Sto leggendo, con gran piacere e divertimento, The Ape’s Wife and Other Stories, una raccolta di racconti di Caitlín R. Kiernan.
Si tratta di storie estremamente diverse, una collezione dichiaratamente messa insieme dall’autrice per mostrare la varietà dei generi e degli stili nel suo tatalogo.
Caitlìn Kiernan è un’autrice estremamente prolifica.
La storia dalla quale questo libro prende il titolo venne scritta e pubblicata nel 2007. Da allora, ho scritto (e venduto) circa cento fra racconti e novelle.
Il libro è del 2012.
Da allora, il numero di racconti e novelle è ovviamente cresciuto.
L’introduzione dell’autrice aggiunge una serie di osservazioni molto interessanti sulla letteratura di genere.
E non solo.
[…] durante la Readercon 23, Peter Straub ed io venimmo intervistati da Gary Wolfe e Jonathan Strahan. Ad un certo punto durante l’intervista mi venne chiesto come -e perché – io sia così prolifica. La parterelativa al perché, quella è facile. Perché non ho molta scelta. Un autore professionista che non è una fabbrica di bestseller (o non ha un lavoro alternativo, o non è ricco di famiglia) deve lavorare a tempo pieno, di solito sette giorni la settimana, o non si paga le bollette. Per ciò che riguarda il come, quello, credo venga dall’imparare a ignorare quando ci si sente esausti, lo stress, la malattia, la routine che può tramutarsi in un tedio oppressivo, non importa quanto mi possa piacere ciò che faccio. Imparando che i giorni di libertà e le vacanze sono solo molto raramente un’opzione. La dipendenza da sostanze aiuta. Così come aiutano l’insonnia e un profondo pozzo di idea e personaggi, e vivo con la costante paura che il pozzo si prosciughi.
E mi piace.
Mi piace perché spiega perché si scrive e perché si pubblica senza scivolare in quella che il mio amico Hell chiama la storia del cesso, e che invece è tutto ciò che ci viene ammannito quotidianamente.
Mi piace perchè è la verità.
23 marzo 2015 alle 2:56 PM
Sto leggendo anche io la stessa raccolta e, quando ho letto l’introduzione, devo ammettere di aver pensato a te.
E di aver silenziosamente sogghignato, immaginando tutti quegli autori che dicono di esorcizzare i demoni interiori e hanno il bisogno, no che dico, l’urgenza, di raccontare gli abissi profondi del loro animo tormentato.
23 marzo 2015 alle 2:59 PM
Perché hanno un secondo lavoro, e quindi scrivere è un hobby.
Sono quelli che scrivono per gioco.
E pretendono pure di essere presi sul serio.
23 marzo 2015 alle 3:01 PM
Oooops… ho scritto “secondo lavoro” – no, hanno un lavoro, punto.
Scrivere per queste persone non è un lavoro – e probabilmente trovano offensivo il concetto stesso.
23 marzo 2015 alle 3:03 PM
Non saprei se è sempre sempre così: io ho un secondo lavoro, eppure cerco di scrivere in maniera seria. Non è la mia attività principale, ovviamente e quindi sì, suppongo possa essere definito un hobby, anche se non è una parola che mi fa impazzire.
Ma ti giuro su tutto quello che ho di più sacro, che non ho mai esorcizzato alcun demone. Né interiore né esterno 😀
23 marzo 2015 alle 3:08 PM
… anche perché io credo che fare l’esorcista (Blatty docet) sia così impegnativo che poi chi ha più voglia di mettersi a scrivere? 😀
[e comunque il discorso sugli hobbysti era esclusi i presenti 😉 ]
23 marzo 2015 alle 3:09 PM
E poi quei demoni fanno comunque un sacco di baccano. Vai a scrivere con qualcuno che ti vomita addosso zuppa di piselli e ti fa le linguacce e parla in lingue sconosciute…
23 marzo 2015 alle 3:11 PM
Beh, ho letto alcune cose che in effetti parevano scritte in lingue sconosciute 😀
23 marzo 2015 alle 3:58 PM
Ma se ‘sta storia dei demoni fosse vera… E se in massa tanti smettessero di scrivere e i demoni si riversassero sulla terra? E la devastassero? E se nel mondo del dopo disastro una setta che ancora pratica la perduta arte della scrittura tentasse di far rialzare la testa all’umanità soggiogata? Spunti, spunti ovunque e troppo poco tempo per scrivere.
