Si parlava di storia, di narrativa storica e di fantasy storico, qualche giorno addietro, qui nel blocco C della blogsfera, e giù nel braccio femminile, la mia amica la Clarina ha fatto una specie di auto-da-fé…
Boys: Hey, Torquemada, whaddaya say?
Torq.: I just got back from the auto-da-fé
Boys: Auto-da-fé, what’s an auto-da-fé?
Torq.: It’s what you oughtn’t to do but you do anyway
Skit skat voodely vat tootin de day
Scusate, non ho saputo resistere.
In cosa è consistito l’auto-da-fé della mia amica.
Nell’ammettere
In via di principio so che non posso giudicare l’allegra propensione alla crudeltà, i terribili pregiudizi, la giustizia sbrigativa e l’intolleranza degli Elisabettiani secondo le mie sensibilità del XXI Secolo. All’atto pratico, le mie sensibilità del XXI Secolo sono anestetizzate solo in parte dalla prospettiva storica.
Il che è perfettamente ragionevole, ma non c’entra granché col fantasy storico, e con la sovrapposizione e pollinazione incrociata di storia e narrativa d’immaginazione – che è poi ciò di cui vorrei parlare oggi.
Comincio subito con una affermazione categorica – io credo che la narrativa d’immaginazione cominci a soffrirer dolorosamente della crescente mancanza d’immaginazione dei lettori.
Detesto quando un lavoro viene definito “troppo fantastico”, o quando un autore che si presume scriva fantasy viene lodato perché nel suo romanzo fantasy non c’è magia, i combattimenti sono assolutamente realistici, e la politica e la società emulano con perfezione assoluta il medioevo francese, il rinascimento italiano, l’antico Egitto, il neolitico o la corte ottomana.
Tante grazie.
Se voglio leggere un intrigo ambientato alla corte del Re Sole, beh, ci sono pile e pile di romanzi storici, meravigliosamente documentati e straordinariamente aderenti alla realtà storica.
È possibile scrivere storie avventurose piene di colpi di scena, intrighi, capitomboli e “wild romance” senza inventarsi una virgola, senza deviare dalla realtà storica, e senza edulcorare la cultura dei personaggi decritti.
Volete un esempio – leggetevi le storie di Harold Lamb.
D’altra parte, il divertimento del fantasy consiste proprio nel potersi discostare dalla realtà storica – non per edulcorarla o disinfettarla, badate bene, ma per poter narrare storie che includono elementi che la realtà storica (fortunatamente o sfortunatamente) non include.
A questo punto resta da decidere cosa tenere e cosa lasciare.
La tendenza attuale sembra orientarsi al voler tenere tutto il possibile – al punto che il maggior successo del secolo è costituito da una riscrittura fin nel dettaglio della Guerra delle Due Rose, coi nomi cambiati ed una patina fantastica… per ammissione dello stesso autore.
Io non amo certe cose.
Preferisco di gran lunga un lavoro come The Well of the Unicorn, di Fletcher Pratt, che in un mondo secondario coerentemente modellato sulla dominazione normanna dell’inghilterra sassone, innesta una cultura a tratti rinascimentale, e proietta sul tutto una luce che è quella della Seconda Guerra Mondiale in Europa.
E tutto questo, per scrivere un romanzo che ha per tema la Responsabilità.
Ma quello, naturalmente, non è fantasy storico – quello è fantasy con un mondo secondario, nel quale il mondo secondario è una eco (nel caso di Pratt) o una copia-carbone (in quell’altro caso) del mondo primario.
Il fantasy storico propriamente detto dovrebbe essere ambientato nel mondo primario – o per lo meno lasciare quel dubbio.
Le storie di Solomon Kane si svolgono – per lo meno nominalmente – nel nostro mondo, nel nostro passato, e Howard (notoriamente un fan di Lamb) si sforza di lasciare un livello di coerenza storica sufficiente da poter collocare i singoli racconti nella nostra linea temporale*.
Compare la temutissima Bambinaia Francese in Solomon Kane?**
In altre parole, esistono personaggi che esprimono opinioni o assumono atteggiamenti anacronistici, possibilmente per blandire il lettore?
No.
Anche quando Howard si abbandona all’anacronismo – come l’idea di un puritano inglese del ‘600 che si accompana ad uno sciamano africano per combattere un nemico comune – la natura del personaggio è tale che possiamo ammettere l’anacronismo come possibile.
Un uomo da meno non l’avrebbe mai fatto, ma Kane è un eroe.
Questo tipo di fantasy storico è complicato – richiede molto lavoro, e una grande disciplina.
Bisogna infatti avere una dimestichjezza sufficiente con la realtà storica da poterla descrivere agilmente, e poterne cambiare più o meno vasti tratti per metterli al servizio della narrativa.
Scrivere fantasy storico propriamente detto ci espone oltretutto all’interminabile attacco dei pedanti, che sì, ok, bello il mostro coi tentacoli e l’incantesimo enochiano, però la protagonista è vestita con l’abito sbagliato.
Ma oramai fanno simili critiche idiote anche ai romanzi ambientati in un mondo secondario, quindi rassegnamoci.
E c’è poi tutto lo spettro intermedio, fra mondi primari e secondari – tutto l’ampio campo del fantasy pseudo-storico, nel quale ciò che ci appare come un mondo primario (la nostra storia, il nostro passato) si rivela invece un mondo secondario.
Anche qui, l’importante è che il mondo descritto sia coerente – ma non necessariamente coerente col modello storico, quanto coerente con il mondo immaginato.
Tutto questo, tuttavia, alla lunga diventa futile.
