, sette anni di lavoro lì!), e visto che ormai la partita IVA era aperta, ho tentato la strada della libera professione. Con pochi clienti, concorrenza da parte di pesci più grossi, investimenti iniziali che non potevo fare e le spese che sono diventate via via insostenibili, chiudere baracca e burattini dopo un paio d’anni è stato inevitabile. E di tentativi di far funzionare tutto ne sono stati fatti, oh se ne sono stati fatti.
    Sono stato escluso in definitiva, sono stato sbalzato dal carro e una volta giù risalire è una vera e propria impresa, sempre ammesso che riesca. In tutto questo può darsi che debba trarne la conclusione che non ci ero portato, che non ero abbastanza bravo, che non avevo fatto abbastanza sacrifici (!), però a me pare di aver avuto ben poca scelta. Colleghi ben più affermati di me hanno avuto una sorte simile e grossi studi hanno dovuto ridimensionarsi.
    Sarà crudele, sarà criminale pensarlo, ma a me è proprio capitato di sapere di avere delle qualità, sia tecnicamente in quel determinato ambito che più in generale come qualità personali, di aver fatto tanti sacrifici sia per il piano A che per il B (non ultimo il fatto di tentare di portare avanti due strade entrambe impegnative) e di esserne stato estromesso, per cause non dipendenti da me, ed in definitiva l’unica cosa che ho potuto pensare è “è andata così”
    A questo sono seguiti un paio d’anni di lavoretti più o meno brevi e retribuiti quel tanto che basta per non rimanere senza un soldo in tasca. Anche tentare di riciclare le proprie abilità in altri settori non è una cosa semplice, perchè non esiste alcun mestiere in cui si possa sperare di improvvisare e riuscire bene.

    Ora da un paio di mesi ho trovato un lavoro in cui sono stato assunto da subito con un contratto a tempo indeterminato, con una paga base medio-alta e con un sacco di straordinari pagati a parte. Ma il paese della cuccagna non esiste, e la contropartita è facile da immaginare: è un lavoro come manutentore di bomboloni del gas, e si tratta di un lavoro che non mi piace, ma per niente, non mi dà soddisfazioni, non mi permette di sfruttare le mie abilità e i miei punti di forza e mi costringe invece a fare cose che non mi hanno mai appassionato e per cui non sono portato, non è massacrante ma è comunque faticoso, mi impegna solitamente per dieci ore al giorno la maggior parte delle quali fuori a quaranta gradi sotto al sole, le persone che vedo durante la giornata solitamente sono o anziane o diffidenti o maleducate (o quando sono fortunato, tutto quanto insieme), e quando arrivano chiamate di emergenza non ci sono sabati o domeniche che tengano. La mattina tocca alzarsi molto presto (e io la notte fra l’altro dormo poco, quindi riesco a riposarmi solo nel fine settimana), ed il tempo da poter dedicare alle cose che amo fare non è poi così tanto.
    Tutto questo ora che il l’utilizzo di impianti a gas è al minimo, ma fra qualche mese se non trovo altro mi toccherà prepararmi per l’inferno, non per l’inverno.

    Perchè tutto questo? Per un motivo molto semplice, che pochi in questa discussione hanno saputo riconoscere: per NECESSITÀ.Perchè non ci si può permettere di fare altrimenti. Mi erano rimasti più o meno centocinquanta euro sul conto corrente (due anni fa ero arrivato a settantatre, quindi stavolta mi è andata grassa) e non ho potuto fare altrimenti. Certo, è una cosa temporanea, non c’è alcun motivo per cui dovrei pensare di farlo a vita, però intanto è l’unica cosa stabile e remunerativa che ho trovato da diversi anni a questa parte. Pensare che proprio ora mi si schiudano mille altre porte una più allettante dell’altra mi pare perlomeno un pò sciocco.

    Quindi, per quanto possa essere bacato il mio punto di vista, beh, poter fare ciò che piace lo considero non un lusso, badate bene, perchè come ho già detto in partenza credo che sia un sacrosanto diritto di chiunque, ma comunque un privilegio, una fortuna che non tocca a tutti. E se io non lo sto facendo non è certo perchè io non abbia mai avuto sogni (anzi, forse ne ho sempre avuti troppi) o perchè non abbia fatto sacrifici per poterli raggiungere. E credetemi sulla parola, queste poche righe non bastano a comprendere le difficoltà che ho sempre dovuto affrontare.