23 marzo 2015 alle 4:24 PM
In effetti è una gran bella idea… io me la segno, il giorno in cui dovessi riuscire a scriverla, ti darò il credito (e ti manderò copia gratuita)
23 marzo 2015 alle 6:53 PM
Posso intromettermi? E’ perché conosco un webcomic che tratta l’argomento, sebbene alla lontana e con temi completamenti diversi dall’affresco da te ritratto. Si chiama “The Author” di Luigi “Bigio” Cecchi e, oltre a raccontare “la storia di chi racconta le storie” ipotizza la reale esistenza della cerchia delle muse che da 3000 anni ispira l’umanità (sebbene il riscontro mitologico della storia è nullo, le muse sono in realtà entità metafisiche dipendenti da un concetto denominato “campo nootico”).
Nel fumetto in questioni i demoni personali non sono che un risultato negativo del “campo nootico” quando interagisce con un autore in preda a sentimenti negativi e ne distrugge la creatività (e nei casi peggiori, la stabilità psicofisica e la salute).
Si trova online. La parte bella è che Luigi Cecchi è riuscito a far diventare fumetto e narrativa il suo unico lavoro che gli paga le bollette, nonostante lo faccia per motivi quali “arte, messaggi all’umanità e avere qualcosa da dire”…sì, è una questione interessante il fatto che pubblichi online i suoi fumetti e la gente acquisti nonostante questo i cartacei alle fiere del fumetto. Non che abbia qualcosa da ridire, anch’io ne ho acquistati ed è giusto così.
A chi parla dell’impossibilità della congiunzione tra arte e lavoro, gli farei leggere “Hunger” del premio nobel Knut Hamsun
23 marzo 2015 alle 8:41 PM
Ma l’idea delle Muse non c’era già in quel vecchio film, “Xanadu”?
23 marzo 2015 alle 8:54 PM
Appaiono le muse anche nel Sandman di Neil Gaiman, la musa dell’epica Calliope venne stuprata da degli artisti per acquisire l’ispirazione. Sicuramente se si cerca a fondo è possibile trovare altri esempi analoghi, ma non credo che fumetti così incentrati sulla storia delle muse ci siano.
Credo che oramai sia difficile essere veramente originali, in duemila e passa anni è stato detto di tutto e di più, alla fine resta il modo con cui le dici e nel modo con cui giochi e reinventi gli archetipi. Per dire, “Year of the Rice and Salt” di Kim Stanley Robinson presenta l’idea in comune con “The Gate of Worlds” di Silverberg e “In High Places” dell’immancabile Turtledove.
23 marzo 2015 alle 8:57 PM
Ma tutto questo non ha alcuna attinenza, naturalmente, né con l’argomento del post, né con la discussione qui nei commenti 😀
23 marzo 2015 alle 10:15 PM
Qualche volta scrivo per sfogare le mie altalene emotive. Qualche volta scrivo perché credo di avere un’idea interessante da sviluppare. Non sono uno scrittore di professione, ma non vedo in quale modo questo danneggi chi ha fatto della scrittura un mestiere. Posso capire il fastidio di fronte a certe pose da pseudo-intellettuali, ma tutto sommato non credo che gli scrittori “per hobby” (se così vogliamo chiamarli) danneggino gli scrittori di professione. Probabilmente, uno scrittore o un aspirante tale dovrebbe temere maggiormente un editor incompetente, una concorrenza sleale o un contesto sociale che veda nei libri soltanto un mucchio di carta igienica. Scrivo questo commento senza intenti polemici, sia chiaro. Questo blog è una delle mie letture preferite, ma tutto questo astio verso chi non ha fatto della scrittura il proprio lavoro, non mi riesce proprio di capirlo. Gesualdo Bufalino ha iniziato a fare lo scrittore di professione a 61 anni, ma (parere personale) questo non gli ha impedito di essere un ottimo scrittore.
