… e il bello è che non so neanche cosa.
Ho parlato in passato del vasto mare oscuro che si estende al di là del mio dottorato.
Finora non avevo una data, ma ora, come dicevo ieri, ce l’ho.
E mi domando se il crescente nervosismo non sia più dovuto a cosa verrà dopo, che non necessariamente alla discussione della tesi.
Prima di tutto, c’è un fattore di identità.
Ricercatore presso l’Università di Urbino è bello, suona bene, è discretamente impressionante – lo è anche se per un anno lo hai fatto senza borsa, arrabattandoti con lavori occasionali.
Ma quell’etichetta è decaduta col primo di novembre, ed anche l’intervallo incerto, il limbo fra “Dotorando” e “PhD“, è agli sgoccioli.
Dopo, comincerà l’avvicendamento di altre identità.
La prima delle quali, naturalmente, è Disoccupato.
Il resto non conta.
Quindi cosa ricomincerà, il 19 di questo mese?
La caccia a qualcosa che non so cosa sia.
Il balletto dei curricula.
Il rituale dei colloqui.
Troppo vecchio.
Troppo qualificato.
Troppo maledettamente stanco.
Ci sono delle alternative, naturalmente.
O meglio ancora – delle attività da svolgere in contemporanea.
Ma il problema dell’identità rimane – perché siamo in un paese in cui siamo ciò che facciamo, ci definiamo (o veniamo definiti dagli altri) sulla base di ciò che ci paga le bollette.
E quindi si fanno piani, si compilano liste, si annotano indirizzi, si fa il conto di quanto resta nel salvadanaio – si calcola quanto abbiamo di autonomia prima di finire a vivere sotto i ponti.
Perciò sì, mercoledì 19 ricomincerà tutto da capo.
Qualsiasi cosa sia.
E anche con una certa urgenza.
13 febbraio 2014 alle 10:01 AM
Una mia amica era (ed è) fidanzata con un tizio sgradevole e borioso, che di mestiere faceva (e fa) il pittore. Dipingeva per soldi i muri della gente. Se una fabbrica di diossina voleva farsi disegnare sulla fiancata un paesaggio iperrealistico di boschi e torrenti si rivolgeva (e si rivolge, credo) a lui. Centri culturali, scuole private, comuni, anche un porto. Ovvio che uno non ci campa, e quindi si arrabattava con altro.
Ora, un giorno, dopo un pranzo a casa mia, uno degli ospiti gli chiese quale fosse il suo mestiere. Lui, con sicumera, rispose: “Io sono un sognatore”. Che odio.
Ci ho ripensato, più avanti: presentarsi con tanta sicurezza, benchè odioso, forse gli è stato utile: in effetti dava (e da, forse) l’immagine (finta) di uno affaccendato, preso dal suo lavoro.
Quindi, se qualcun te lo chiede, da’ una risposta breve, lapidaria, appena appena aggressiva. Taglia corto.
13 febbraio 2014 alle 3:30 PM
Ma io trovo che rispondere “Io sono un sognatore” sia in realtà molto, molto bello 🙂
13 febbraio 2014 alle 3:45 PM
Forse davvero coi tempi che corrono, una tag-line è meglio di un curriculum.
Toccherà lavorarci su…
13 febbraio 2014 alle 8:43 PM
Che gli slogan funzionino alla perfezione ormai dovremmo averlo capito, però bisogna abbinarci anche una bella faccia da… beh, non da faccia,
Non penso che oggettivamente faccia molta differenza, ma credimi, ti capisco benissimo quando dici “troppo maledettamente stanco”, credo che sia la migliore definizione, per quanto semplice, di come ci si senta in determinate situazioni. Non arrabbiati, non indignati, non delusi, o perlomeno non così tanto quanto ci si senta così profondamente privati di ogni energia. Essersi messi in gioco in prima persona, aver investito tempo, denaro, impegno ed i classici “lacrime, sangue & sudore” per i propri obiettivi e poi ritrovarsi, o perlomeno sentirsi (ma con un minimo di cognizione di causa), come se si fosse di nuovo ai blocchi di partenza, come se si fosse solo girato in tondo.
In ogni caso, resta il fatto che non ci si possa fermare, quindi tanto vale concentrarsi su una cosa alla volta e cercare di farla nel miglior modo possibile.