Apriamo con due citazioni di quelle toste.
Secondo il Dalai Lama (notoriamente non l’ultimo arrivato, è pure amico di Bono… ehm, e di Jovanotti)
Se vuoi che gli altri siano felici, pratica la compassione.
Se tu vuoi essere felice, pratica la compassione.
E d’altra parte, secondo Leo Babauta, il popolare blogger del blog zenhabits.net (uno che ha 250.000 lettori fissi e circa 120.000 followers solo su twitter)…
La chiave per sviluppare la compassione nella nostra vita è farne una pratica quotidiana.
Sembra roba tosta.
Ma non lo è.
Notoriamente – ne abbiamo discusso in passato – io ho cominciato ad occuparmi di zen al liceo, e nei trent’anni successivi (ouc!) ho accumulato un sacco di materiale a riguardo, e ho chiacchierato con un sacco di gente e conosciuto un sacco di tipi strambi.
Sono anche stato a lungo seduto molto scomodo.
Ed ho imparato che la compassione è una buona qualità per chi scrive, e per chi insegna.
E più in generale per chi respira.
Ora, stavo riordinando gli appunti per poter trascorrere le serate di dicembre a sistemare il mio corso online di Introduzione alla Filosofia ed alla Cultura Zen, e sono incespicato su questi appunti sulla compassione.
Che voi magari non ci crederete, ma funziona.
E non richiede di stare seduti scomodi*.
E che va ad accrocchiarsi con alcuni discorsi fatti nel weekend con alcuni amici.
Cose del tipo
non ne posso più, ora chiudo il blog
non ne posso più, il blog non lo chiudo, ma chiudo i commenti
Ora, compassione…
Esistono studi scientifici documentati dai quali sembrerebbe chiaro che praticare la compassione fa bene alla salute.
La pratica della compassione secondo i dettami dello zen sembrerebbe legata alla produzione del DHEA – un ormone che ritarda l’invecchiamento – e ad una riduzione di oltre il 20% della produzione di cortisolo – un ormone legato allo stress.
Wow!
Da cui la domanda – come si fa?
Ora, cominciamo col dire che Wikipedia ha, alla voce Compassione, una serie di definizioni molto cattoliche.
Niente di male, ma a noi interessa una compassione un po’ più… system-free.
Per cui, da Wikipedia (edizione inglese), alla voce Compassion.
La compassione è un sentimento che si esprime come un senso di sofferenza condivisa, più spesso in combinazione con il desiderio di alleviare o ridurre la sofferenza di un altro, per mostrare gentilezza speciale a coloro che soffrono. La compassione nasce essenzialmente attraverso l’empatia, ed è spesso caratterizzata attraverso azioni, in cui una persona che agisce con compassione cercherà di aiutare coloro per cui prova compassione.
[…]
La compassione si differenzia da altre forme di comportamento umanitario o soccorrevole per il il suo focalizzarsi sulla riduzione della sofferenza.
OK, è abbastanza chiaro.
Ma nella pratica, cosa faccio?
Io voglio il rallentamento dell’invecchiamento e la riduzione dello stress, dopotutto.
Beh, non è poi difficile.
Rubando uno schema al buon Leo Babauta, possiamo dire che la pratica minima consiste nel ricordare quanto segue.
Non importa chi abbiamo davanti, chi ci parla o ci scrive o ci telefona, chi commenta il nostro blog o ci invia mail cariche di insulti.
Bisogna ricordare quanto segue…
Passo 1 – Proprio come me, questa persona sta cercando la felicità nella propria vita
Passo 2 – Proprio come me, questa persona sta cercando di evitare la sofferenza nella propria vita.
Passo 3 – Proprio come me, questa persona ha conosciuto la tristezza, la solitudine e la disperazione.
Passo 4 – Proprio come me, questa persona sta cercando di soddisfare i propri bisogni.
Passo 5 – Proprio come me questa persona sta imparando cos’è la vita.
Ed è fatta.
È per questo – incidentalmente – che io non banno più i miei commentatori molesti.
E magari rispondo anche ai loro commenti molesti.
Per compassione.
Mi mantiene giovane, e riduce il mio stress.
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* a meno che non lo si desideri, ovviamente.
6 novembre 2012 alle 9:50 AM
I cinque passi dell’amico americano, e il tuo post in generale, mi ricordano il principio dell'”anticipo di fiducia” che nel mio piccolo mi sforzo di dare a tutti (ma a volte è proprio dura!). Cerco sempre di dirmi che la persona che ho davanti non mi vuole fregare e che anzi ha i miei stessi problemi e, in fondo, come me vuole solo vivere la propria vita al meglio. Certo, se poi alla conta dei fatti mi rendo conto che le cose stanno diversamente… torniamo all’homo homini lupus.
6 novembre 2012 alle 10:09 AM
E io che stavo pensando di chiederti qualcosa di più sulla compassione questa sera al corso di TAO.
