Charles Lyell – noto ai più come il padre della geologia – pubblicò le sue osservazioni e le sue riflessioni nel 1830, in un volume inrtitolato, tanto perché non ci fossero dubbi, I Principi della Geologia.
O meglio
I Principi della Geologia: ovvero un tentativo di spiegare i passati cambiamenti della superficie della Terra, con riferimento alle cause ora in atto.
Sarebbero seguiti altri due volumi.
Io mi procurai una copia dei Principles of Geology di Lyell quand’ero studente di geologia – edizione abridged della Penguin, perché in Italia non risultava reperibile. Credo di averne anche già raccontato.
Mi venne detto – da un paio di docenti, badate, non dai miei compagni di corso – che si trattava di tempo buttato. Era un testo vecchio e inutile, superato, pieno di errori.
Meglio studiare per gli esami.
Ma senza fretta, aggiunse carogna un (allora) assistente
tanto una volta laureati sarete tutti disoccupati
Io d’altra parte ritenevo allora e ritengo ancora oggi che conoscere la storia della propria scienza, o della propria vocazione, o della propria professione, sia importante.
Non per le mere nozioni – non insomma per usare Lyell per passare lo scritto di Geologia1; no, ma per avere consapevolezza del nostro passato, della nostra famiglia, della nostra tribù.
Io sono un geologo, io sono un discendente, per così dire, di Lyell.
E potrà capitare che, sul terreno, guardando un affioramento, io possa ricordarmi del vecchio scozzese, e dirmi
tò, il buon vecchio Lyell ci aveva preso già due secoli or sono
oppure
eh, povero Lyell, non aveva proprio capito nulla
Tutto questo cambia radicalmente la mia competenza professionale?
Aumenta le mie probabilità di non essere disoccupato dopo la laurea?
Probabilmente no.
Ma mi aiuta ad essere una persona migliore – perché mi ancora ad una comunità.
È un po’ come venerare gli spiriti degli antenati, che stanno alle nostre spalle e ci danno la loro forza e la loro saggeza – in questo caso, la loro esperienza.
E questo non vale, naturalmente, solo per la geologia, o solo per la scienza. Vale, io credo, per qualunque profesione o attività che ci coinvolga e che noi vogliamo praticare seriamente.
Esiste un passato, esiste una storia, alla quale noi apparteniamo, e ignorarla è scortese verso i nostri antenati, e spesso ci porta a reinventare la ruota, a farci sprecare tempo.
O a fare delle figure barbine.
Il che mi fa pensare all’autrice di narrativa fantasy la cui intervista ho appena letto, e che alla domanda se le piacciano i lavori di Howard, di Moorcock o di Vance ha risposto
degli [autori] che hai citato non mi è capitato nulla sotto mano
Potrei scrivere altre 350/400 parole, a questo punto.
Ma ritengo che non sia necessario.
- che tanto poi sarebbe stato valutato da quello che diceva che eravamo destinati alla disoccupazione. ↩
17 febbraio 2016 alle 3:12 PM
Diciamo che può essere dura specializzarsi sulla propria vocazione studiandone idee e tecniche contemporanee, e quelle passate al tempo stesso. Però sarebbe sicuramente utile, e ci farebbe ampliare i nostri orizzonti. In più, aiuta a renderci conto della veridicità di quella vecchia storia circa i “nani sulle spalle dei giganti”.
PS ma è la Troisi? Suona come una delle sue solite uscite..
17 febbraio 2016 alle 3:18 PM
Aggiungo che conoscere ilpercorso che è stato seguito dalla nostra professione durante la sua evoluzione, ci aiuta a immaginare nuove direzioni, nuove applicazioni, o a scoprire strade che non sono state battute.
E non è la Troisi.
17 febbraio 2016 alle 5:38 PM
Ho scovato e letto l’intervista. E da lettore sono rimasto depresso.
Ma… (spunto di riflessione),
nell’introduzione a Schizmatrix Plus, Bruce Sterling dichiara piu’ o meno la stessa cosa, cioe’ di aver letto un sacco di classici della letteratura, ma ben poco se non nulla di classici di fantascienza.
Ora, premesso che non ho la piu’ pallida idea di cosa abbia scritto l’autrice in questione, non e’ tristemente normale che una generazione di autori (e l’intervistata sembra decisamente giovane) dimentichi gli autori di due generazioni precedenti?
17 febbraio 2016 alle 5:53 PM
No.
Sterling (che io credo menta per la gola) si voleva porre come personaggio di rottura, che scriveva autentica letteratura e non fantascienza, che è poi l’atteggiamento che ha permesso a un certo cyberpunk di farsi sdoganare presso chi la fantascienza l’aveva sempre schifata – primi fra tutti i nostri critici.
Nel caso in esame siamo al livello di “sì, ho letto Tolkien, ma il film è meglio” – non c’è neanche un atteggiarsi pseudointellettualoide, c’è solo oscurità.
O forse, come diceva Shakespeare, non è oscurità, ma ignoranza.
17 febbraio 2016 alle 7:16 PM
Mi sembra a questo punto che la letteratura e Nello specifico di genere la si voglia ulteriormente degradare. Un giochetto di poco conto, che può fare chiunque e che non necessita di radici o background culturale. Basta la passione, un po’ di fantasia ed avere un buon fandome. Perfetto.
