La webzine Liberi di Scrivere* ha lanciato la sua prima blogathon – unamaratona di blog su un tema definito.
In questo caso, **I migliori film tratti dai libri.
E perché non partecipare?
Ma prima di tutto, assicuratevi di fare un salto su Liberi di Scrivere, dove è pubblicata la lista linkata a tutti i partecipanti… c’è un sacco di roba da leggere!
E una volta fatto questo, potrete magari voler dare un’occhiata al mio post per il blogathon.
Il libro è Il Lungo Addio, di Raymond Chandler.
Il film, è The Long Goodbye di Robert Altman.
I fan sono divisi.
Questo potrebbe essere il ritornello di questo post.
The Long Goodbye, sesto romanzo di Raymond Chandler dedicato a Philip Marlowe, e pubblicato nel 1953, da sempre divide i fan.
Da una parte c’è chi lo considera il miglior libro di Chandler, per la vastità del cast, per l’approfondimento psicologico. Dall’altra, ci sono coloro che rimpiangono la brevità e la prosa croccante di The Big Sleep, o di Farewell, My Lovely:
Chandler stesso si schierò a suo tempo con i sostenitori della qualità del romanzo, descrivendolo com ela sua opera migliore.
E naturalmente vinse un Edgar nel 1955 – quindi proprio brutto non deve essere.
Non ha senso riassumere la trama – o lo avete letto, e sapete di cosa parlo, oppure (ma dove diavolo vivete?!) adesso andate a comprarvene una copia e ve lo leggete (mi ringrazierete dopo).
Io lo lessi all’ultimo anno di liceo, e mi piacque molto. Ma io non faccio granché testo.
Ho parlato altrove, molto brevemente, della quantità di adattamenti dell’opera di Chandler, al cinema, in tv e alla radio.
E quando nel 1973 si venne a sapere che The Long Goodbye sarebbe diventato un film, diretto da Robert Altman (quello di MASH) e interpretato da Elliot Gould (quello di MASH), si scatenò un putiferio.
Il fatto che la promozione del film avesse coinvolto uno dei disegnatori della rivista MAD, che disegnò un poster ipoteticamente “umoristico” non aiutò affatto: quegli hippie drogati di Altman e Gould avrebbero trasformato il sacro testo di Chandler in una farsaccia sgangherata, si dissero in tanti, e la pellicola arrivò nelle sale con i riflettori – e i lanciafiamme – puntati addosso.
I critici lo odiarono.
Beh, non tutti – piacque a Roger Ebert e a Pauline Kael.
Ma in generale le recensioni furono pessime.
In realtà Ebert e Kael avevano ragione – è un otimo film, Elliott Gould è spettacolare, e tutti i pezzi si incastrano a formare… beh, un film di Altman.
Altman e la sceneggiatrice Leigh Brackett (la stessa che aveva sceneggiato Il Grande Sonno di Howard Hawks nel ’46) decisero di dare un taglio critico alla pellicola – aggiornando l’azione agli anni ’70, il Marlowe di Gould è un personaggio fuori tempo massimo (guida un’auto del 1948), un relitto di un’epoca decente proiettato in un’epoca dacadente.
Marlowe, nonostante il suo ipotetico credo sia il mantra qualunquista “it’s okay by me” (siamo negli anni ’70, I’m OK, you’re OK), possiede dei valori, e non può fare a meno di vivere sulla base di questi valori.
E nel film tutti, tranne Marlowe, sono a caccia di un guadagno personale, non posseggono valori, sono corrotti e corruttibili. Il film quindi è una satira dell’hard boiled, ma resta comunque un hard boiled, ed uno dei primi, e migliori, neo-noir della storia.
Come tutti i film di Altman, anche The Long Goodbye nasconde una quantità di accorgimenti tecnici e scelte stilistiche che contribuiscono a farne ciò che è – le riprese sempre eseguite con un dolly, la correzione del colore per rendere le immagini uanto più vicine possibile alla normale percezione dell’occhio umano, la scelta di muovere sempre la cinepresa in contrasto con i movimenti degli attori.
Tutto è costruito per dare allo spettatore l’impressione di essere sl posto, di sbirciare da sopra la spalla dei protagonisti.