Poiché il romanzo fantasy non si propone – o non dovrebbe proporsi – di educarci riguardo ad una realtà storica, ma piuttosto di esplorare grandi idee e concetti astratti (il Male, la Verità, il Potere) concretizzandoli in modo da renderli maneggevoli (il Signore del Male, la Spada della Verità, l’Anello del Potere), la coerenza storica non dovrebbe essere oggetto del contendere.
La domanda è, la storia… oops, la narrativa, funziona?***
O, come diceva quel tale
Skit skat voodely vat tootin de day
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*Uno dei giochi preferiti dei fan è proprio quello di usare la coerenza interna delle storie e i riferimenti storicci per datare gli eventi nella vita di Kane.
** La risposta è ovviamente sì – è lei che, ridotta in fin di vita dal crudele pirata Le Loup, Kane incontra sulla spiaggia nella sua prima avventura.
*** Certo, questo non significa giustificare quel traduttore che scambiò la carne conservata con la carne in scatola, e dotò così le legioni romane di barattoli a lunga conservazione. Ma quello, ovviamente, è un altro problema.
13 dicembre 2013 alle 10:30 AM
Bel post! Hai ragionissima, adesso oltre la storia cominciano a fioccare anche le rapine della mitologia (sarà potere di google?): ad una fiera mi hanno allungato un estratto dal capitolo di un nuovo romanzo la cui trama era composta al 90% dagli eventi paroparo come erano narrati e 10% protagonista e svolgimento fatti, o un altro romanzo “storico” ma “fantasy”, ambientandolo nell’Irlanda pre romana in cui i protagonisti avevano “manoscritti in ogham”. Secondo me lo storico è un genere che devi essere veramente esperto e farti un sacco di documentazione su quel dato periodo per poter scrivere qualcosa di credibile, e nel fantasy uguale: bisognerebbe sapere un minimo come si costituiscono le società umane, le religioni, l’agricoltura, etc. per poter avere il mezzo per inventare lo scheletro del proprio fantasy e crearsi un proprio modello, e non affidarsi solo a “userò questa civiltà che conosco solo io /spade lunghe, carri di legno, case a traliccio tipo medioevo europeo non ben definito MA non metterò le calzebrache ai maschi” .
13 dicembre 2013 alle 10:59 AM
E che dire di quelle storie che non si situano in un momento specifico della storia, ma in una narrativa specifica creata su di un periodo della storia in un periodo diverso? Mi viene in mente l’Averoigne di di Smith (e in parte Gloriana di Moorcock). Averoigne non deve essere coerente con gli eventi della Francia del gotico, ma con la visione che i romantici potevano avere di essa.
13 dicembre 2013 alle 11:52 AM
Infatti in apertura a Gloriana, Moorcock specifica che quel romanzo non ha nulla a che vedere con lInghilterra elisabettiana, ma piuttosto con l’immagine che gli elisabettiani avevano del proprio mondo.
Se si chiava narrativa d’immaginazione, l’immaginazione dovrebbe avere una parte consistente nel suo sviluppo.
13 dicembre 2013 alle 1:46 PM
Se si chiama narrativa d’immaginazione, l’ immaginazione dovrebbe avere una parte consistente nel suo sviluppo.
Ecco quoto alla grande, il problema è che molti sembrano volersene dimenticare.
13 dicembre 2013 alle 1:54 PM
C’è una crescente ossessione per una forma di “realismo” che è semplicemente un alibi per la pigrizia.
O forse, chissà, son troppi laureati in materie storiche che provano la strada della narrativa 😀
13 dicembre 2013 alle 2:32 PM
Sempre più critici e sempre meno lettori.
13 dicembre 2013 alle 6:28 PM
@ McNab
Già, peccato che quando qualcuno ci prova a cambiare un minimo le cose gli altri lo lascino sempre solo. 😉
Buon Natale a tutti. 😉
16 dicembre 2013 alle 12:50 AM
In realtà non sono del tutto certa che stiamo parlando della stessa cosa… Il mio auto-da-fè ( 🙂 ) era in risposta all’articolo in cui un autore anglosassone confessava di avere remore di tipo morale nei confronti degli aspetti meno gradevoli dei secoli passati, e di cercare talvolta rifugio nel fantasy – non necessariamente storico – in cerca di mondi scrittiapposta, con le battaglie ma senza schiavitù e discriminazione delle donne… atteggiamento a mio timido avviso piuttosto fanciullesco – salvo il fatto che la tentazione di addomesticare/idealizzare/correggere/inclinare a 45°/tingere di violetto la storia è forte e non sempre del tutto resistibile.
La Bambinaia Francese mi sembra una questione parecchio diversa da quella che poni qui. Non posso fare a meno di pensare che ritrarre come “malvagia” la mentalità di un secolo passato a scelta, assegnando per contro ai “buoni” un set completo di sensibilità moderne abbia poco a che fare con l’immaginazione.
16 dicembre 2013 alle 12:59 AM
In effetti stiamo parlando di due cose diverse – perché tu parli di narrativa storica, io parlo di narrativa fantastica.
Ma scherzi a parte – capisco il tuo punto, e ammetto di aver usato il tuo articolo come gancio per parlare di cose diverse… per quanto non radicalmente diverse.
Io in generale trovo abbastanza sciocca l’idea in sè del fantastico come rifugio dalle brutture di un presente o, ancora più ridicolmente, di un passato.
Il fatto che io mi racconti la storia di una “pseudo-Sparta” edulcorata non cambia la realtà dei fatti che gli spartani praticassero l’infanticidio a scopo eugenetico o che altro.
Ma questo apre la portaa una questione ancora più interessante e complicata – siamo sicuri che chi legge e chi scrive stiano cercando la stessa cosa, nel racconto?
Ah!
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