Qualche settimana addietro mi è capitato di sentirmi chiedere
“Ma quand’è che si diventa uno scrittore professionista?”
Ora, questa è una di quelle domande che, a seconda di chi le rivolge, con quale tono di voce, in quale luogo ed in quale circostanza, può essere una domanda e basta, o un insulto.
Io comunque ho una risposta che funziona sempre – e che in effetti non è mia, è di John D. MacDonald.
Ma prima di arrivare alla mia risposta… ieri riflettevo sul fatto che questa è certamente una delle cinque domande che chiunque scriva si sente rivolgere periodicamente.
E che non sono Chi, Come, Dove, Quando e Perchè… anche se Perché? è sempre in agguato.
E perché non fare una Top Five, allora?
Nella mia esperienza, le domande fisse sono
1 . “E per chi pubblichi?”
Classica domanda che implica che ciò che vi rende affidabili non è che qualcuno sia disposto a pagare per il vostro lavoro, ma piuttosto che ci sia qualcuno disposto a vendere (e quindi ad essere pagato per) il vostro lavoro.
Strano, eh?
2 . “Ho letto qualcosa di tuo?”
E qui la risposta potrebbe essere, “Boh, se non lo sai tu…”, ma anche “Se non te ne ricordi allora no,” non mi dispiace.
3 . “Hai vinto qualche premio?”
Questa dev’essere perché avere un qualche genere di certificazione fa sempre bene. E poi, scrivi per diventare famoso, giusto. Quindi i premi sono essenziali.
4 . “Ma quand’è che si diventa uno scrittore professionista?”
La mia risposta, copiata da John D. MacDonald è “Quando c’è gente disposta a pagare per ciò che scrivi.”
Bello liscio.
Notare che non implica la presenza di un editore, ma nemmeno la esclude.
E la storia della professionalità, mi ricorda sempre…
Fuentes: You know, I-I’m a professional.
Creasy: That’s what everybody keeps saying. “I’m just a professional”. Everybody keeps saying that to me. “I’m just a professional”, “I’m just a professional”. I’m getting sick and tired of hearing that.
5 . “Ma di lavoro, intendo, cosa fai?”
Perché naturalmente scrivere non è un lavoro (ma se può consolarvi, non lo è neanche fare fotografie, suonare o cantare, disegnare o dipingere, eccetera).
E poi c’è la domanda bonus…
Bonus . “Senti, io ho scritto questa [trilogia fantasy, autobiografia, raccolta di poesie, raccolta di storie erotiche, fanfiction] , non è che avresti voglia di [leggerla, editarla, farla vedere al tuo editore, recensirla sul tuo blog, votarla su facebook]?”
Per questa non ci sono risposte. L’unica è distrarli puntando un dito ed esclamando
“Guarda, Jean Paul Sartre!”*
E fuggire mentre sono distratti.
—————————
* In caso di perpetratori di trilogie fantasy sostituire con “George R. R. Martin“, in caso di praticanti della fanfiction,sostituire con “Sam e Dean che si baciano!”
5 ottobre 2013 alle 6:06 AM
… E comunque la sufficienza sul volto di chi, le domande te le rivolge, c’è sempre…
5 ottobre 2013 alle 8:17 AM
Quando gli rispondi Sartre, inevitabilmente prendono lo smartphone e lo cercano su Google
5 ottobre 2013 alle 9:29 AM
Le domande curiose in sé non sono male anzi. Ma Bonus *ripetizione di una delle domande precenti* + “lo fai ancora?” Con aggiunta di espressione di sufficienza quando è passato del tempo dall’ultimo incontro. “Cioè ti ostini a fare X” SEH. Ci sono sempre quelli che si sorprendono.
5 ottobre 2013 alle 10:51 AM
Io intanto per non saper nè leggere nè scrivere mi son letto Pianeta Rosso e Marte! durante una lezione universitaria particolarmente lunga e noiosa. Se la prossima settimana si mantengono su quel livello mi compro la storia di Aculeo e me la divoro.
Professori incapaci e studenti svogliati ti renderanno ricco 😀
5 ottobre 2013 alle 10:53 AM
Finalmente dei risultati positivi del sistema universitario nazionale!
Sarebbe la prima volta, che l’Università italiana mi fa guadagnare due lire 😉
5 ottobre 2013 alle 12:03 PM
Se ti offrono di leggere/recensire/editare una trilogia fantasy (o altro), a seconda della maturità del proponente puoi considerarlo un riconoscimento di professionalità, al di là della domanda in sé! 🙂
5 ottobre 2013 alle 12:15 PM
La prima però la trovo legittima, dato che ci sono editori che sono disposti a pagare per il lavoro degli scrittori di cui pubblicano il lavoro.
o forse non ho ben capito io il tuo punto, nel caso fingi non abbia commentato.
5 ottobre 2013 alle 12:17 PM
a proposito del precedente commento: sottolineando che essere pubblicati da un editore non è sinonimo di essere bravi, e nemmeno essere pagati per il proprio lavoro, secondo me. ma qua si sfora magari nel gusto personale.
5 ottobre 2013 alle 2:04 PM
La numero 5, poi, sarebbe da fucilazione immediata. Ed è anche la sintesi del pensiero comune di questo paese.
5 ottobre 2013 alle 3:02 PM
Davide, lo so che non c’entra niente, ma guardati “Gravity” al cinema: è spettacolare! Per me, nerd dello spazio, è stato fonte di commozione…
5 ottobre 2013 alle 3:03 PM
Direi che è la definizione migliore 😀
La numero 5, vebè, evitiamo di riaprire il solito discorso sull’Italia che è meglio
10 ottobre 2013 alle 4:19 PM
Oddio, se qualcuno fa la domanda 5 potrebbe ricevere, da parte mia, tanti, tantissimi insulti.