strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Il Principio delle Brioches

1 Commento

coppola_marie-antoinette2… Come dicevo, l’altro ieri ho letto due post molto interessanti – uno di un autore che conosco e seguo, su un blog che leggo e cito frequentemente, l’altro di una autrice che non conoscevo, su un blog scoperto per caso attraverso una segnalazione su Pinterest.
È il bello della rete.

Entrambi gli articoli mi hanno fatto venire voglia di scrivere, di prendere un pezzetto della storia e di svilupparlo dal mio punto di vista.
Sono due argomenti connessi, legati alla scritura, ma farci un post solo sarebbe improponibile.
Per cui facciamoci due post.
Questo è il secondo – che è stato provocato dall’articolo di Ann Bauer su Beyond the Margins.
L’articolo lo trovate qui, e vi consiglio di leggerlo.
Fatto?
OK.

Parliamo di soldi, allora.
Di privilegi.
E di reticenza.

I think it’s the Marie Antoinette syndrome: those with privilege and luck don’t want the riffraff knowing the details. After all, if ‘those people” understood the differences in our lives, they might revolt. Or, God forbid, not see us as somehow more special, talented and/or deserving than them.

Già.
Il talento ed il successo meritato.

Se sei così in gamba, allora com’è che…

Ve l’hanno mai detto?
A me sì.

È questa la cosa curiosa, che molti paiono non capire – che per scrivere, devo essere convinto della qualità del mio lavoro.
Esattamente così come Hitler era convinto di essere l’eroe della propria storia, così il peggior scalzacani che scrive storie trite e sciocche in un italiano approssimativo è convinto di essere straordinariamente originale ed innovativo e bravo.
È normale.
Devo essere assolutamente convinto di essere in gamba – altrimenti perché rischiare?

E a questo punto devo far venire anche a voi il sospetto che io possa davvero esserlo.
Attenzione – il sospetto.
Deve venirvi la voglia di verificare, e nel momento in cui verificherete – aha! vi accorgerete da soli che sono maledettamente in gamba, e saremo tutti contenti.

Certo, potrei anche cercare di convincervi che sono in gamba – è la faccenda del branding, ne parlavamo ieri.
Io vi convinco di essere in gamba.
Di essere “il nome dell’avventura”* o qualche altra utile tag-line.
Così posso evitare l’incombenza, spesso piuttosto complicata, di dimostrarvi di esserlo davvero.

Ecco, per convincervi, devo tacere dei dettagli.
Perché il talento è ok.
L’ispirazione è fantastica.
La Musa, ah, vogliamo parlare della Musa?

writePosso anche parlare del duro lavoro.
Il duro lavoro è molto ok.

Però bisogna lasciar intendere che è duro lavoro piegati sulla pagina bianca, alla luce di un moccolo tremolante, a spremere ogni ultima sillaba dalla Musa, o dall’ispirazione, o dal talento.

Il duro lavoro per pagare i conti – dando lezioni, facendo traduzioni, disegnando siti web, vendendo auto usate, lavorando dalle 9 alle 5 circondati da trogloditi, cavandosi gli occhi su un microscopio o servendo ai tavoli di un bar – no, quello non va bene.
Quello non è scrivere.
Quindi non contribuisce all’immagine.
Non rafforza il brand.

Al limite potete fare una lista di lavori strani, e lasciar intendere che di giorno facevate i taglialegna e poi rubavate ore preziose al sono ristoratore per riversare sulla pagina il vostro afflato lirico, o quel che è.
È per quello che avevate le occhiaie – per la vostra Arte(C).
Non certo perché vi spaccavate la schiena come schiavi per pagarvi la cena!

Allo stesso modo, dire che ci è andata bene, che abbiamo un bel lavoro poco impegnativo e ben pagato, un dottorato di ricerca con una bella borsa di studio che ci lascia un sacco di tempo per scrivere… no, anche quello è male.
Passione, sofferenza, duro lavoro.
Avere il culo sul velluto è male per l’immagine.

Un po’ come la gavetta.
Dite “ho fatto la gavetta” e uno pensa a scene dickensiane: in venti in una stanzetta gelida a scriverescriverescrivere, angariati da un principale patologicamente parsimonioso e tetro, un individuo emaciato e strampalato che si chiama Shuttleworth T. Micklewhite Esq., che indossa casacche del secolo scorso ed ha ciuffi di peli giallastri che gli escono dalle orecchie.
Questo funziona – questa è una buona gavetta.

La lunghissima gavetta a fare da claque a qualche “amico” famoso, nell’attesa che ci conceda qualche avanzo della sua metaforica tavola, a scrivere gratis, a pagare cene… no, quello non va bene.
A nessuno piacciono i lacché.

Alla fine, per chi scrive storie è normale inventare una storia anche per se stesso – ne avevamo parlato – e ripeterla e perfezionarla fino al punto che smette di essere una storia, un editing della realtà con le parti spiacevoli opportunamente rimosse, e diventa la Realtà(C).
Di solito questo è il punto di non ritorno.

Philip K. Dick

Philip K. Dick (Photo credit: Wikipedia)

Si diventa, nelle parole di Philip K. Dick, “gente finta”.

E la gente finta trasforma in gente finta la gente vera con cui interagisce, spacciando idee finte per vere, alterando il modo in cui chi è vero vede la realtà.
Anche questo, diceva Dick.

Perciò è bene di tanto in tanto fare un giro nei nostri personali bassifondi.
Ricordarsi delle bollette da pagare.
Del fatto che eravamo così stanchi e sfiduciati che non avevamo voglia di scrivere, ed in effetti abbiamo smeso di scrivere, ma poi ci è passata.
Delle storie rimaste invendute.
Degli “amici” che amici non lo son mai stati, e come in quel momento fosse ok, corriamo il rischio, perché magari, nonostante tutto, un’opportunità, un’apertura…

Li abbiamo tutti, questi quartieri malfamati della nostra anima. e possiamo fingere di scordarceli, ma sono sempre lì.
Queste gite nei nostri bassifondi sono strettamente personali, servono a noi per restare veri, per non cominciare a credere alle nostre stese balle – non ci si fanno sopra post sul proprio blog.
Tranne una volta ogni tanto.
Per quella storia delle idee finte, e delle idee vere.

———————————————————–

* Per quelli della mia generazione, naturalmente, se l’avventura ha un nome, dev’essere Indiana Jones**.
** … ma questa la capiranno in pochi.

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Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

One thought on “Il Principio delle Brioches

  1. Articolo straordinario.
    E’ una realtà con la quale mi confronto tutti i santi giorni, quella della gente che spera di “convincere” il prossimo senza voler mai “dimostrare” quello che, così alacremente, vende. Non nella scrittura, nel mio caso, ma nel teatro e nella pedagogia…
    Gente che cerca di convincere scuole, famiglie, persino ragazzini, che sono dei gran fighi perché hanno fatto questo e visto quell’altro… Ma che, alla prova dei fatti, si dimostrano degli scalzacani. Eppure, anche in quei casi, la gente tende a bersi qualsiasi idiozia gli venga propinata, perché… Beh. perché loro hanno costruito il “brand”, ovviamente. E quindi, “se uno così famoso ha fatto questa cosa, beh… Andrà bene!”
    Per fortuna, però, non è tutto nero… C’è quella questione di cui parlavi ieri, quella dell'”entrare in contatto”… Ecco, questo mi salva, ogni giorno. Se si entra in contatto davvero con le persone, che siano lettori, spettatori, allievi, colleghi… Beh, se si è capaci si viene riconosciuti come tali, altrimenti… Si viene smascherati.

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