No, non la canzone di Billy Joel.
Questo non è il post che avrei voluto pubblicare.
Quell’altro, che ho ancora qui nel cestino, ruotava attorno a una famosa frase di Harlan Ellison.
Il fatto che un medico presti la propria opera in un bordello
non vuol dire che stia andando a puttane.
È in gamba, Harlan Ellison.
E io ci avevo fatto un post di 700 parole, partendo dalla frase di Ellison, coi nomi e i cognomi e tutto quanto.
Poi però è subentrato un elemento fondamentale.
Why bother?
Per cui, approccio zen.
Semplice, breve, onesto.
Tre notti or sono ho deciso che non scriverò più narrativa in italiano.
Che, ammettiamolo, non è una di quelle notizie che scuotono i pilastri del cielo.
Anzi.
Io però ho preso questa decisione, e prenderla pubblicamente è un buon modo per essere sicuro che terrò fede alla mia promessa.
Io credo molto nel potere delle dichiarazioni pubbliche.
Voi siete i garanti della mia coerenza.
Il motivo è semplicemente che sono stanco, di essere come il medico di cui parla Harlan Ellison, ma di prestare un’opera – volontaria, sia ben chiaro – in un bordello nel quale non esiste altra opzione se non essere clienti o prostitute.
Al medico di cui parla Harlan Ellison, rimane, fortunatamente, la possibilità di scegliere in quale bordello prestare la propria opera.
16 febbraio 2013 alle 8:48 AM
buona prosecuzione dell’avventura, ti auguro di trovare un bordello tanto ricco e magnanimo da poterti garantire un vitalizio per la tua opera volontaria. mi auguro che quanto già scritto in italiano e non ancora pubblicato non rimanga chiuso in un cassetto solo perché nato in una lingua di serie bi. o meglio, in una lingua parlata da un popolo di serie bi. (nel caso ti venisse il dubbio, sì, mi riferisco anche a Beyul Express 😉 )
precludersi una lingua per dei problemi che hanno nomi e cognomi comunque lo trovo personalmente molto limitante, anche se probabilmente non mi rendo conto di *quanti* realmente possano essere i nomi, e quanto realmente fastidiose le loro emanazioni fisiche.
per fortuna anche se scritte nella pietra le parole e le decisioni non è detto che restino inamovibili.
16 febbraio 2013 alle 8:48 AM
Peccato……..
16 febbraio 2013 alle 9:05 AM
Ho qui il caffè caldo davanti a me, una bella tazza fumante. E qualche biscotto di una nota marca italiana.
Ora attendo e vedo come vanno le cose qui, a casa tua…
16 febbraio 2013 alle 9:13 AM
“Io però ho preso questa decisione, e prenderla pubblicamente è un buon modo per essere sicuro che terrò fede alla mia promessa.
Io credo molto nel potere delle dichiarazioni pubbliche.
Voi siete i garanti della mia coerenza.”
🙂 E’ uno stratagemma che adotto spesso, e quasi sempre funziona.
16 febbraio 2013 alle 10:41 AM
Questo non è il post che avrei voluto leggere..
in bocca al lupo per l’avventura in lingua straniera!
16 febbraio 2013 alle 10:53 AM
@Melo
Due dettagli.
Il riferimento al vitalizio – apprezzo la metafora, ma non vorrei che si pensasse che si tratti di una questione di soldi.Non è una questione di soldi.
Il pensarla in termini di soldi è un ulteriore sintomo di come sia strutturato questo bordello.
Esistono altri valori, oltre ai soldi, ma qui non sono contemplati – e questo è parte del problema.
Ma ne parleremo ancora, di soldi e valori.
Il secondo dettaglio che vorrei chiarire è sui limiti.
Trattandosi di limiti che mi scelgo io, e non limiti che accetto mi vengano imposti, non li percepisco alla fine come tali.
La filosofia dell’ogni lasciata è persa, non funziona.
Non fa parte delle regole della casa.
16 febbraio 2013 alle 11:01 AM
Condivido al 100%, e visto che tu sei in grado e ne hai le capacità, è la scelta migliore.
16 febbraio 2013 alle 3:19 PM
Se si accettano le regole, per quanto astruse e ignobili, del mondo editoriale italiano non solo non si riesce a lavorare in maniera decente ma si finisce con lo svilirsi. Cosa del tutto inaccettabile. Per non parlare del fatto che in gran parte del mondo non solo si può fare di meglio ma lo si fa. Senza tanti gne gne e senza dover chiedere il pedigree a chi lavora.
16 febbraio 2013 alle 7:10 PM
non era certo mia intenzione ridurla in termini di soldi: il mio era un augurio che comunque il valore di un lavoro di qualità venga riconosciuto in quanto tale, *anche* in termini economici. ed è sacrosanto che ognuno si stabilisca i propri limiti, in un ambito del genere, ci mancherebbe. come ti ho detto lo trovo personalmente limitante, ma non ho il metro per valutare quanto per te possa essere personalmente irritante lo svilimento, anche perché non ho in fondo idea di chi e cosa ti sia trovato ad incontrare.
e se “che tu ti sposti e lo cerchi, o che ti fermi e lo aspetti, prima o poi uno stronzo lo incontri”, è anche vero che se il numero è preponderante, gli avversari troppi e troppo bene organizzati, non è detto che uno debba per forza giocare.
dico solo che è un peccato, e che in parte mi dispiace. forse anche perché in parte mi sfugge il motivo scatenante, i “nomi e cognomi”, per poter capire a fondo la motivazione. non che tu debba a nessuno (tantomeno a me) una giustificazione di sorta.
17 febbraio 2013 alle 10:16 AM
Che dire, sai come la penso sui soldi, ma bisogna pur mangiare. Detto questo non vedo l’ora di comprare la tua prima opera in inglese e di mettertela sotto il naso con richiesta di autografo e dedica personalizzata 🙂
17 febbraio 2013 alle 7:36 PM
Tanto leggo anche in Inglese, da me non scappi.
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