23 marzo 2015 alle 10:23 PM
Ma io continuo a credere che ci sia da parte di alcuni lettori di questo blog una lettura sbagliata dei toni di chi scrive – che sarei poi io.
Non c’è alcun astio.
E non è una questione di concorrenza.
È una questione di affollamento, o se preferisci, di rumore di fondo.
E di sciocchi che si pavoneggiano senza possedere le competenze minime.
24 marzo 2015 alle 12:56 AM
Guarda, Davide (ti do del tu per velocizzare la scrittura della mia risposta), io sicuramente confondo spesso i tuoi toni. Lo dico perché, dopo aver macinato qualche centinaio di tuoi post con commenti annessi, mi sono reso conto che il tuo umorismo (perlomeno quello mostrato qui) è più tagliente del mio. Pertanto, tendo a scambiare il sarcasmo per aperta invettiva. Detto questo, non mi riferivo solo a te. Spesso, su questo e altri blog, ho trovato un certo…uhm…definiamolo “fastidio”, per coloro che scrivono per motivazioni personali, se vogliamo anche ampollose e puzzolenti di retorica. Ed io non me lo spiego, per almeno tre motivi:
1) non ho notato questa infestazione di aspiranti scrittori che “lo fanno per l’Arte”, spaccando le bolas ad amici e conoscenti. Ma ciò potrebbe essere dovuto al mio vivere in provincia, lontano da centri di produzione culturale e da ambienti minimamente interessati alla scrittura;
2) se chi scrive per esorcizzare i demoni interiori lo fa EFFETTIVAMENTE per confrontarsi con le proprie parti irrisolte, e non per vantarsi ad un cocktail party, per me ci può stare. Si può benissimo credere che la scrittura non abbia sempre e necessariamente una funzione terapeutica, e che scrivere SOLO per esorcizzare ecc. ecc, renda la scrittura, in qualche modo, monodimensionale (oltre ad avvelenarla con un eccesso di retorica). Nonostante ciò, esiterei ad affermare con certezza che quegli aspiranti scrittori connotati dal voler assegnare alla scrittura Funzioni Elevate con Titoli in Maiuscole non possano tirare fuori qualcosa di buono. In altre parole, credo che possano esistere ottimi scrittori con pessime idee (ottusi, insensibili o scarsamente curiosi se conosciuti di persona; appassionanti se incontrati su carta), e pessimi scrittori con buone idee: curiosi, appassionati, intellettualmente vivaci…..ma capaci di trasformare qualsivoglia idea nel proverbiale mattone indigeribile. Pertanto, personalmente sono portato a dare ad ogni scrittore, o aspirante tale, il beneficio del dubbio: la rozzezza di certe sue convinzioni potrebbe non impedire la nascita di qualcosa di valido.