Al contempo, altri dettagli giocano sull’assoluta irrealtà del setting: la Hollywood di The Long Goodbye è una città nella quale apparentemente esiste una sola canzone – The Long Goodbye, scritta da John Williams e Johnny Mandell – che si sente ovunque, persino nei campanelli delle porte.
La fama di Altman come regista amico dell’improvvisazione venne confermata quando il regista diede a tutti gli attori una copia delle lettere e dei saggi di Chandler, come lettura propedeutica.
In realtà, a quanto pare, le scene improvvisate sono solo due – il dialogo fra Gould e Sterling Hayden (che era completamenmte ubriaco durante la ripresa), e la scena incui Marlowe si passa sul viso la mano sporca d’inchiostro per le impronte e annuncia ai poliziotti che lo osservano che ora canterà Swaney. Ah, e naturalmente la parte del gatto – che a quanto pare improvvisò tutte le sue scene.
Il risultato finale è un ottimo film – che venne rivalutato anni dopo la sua uscita e che per alcuni è il miglior film di Altman. Per altri no.
Come si diceva, i fan sono divisi.
Ed è in fondo impossibile fare un confronto fra film e libro – simili nonostante tutto nell’atmosfera e completamente diversi nella trama.
Così diversi, in effetti, che se avete letto il libro, il film riuscirà a sorprendervi. E se avete visto il film, il romanzo vi coglierà di sorpresa.
E c’è anche Arnold Schwarzenegger, in una particinaminuscola e senza dialogo.
E in una scena purtroppo tagliata, il Marlowe di Gould fa un viaggio in ascensore col suo vicino di ufficio – l’investigatore Sam Spade, interpretato da Steve McQueen.
Votato nel 2008 come uno dei migliori 500 film di sempre dai redattori di Empire Magazine e considerato uno dei 1001 film da vedere prima di morire, The Long Goodbye resta una pellicola sottovalutata.
Buttateci un occhio.
20 giugno 2016 alle 5:52 AM
L’avevo visto una vita fa e ora che non è molto che mi sono RI letto il romanzo mi hai fatto venire una voglia matta di rivederlo
20 giugno 2016 alle 8:48 AM
Vale la pena riguardarselo.
Pingback: :: Lancio Blogathon: i migliori film tratti dai libri | Liberi di scrivere
20 giugno 2016 alle 9:43 AM
Visto. Molto divertente con quell’atmosfera scanzonata e un pò surreale. Veramente come se tutti fossero sotto effetto di cannabis. Molto divertente.
20 giugno 2016 alle 11:13 AM
Ho letto Chandler tradotto da Oreste del Buono negli Omnibus di Mondadori, “Il lungo addio” è nel secondo volume. E mi son sempre detta che un giorno l’avrei letto in originale. Come si discuteva altrove di film tratti da Chandler ce ne sono numerosi, ed è singolare infatti la tua scelta di un film poi che ho molto amato. Elliott Gould è un Marlowe totalmente diverso dal Marlowe di Humphrey Bogart, per esempio, e nonsotante questo ne cattura parte della magia. Insomma è fenomenale, e nonostante il tono “allegro” non scade mai nella parodia. Non deride o irride il personaggio, anzi ne potenzia le componenti “sovversive”. Come solo Altman sa fare. Insomma da rivedere al più presto.
20 giugno 2016 alle 11:29 AM
Sì, ci sono stati tanti ottimi Marlowe – e Gould è in ottima compagnia, e comunque non sfigura affatto.
21 giugno 2016 alle 11:15 AM
Non conoscevo questo libro/film e ancora non so se entrerà nei miei 1001 film da vedere prima di morire. Credo proprio non sia il mio genere…
Ti lascio la tappa del blogathon: http://www.scheggiatralepagine.net/2016/06/blogathon-2016-i-migliori-film-tratti-dai-libri-the-millionaire-le-dodici-domande-di-vikas-swarup/
21 giugno 2016 alle 10:44 PM
Non credo sia il genere di film o di libro che leggerei e non conosco nessuno dei due.
É comunque buono a sapersi.
Puoi passare da me se vuoi leggere la mia tappa.
22 giugno 2016 alle 12:08 PM
Non ho visto il film e non ho letto il romanzo, ma come trama non sembra male… Non è esattamente il mio genere, ma tentar qualcosa di nuovo non fa male =D
22 giugno 2016 alle 12:42 PM
Bisogna sempre provare qualcosa di diverso, o si appassisce 😉