Bel post! 😀
6 novembre 2012 alle 10:58 AM
Il buon Mana è sempre il buon Mana, aspettiamo il corso online.
6 novembre 2012 alle 11:47 AM
Mi sbaglierò, ma ho sempre considerato l’esclusione dei commentatori fastidiosi (o, molto più spesso, degli utenti molesti su FB) più come un fatto di igiene mentale personale, non incompatibile con la compassione: non mi interessa avercela col molesto, raramente ce l’ho e mi spiace quando accade, mi interessa che il suo tentativo di dar fastidio non possa toccare me e che la tensione che dimostra non si prolunghi, almeno in quell’occasione. Se rispondo, il rischio che la sua – mi si passi il termine tecnico – sega mentale si estenda e si gonfi aumenta, con danno per entrambi. Passi un tentativo di risposta, che normalmente concedo, ma se poi marca male…
6 novembre 2012 alle 11:50 AM
Certe volte però la compassione può essere sostituita da un calcio nelle palle che produce nel calciatore un indubbia sensazione liberatoria anche se non unita alla produzione di ormoni benefici. 😀
Come dice la saggezza popolare “..quando ce vò, ce vò!”
6 novembre 2012 alle 12:08 PM
Per quanto non abbia mai frequentato corsi o abbia letto libri sull’argomento, mio considero molto zen.
Almeno credo…
Così come comprendo il tuo punto di vista e la decisione di non bannare ma, invece, cercare di trovare un dialogo con chi sembra non volerne. Penso che, se rapportato a cose più grandi di un semplice blog (passami la definizione) si potrebbero risolvere parecchi problemi che affliggono questo piccolo mondo…
6 novembre 2012 alle 12:28 PM
C’è da dire però che se i cinque punti possono essere condivisi come linee guida, nella realtà accade che oltre alle motivazioni contano anche i modi di fare.
Una delle mie convinzioni di base è che “chiunque, nei limiti del rispetto di sé stesso e degli altri, debba essere libero di fare e pensare tutto ciò che vuole”.
Se cade la barriera del rispetto (ed è evidente che questo non succede sempre in buona fede…) diventa difficile e forse anche sbagliato trovare l’attenuante della ricerca della felicità.
Io mi trovo meglio col vecchio “non ragioniam di lor ma guarda e passa”, che alla fine può essere una versione dei cinque suggerimenti per persone poco pazienti 🙂
6 novembre 2012 alle 1:39 PM
Morirò giovane
6 novembre 2012 alle 2:07 PM
Ok, sai bene che in questo caso io mi comporto in maniera decisamente diversa rispetto a te, ma rispetto ovviamente il tuo punto di vista.
Proprio perché il blog è una casa e ciascuno in casa propria stabilisce le proprie regole.
Io poi di compassione e di pietà ne ho sempre avute dosi limitate, ma questo fa parte del mio carattere.
6 novembre 2012 alle 2:44 PM
Sarà per questa specie di empatia e compassione, che nella vita evito la rissa (fisica e verbale) se posso, e ho sempre odiato le discussioni lunghe più di qualche minuto.
6 novembre 2012 alle 3:54 PM
Ciao Davide,
credo di non potermi esimere da dire qualcosa sull’argomento. Ho sempre creduto che per fare lo psicoanalista fossero necessarie alcune cose. La tolleranza, l’amore per il silenzio, la curiosità, una cultura curiosa anch’essa. E poi, soprattutto, la compassione. Da ragazzino, quando passeggiavo per la strada, non riuscivo a guardare il volto dei passanti, perché mi pareva che nei loro occhi ci fosse sempre un dolore troppo grande. Lo stesso che vedo ancora oggi. Si fa questo mestiere perché non è possibile farne un altro.
6 novembre 2012 alle 4:00 PM
Alessandro, l’elenco di fattori essenziali per fare lo psicoanalista mi pare vagamente familiare.
a parte forse l’amore per il silenzio (conoscendomi…), direi che le stesse cose servono per insegnare.
Che poi io all’origine mica volevo insegnare.
Io volevo correre per i prati a caccia di dinosauri.
Ma a conti fatti ho passato più tempo con gli studenti che coi dinosauri.
E senza quei prerequisiti, sarebbe impossibile riuscirci.
Come credo si veda in molti casi.
Davvero, si fa questo mestiere perché non è possibile farne un altro.
6 novembre 2012 alle 4:19 PM
Sì. Credo sia proprio così. Come per lo scrivere.
6 novembre 2012 alle 7:38 PM
Mi verrebbe quasi voglia di postare un commento molesto per vedere che succede, ma ho troppa compassione 🙂
3 marzo 2013 alle 7:01 PM
la cosa piu ‘ difficile ed impegnativa è la compassione verso se stessi….mi sto diminuendo la vita molto velocemente….