3) La questione delle competenze minime mi affascina. In altri tuoi post hai comparato la scrittura ad un lavoro -cosa che è, se si viene retribuiti per scrivere e con quei soldi ci si pagano le bollette, nessuno lo mette in dubbio- e ad una tecnica che è possibile affinare col tempo -e assumendo questa definizione più ampia, ogni forma di scrittura è assimilabile ad un lavoro: quantomeno, un lavoro di miglioramento delle proprie capacità espressive-. Mi pare (correggimi se ho capito male) che una delle tue convinzioni si basi sulla necessità di un determinato retroterra di conoscenze e rimandi, se si vuol scrivere un certo tipo di narrativa. L’idea mi pare affascinante, ma non la condivido al 100%. Sto leggendo in questi giorni l’opera omnia di Conrad, e mi sta prendendo parecchio. Ebbene, stando alla sua biografia il buon vecchio JC non è esattamente un intellettuale “regolare”: il suo approccio alla lettura è stato abbastanza caotico, e probabilmente alcuni testi di grande importanza all’epoca sono mancati dalla sua educazione. Nonostante ciò, Conrad è comunque diventato un autore notevole -o un autore che, almeno, ha colpito il sottoscritto con grande forza- ed imitato da molti. Sicuramente, le esperienze da lui vissute in gioventù hanno funto da serbatoio per i suoi racconti. Probabilmente l’esempio di Conrad non calza molto a pennello (difficilmente la narrativa di genere fantastico può essere colmata da esperienze soggettive: quanti di noi sono mai entrati in contatto con una forma di vita aliena? pochini, credo) ma è il primo che mi sia venuto in mente. Ad ogni modo, JC non è stato certo l’unico autore parzialmente o totalmente autodidatta, capace di compensare i propri limiti in fatto di conoscenza del meccanismo narrativo con la forza del vissuto personale trasposto su carta. Il succo di questo lungo guazzauglio è: siamo certi che le “competenze minime” forniscano una selezione all’ingresso che sia efficace, e non controproducente?
24 marzo 2015 alle 1:28 AM
Allora, andando con ordine
1 . ci sono.
2 . esistono due categorie di scrittori – quelli che scrivono bene e quelli che scrivono male.
Fine.
Perché scrivano, quali siano i loro tormenti interiori e cosa abbiano mangiato per cena sono affari loro – e noi non valutiamo il loro lavoro sulla base di cosa lo ha stimolato, ma di come è venuto sulla pagina.
Il punto qui non è quali siano le motivazioni che muovono l’autore – quella dei Demoni Interiori, così come quella della Musa, il Talento, l’Ispirazione, sono cliché, chiacchiere, storie che di solito ci segnalano che chi sta parlando è più interessato ad atteggiarsi a scrittore che non a scrivere. Sono argomenti dei quali i professionisti non parlano, per lo meno non in certi termini enfatici e fasulli.
Di solito i risultati si vedono (oppure no – molti di questi spiriti tormentati non producono nulla, se non infinite chiacchiere – e noi che scriviamo li deridiamo, è un nostro diritto).
3 . io parlo di competenza, non di bibliografia – se scrivere è un lavoro, ci si prepara a scrivere come ci si prepara a fare qualunque altro lavoro (che tra l’altro non è neanche una frase mia, è di Isaac Asimov, pensa tu). Si studia, si imparano ad usare i ferri del mestiere (grammatica e sintassi, struttura, ritmo), si fa pratica, si fa una gavetta, si migliora.
Ma stranamente, se un idiota prende una chiave inglese e si improvvisa idraulico, è un truffatore, se un gelataio si spaccia per medico lo arrestano, ma se uno che sbaglia i congiuntivi avvia word e comincia a scrivere, e scrive male storie brutte che poi vende e se sono brutte non è un problema suo, ehi, è un suo diritto, chi siamo noi per criticarlo?
Beh, noi siamo quelli che hanno lavorato duro per sviluppare delle competenze, e possiamo criticarlo. E così come diamo credito a chi scrive bene indipendentemente dal suo percorso, così abbiamo il diritto di dire che chi si improvvisa, si atteggia e produce porcherie, beh, produce porcherie. Perché alla fine l’unica cosa che conta è la storia, e quella rimane.
E chi sostiene che tanto non importa, che qualunque cosa scritta ha la stessa dignità, che tutti i possessori di una tastiera QWERTY sono uguali, beh, offende la dignità del lavoro di tutti quelli che lo fanno con competenza e coscienza.
Non mi pare un discorso così difficile da capire.
12 aprile 2015 alle 8:30 PM
Ho finito il tuo libro che ho trovato molto piacevole. Sono riuscito a leggerlo tranquillamente in inglese. Motivato ho iniziato Lazarus Gray in attesa della tua prossima storia.
12 aprile 2015 alle 10:31 PM
Buona lettura!
E grazie per avermi letto!