    E, Gherardo, se non hai mai conosciuto qualcuno che abbia dovuto rinunciare ai propri sogni, beh, scusa la franchezza ma vivi in un limbo distaccato dalla realtà.
    La frase gente che ha il sogno di fare l’attore, però poi la maggior parte lavora al bar o al call center per più di metà della giornata è veramente offensiva verso chi di passare metà della giornata (o anche tutta) servendo in un bar o nell’inferno (perchè di questo si tratta) di un call center lo debba fare per NECESSITÀ, perchè senza quel poco denaro non avrebbe nemmeno la possibilità di sperare, un domani, di realizzarli quei sogni. O, anche senza sogni, di mettere qualcosa nel piatto proprio e della propria famiglia.
    È una cosa così vergognosa e orripilante cercare di mettere un pò di soldi da parte per poterli poi reinvestire magari in qualcosa per cui valga la pena impegnarsi? Chi lo sa, intanto chi non può contare su altri mezzi non ha nemmeno modo di porsi la domanda.

    E mi spiazza anche sentir dire “o faccio un lavoro che mi piace o niente”. Beh, beato chi può farlo questo ragionamento. I soldi che ci si mettono in tasca non servono certo per farsi il macchinone e sputtanarsi tutto in bagordi fine-settimanali (per inciso, perchè poi sarebbe così immorale riposarsi e staccare un pò nel weekend?) Molto più prosaicamente servono per campare.

    E ora vi saluto che voglio vedermi quel che resta delle gare di nuoto di

  27. Ops, mi si è mozzata l’ultima frase, pardon! 🙂

  28. Tranquillo, Sekh.

    Capisco perfettamente la tua posizione e la condivido.
    Nessuno ha la bacchetta magica, e la vita ha sempre il potere di sorprenderci.
    E come dicevo, la necessità di mettere insieme il pranzo con la cena annulla ogni altra considerazione – ma ciò che sostengo io è che non la annulla a tempo indeterminato, e non la annulla a priori.
    Condivido la tua posizione per il semplice fatto che in capo a due mesi io sarò disoccupato e vecchio in un paese in cui i vecchi disoccupati non hanno spazio, ele qualifiche non contano nulla.
    Se saò MOLTO fortunato, troverò un lavoro, qualsiasi lavoro, sufficientemente retribuito da impedire alla banca di prendersi la mia casa.
    ma ciò non significa che quella sia la mia unica aspirazione, o che io intenda rassegnarmi al fatto che è così che vanno le cose.
    Io non mi rassegno, come tu non ti rassegni.
    Poi, certo, ci vogliono capacità, fortuna, dedizione, anche un sacco di spirito d’adattamento.
    Ma non è scritto da nessuna parte che esistano destini ineluttabili.

  29. Tranquillo caro inclito, anche se a volte diventa difficile crederci, la massima homo faber fortunae suae ce l’ho marchiata a fuoco nel midollo.

    Per quanto riguarda te, non so, forse sarai obbligato ad andare all’estero, ma sono più che pronto a scommettere che riuscirai a centrare i tuoi obiettivi.

    Mai darsi per vinti, specialmente quando sono gli altri a darci per vinti; il caro vecchio Phelps veniva dato per spacciato sin da Roma ’09 e invece è qui che continua a macinare record olimpici come fossero noccioline (non so se si nota ma vederlo in gara mi entusiasma sempre!)

  30. Cambio totalmente ambito per portarti un esempio parallelo. Io per lavoro (e per passione, senza dubbio) faccio il veterinario. Almeno la metà delle persone che entrano storcono il naso all’idea di dover pagare, il problema del recupero crediti nella nostra professione è uno dei più alti in assoluto, tutti vorrebbero che io e i miei colleghi lavorassimo per passione. Ma io ho il 54% di prelievo fiscale, ho migliaia di euro di spese mensili per mantenere la mia struttura, e passati questi due scogli ci devo pure vivere, purtroppo… Per non parlare ovviamente dei soldi che i nostri genitori hanno speso per permetterci di laurearci ed iniziare a lavorare. Ebbene sì, non si campa di solo amore, neanche per gli animali…
    Il tuo discorso purtroppo si applica come un guanto a tante professioni, anzi, come dici tu, a tutte quelle in cui la passione e la gioia di fare il proprio mestiere si accompagna al mestiere stesso… e questo è avvilente e frustrante, in tutti i campi. Ribaltando la frittata, bisognerebbe fare dei test attitudinali ai ragazzi in procinto di scegliere cosa fare della propria vita, e obbligarli a fare il contrario: almeno così saremmo tutti infelici alla pari, e nessuno tenterebbe di approfittarsi di chi ci mette anche la passione.

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