the end of an empire is a messy affair
(Randy Newman)
Sì, lo so, di solito quando si parte a parlare di imperi perduti, si dovrebbe citare qualcosa di diverso da Randy Newman, chessò, Ozymandias o Shutruk–Nakhunte, ma io sono fatto così.
Io cito Randy Newman.
La mia amica Clarina, qui due celle più in giù lungo il corridoio del Blocco C, ha fatto ieri un bel post sui suoi imperi perduti.
Sì, come i grandi eroi dell’avventura classica, anch’io ho delle amiche che hanno i loro imperi perduti.
Ma a parte le mie sciocchezze, date un’occhiata al suo post, che merita.
Fatto?
Bene.
Ora, i miei imperi perduti.
Ah.
Sono nato e cresciuto a Torino.
Torino è la città perduta, in più di un senso.
I torinesi soffrono di questo complesso, che tutto è nato qui, ed è stato portato altrove.
A Milano, a Roma.
Per un breve istante, Torino fu la capitale d’Italia, e se lo porta dietro, un po’ come un arto fantasma, quel momento, come qualcosa di irrisolto.
E poi il resto – la rivoluzione industriale, il cinema, la televisione, la robotica…
C’è questa specie di presunzione di saccheggio, delle ricchezze della mia città.
E non è solo nella testa degli abitanti, ma anche nei parchi, nelle vie.
Per cui ci sono degli angoli di Torino, degli scorci, in cui questo spettro fatto di potenziali irrealizzati si sente molto forte.
Via Eleonora Duse.
Piazza Carlina.
Piazza Solferino.
…
an Age undreamed of, when shining kingdoms lay spread across the world like blue mantles beneath the stars …
Non vi tedierò con Opar, con la perduta Atlantide, di Lemuria, di Shambhala…
La Ruritania, Graustark.
Lyonesse.
Thiatys e Alphatia.
Ma chiunque bazzichi le letture che bazzico io, prima o poi va a sbattere su un paio di imperi perduti.
Io credo che ci sia una specie di mistica, per tutti noi che siamo cresciuti nell’ombra lunga di un impero – che fosse romano, persiano, britannico, cinese, zulu – per cui quella singola parola porta con se una specie di mistica.
L’Impero Perduto.
L’Impero Colpisce Ancora.
L’Impero del Trono dei Petali.
L’Impero dei Sensi.
Le Rocce dell’Impero.
The Empire State.
Di solito, nella fantascienza, l’impero è malvagio, nel high fantasy è buono, nell’avventura e nella sword & sorcery è antico, perduto, dimenticato, decadente, cavo e fragile, costellato di ruderi, trappole, farcito di tesori, bestie feroci, creature innominabili, popolato di donne bellissime e pericolose.
Ce l’abbiamo nel DNA?
Limitiamoci a quelli strettamente storici, di imperi, allora.
Non vi tedierò con l’impero Cinese, con la Sfera di Coprosperità Asiatica…
Non vi tedierò neanche con l’Impero Yamatai – che non è una cosa dei cartoni animati, fu un autentico stato giapponese.
C’è anche un bel libro che ne parla.
L’ho tradotto io.
The British Empire*.
Ah.
Qui sì che rasentiamo l’ossessione.
Ho un paio di scaffali carichi solo di volumi dedicati al Raj.
Uno di quei settori della mappa, uno di quei tranci di storia nei quali la realtà, tanto per cambiare, supera la fantasia.
Più un sacco di roba sulle imprese degli avventurieri inglesi di tutte le taglie, le professioni e i colori.
Consiglio sempre, in questi casi, il volume di Niall Ferguson, Empire (che qui da noi hanno tradotto Impero.)
Odioso, per certi versi, ma solidissimo, un sacco di spunti per bastonare quelle anime semplici che vorrebbero tanto che 200 anni or sono le persone condividessero le idee e le sensibilità che abbiamo noi.
Mi è piaciuto poi molto, di recente, Running the Show, del quale ho parlato altrove, sui governatoricoloniali britannici.
Strana gente.
Più recentemente, la mia ossessione per la Via della Seta mi ha portato ad arpionare un intrigante volume dell’università di Princeton intitolato Empires of the Silk Road.
Che mi servirà per ricerca e documentazione, ma è anche un gran divertimento – e tocca un’area, l’Asia centrale, che è spesso molto vaga, nel nostro immaginario.
Esistono altri titoli, di questo genere, ma questo è un buon punto di partenza. Non sarei certo il primo, ad usare quel settore di mappa per scriverci delle storie di sword & sandal, o sword & sorcery… e con compagni di viaggio come Norvell Page o Richard L. Tierney, sarei decisamente in buona compagnia.
Vedremo cosa ne verrà fuori.
Ho anche un paio di volumi su Babilonia, qui che aspettano.
E un sacco di altra roba.
Vorrei cercare un buon volume unico sull’Impero Bizantino.
Qualcosa su Costantinopoli.
Che poi – e così mi ricollego all’arto fantasma di noi torinesi – non è che l’Europa sia poi così bella, ordinata e permanente.