17 febbraio 2016 alle 8:15 PM
Sì, è una operazione che – per sdoganare autori che le case editrici trovano sotto ai cavoli e a poco prezzo – svilisce il genere ela sua pratica.
C’è questa insopportabile idea di storie di adolescenti scritte da adolescenti per un pubblico di adolescenti, che porta in sé i semi della fine.
18 febbraio 2016 alle 8:24 PM
Infatti. Ci percepisco perfino una sottile vena di disprezzo in tutto questo stato di cose.
18 febbraio 2016 alle 8:29 PM
Ah, il bello, io credo è che anche molti editori che col genere ci campano, comunque se ne vergognano – vorrebbero tutti pubblicare “vera letteratura”… vedi i vari discorsi del tipo “sì, è una storia ambientata nel futuro con un sacco di astronavio e mostri alieni, ma in realtà non è fantascienza, ma una complessa metafora del bla bla bla e perciò ha un valore letterario che bla bla bla bla …”
Si vergognano di ciò che pubblicano, e disprezzano i lettori.
18 febbraio 2016 alle 8:31 PM
La stessa storia che avevano fatto a Vergnani quando aveva presentato un suo libro al Tg5. Avevano cercato di venderla come una storiella
17 febbraio 2016 alle 9:10 PM
Conoscere il passato può, tra le altre cose, aiutare a non ripetere gli stessi errori
17 febbraio 2016 alle 10:14 PM
Anche, certo 😀
18 febbraio 2016 alle 10:35 AM
Ho letto anch’io l’intervista e mi sono cadute diverse parti sensibili. Affermare di “avere letto poco di Lovecraft” e la frase da te citata, oltre ad altre, sono un viatico certo alla ripetizione per ignoranza. Ovvero scrivere una serie di volumi nei quali si scopre l’acqua calda. Con lettori che, altrettanto ignoranti, si stupiscono che qualcuno abbia scoperto l’acqua calda.
Che dire? Siamo pulci in testa ai nani sulle spalle dei giganti.
18 febbraio 2016 alle 11:46 AM
Sì, e Tolkien è ok ma il film è meglio – anche qui c’è stato un crollo anatomico generalizzato.
Il discorso è che esistono (purtroppo o per fortuna) autori che è necessario leggere se si vuole scrivere un certo genere a ragion veduta.
Il rischio altrimenti è di produrre cloni del poco che si conosce, e che magari si crede sia tutto ciò che c’è.
Non si tratta più di passione, di essere lettori di un certo genere – se si decide di farne una professione, ci si deve documentare.
19 febbraio 2016 alle 4:47 PM
Purtroppo la tipa dell’intervista (si, anche io l’ho trovata con la magia di “S. Gugol” [cit.], e si, anche io ho sentito un vuoto pneumatico crescere dentro di me mentre scorrevo la fila di…. luoghi comuni, banalità e frasi fatte, a tacer d’altro) non è affatto isolata.
C’è tutto un fandom affamato, là fuori, che crede veramente di poter re-inventare la ruota, magari con un ardimentoso corso “4dummies”, ignorando completamente quelle che sono LE BASI del genere.
Come ebbe a dire un mio amico, “la casa la costruisci da dove? A partire dal tetto o cominciando dalle fondamenta?”.
Ma credo sia perché leggere DAVVERO (ma soprattutto uscire dal tunnel dei soliti noti) è FATICOSO, così come è faticoso accettare che quel minuscolo granello di senape di conoscenza che si ha (della materia, del genere, di quella corrente letteraria o artistica) NON è tutto l’umano scibile, e che magari la propria supponenza è appunto, solo presunzione e NON vera conoscenza.
E purtroppo questo “sonno della ragione genera mostri ” , anche se la fiorente corrente dei blog barricaderos “contro tutto e tutti” [cit.] sembra fortunatamente avviata verso la china dell’estinzione.
19 febbraio 2016 alle 4:58 PM
Non c’è dubbio che per leggere autori che per decenni sono sytati considerati dei classici, oggi come oggi ci si trova a dover battere le bancarelle o leggerein inglese (dei tre citati nel post, solo Howard è presente con una certa consistenza nelle nostre librerie, credo). Ma d’altra parte si suppone che chi ama un genere voglia conoscerne di più, voglia approfondire, voglia scoprire nuovi autori e nuove storie.
È questa curiosità, questo desiderio di altro, che temo sia stata accuratamente eutanasiata nei lettori – e di conseguenza nei lettori-diventati-scrittori.
19 febbraio 2016 alle 8:31 AM
Il discorso che fai per la geologia vale ovviamente per tutte le scienze en per gli altri campi del sapere. Ora, prova ad immaginare cosa succede nel mio, di campo -che poi è la psicologia.
Le varie scuole e correnti della psicologia non solo si occupano dea propria storia, ma la trasformano in un altro campo di battaglia polemico. Lo studente che vuole informarsi sul passato e sul significato della storia della propria tribù si ritrova perso in un labirinto di litigi, scomuniche e dissociazioni.
19 febbraio 2016 alle 11:03 AM
E d’altra parte, conoscere quella storia è a questo punto ancora più essenziale, io credo.