C’è un volume colossale, e molto interessante, intitolato Vanished Kingdoms, su tutte quelle entità politiche che, dalla caduta dell’Impero Romano (o da prima, in effetti) fino ad oggi si sono succedute sulla mappa del nostro continente per poi svanire senza lasciar traccia.
Una lunga lista di Ruritanie, ma anche di stati vasti e complicati, che semplicemente non sono più lì.
E sì, c’è anche il Regno dei Savoia.
Il nostro personale arto fantasma.
Il nostro impero perduto.
Di noi torinesi, intendo.
Ci sono cose peggiori, delle quali interessarsi, non vi pare?
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* Espressione, The British Empire, coniata nientemeno che dal Dottor John Dee, l’uomo che tradusse il Necronomicon.
Un personaggio vicino al mio cuore, ovunque esso sia.
16 febbraio 2013 alle 1:19 PM
Ecco, di tutti quelli che hai nominato ne conosco la metà a dire tanto. Affascinante, poi uno ha intorno a sé questa montagna di spunti di ricerca e neanche lo sa. Utilissimo, grazie. 🙂
16 febbraio 2013 alle 1:46 PM
Articolo eccellente, mi complimento con te.
Interessantissima l’annotazione su come viene inteso il concetto di impero a secondo del sottogenere del fantastico che lo tratta. Tra l’altro è una catalogazione semplice ma fin troppo reale. Lo stereotipo che dà sicurezza al lettore e che, se sfruttato bene, funziona sempre.
Passando oltre, Vanished Kingdoms mi sembra molto interessante. Tanto da metterlo in wish-list. Tra l’altro mi sembra ottimo anche a livello di documentazione, nel caso volessi scrivere qualcosa di ucronico.
16 febbraio 2013 alle 1:50 PM
Sì, Vanished Kingdoms è una miniera, per l’ucronia, l’avventura storica, lo spionaggio…
Ed è autorevolissimo.
16 febbraio 2013 alle 2:27 PM
Giá, comprendo l’ ossessione torinese per l’arto fantasma, cosí come comprendo la passione per gli imperi: la mia personale riguarda Bisanzio e l’ Armenia due imperi storici studiati poco e male.
17 febbraio 2013 alle 11:29 AM
Thanks! 🙂
Su Bisanzio… Si può cominciare con J.J. Norwich, oppure Judith Herrin, per esempio.
18 febbraio 2013 alle 9:58 AM
Il libro di Ferguson l’ho letto ma se da un lato l’ho trovato interessante (pur sempre del British Empire stiamo parlando), dall’altro invece ho trovato piuttosto discutibili le convinzioni dell’autore, che traspaiono spesso tra le righe.
Su Bisanzio invece Norwich l’ho trovato troppo semplicistico e abbozzato; qui posso consigliare il classico e sempre valido Ostrogorsky, e per una visione più moderna Treadgold.
18 febbraio 2013 alle 10:43 AM
Sì, Ferguson su certe posizioni è odioso.
D’altra parte, mi son sciroppato tanti e tali deliri da parte di chi vorrebbe che i nostri antenati, due o tre secoli or sono, si comportassero come noi e secondo le nostre regole, salvo negare i frutti dell’opera di quei cialtroni (o proporre, alla follia, di rinunciarvi per “espiare”), che un po’ di sana cattiveria è quasi un sollievo.
Poi, Ferguson posso leggerlo senza sottoscriverne la politica.
20 febbraio 2013 alle 12:21 AM
Ci mancherebbe, se si dovesse concordare in toto con tutto ciò che si legge, probabilmente non si toccherebbe mai alcun libro 🙂
Concordo sul definire cialtroni tutti coloro che non capiscono (o non vogliono farlo) che studiare altre epoche (e quindi condizioni sociali, economiche e culturali diverse dalle attuali) volendo utilizzare solo ed esclusivamente mentalità e sensibilità attuali sia un pessimo modo di studiare la storia.
Tornando a Ferguson, anche io ne ho apprezzato l’opera in sé, il disappunto nasce dal fatto che se avesse tenuto un pò più per sé i suoi personali convincimenti politici, il volume mi sarebbe potuto piacere molto di più. 🙂
20 febbraio 2013 alle 12:45 AM
Rimanendo poi in tema di imperi perduti, e dei quali normalmente si parla poco, non occorre andare tanto lontano, l’Europa è piena di tali entità succedutesi durante la storia.
C’è stata la Lotaringia, stato collocato lungo i corsi di Reno e Rodano ed erede dell’impero carolingio al pari di Francia e Germania, il quale non ha retto alla competizione con i suoi potenti rivali.
Oppure l’unione polacco-lituana, che è stato uno degli stati più estesi ed importanti del ‘600.
O ancora gli attuali stati scandinavi in passato hanno avuto lunghi periodi in cui sono stati retti da un singolo monarca in quella che è nota come Unione di Kalmar.
Ma immagino che nel libro di Davies si faccia riferimento anche ad essi.