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Stranimondi 2016, ovvero sette su dieci

16 commenti

E così sono stato a Stranimondi, la convention di fantascienza che …
Beh, ok, lo sapete cos’è.

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Era la prima volta che partecipavo a Stranimondi, e quindi non posso fare paragoni con l’edizione precedente. Fonti autorevoli mi hanno detto che quest’anno si è registrato un numero di visitatori doppio rispetto all’anno passato, e non ho motivo di dubitarne. La Casa dei Giochi di via Sant’Uguzzone a Milano era certamente affollata quando io, mio fratello e Fabrizio Borgio abbiamo fatto il nostro ingresso attorno alle dieci e mezza, dopo una lunga traversata nella nebbia.
L’affollamento, insieme con il clima da serra tropicale, rappresentano certamente i punti dolenti della manifestazione. Esiste, in effetti, il problema dell’avere troppo successo.
Che uno potrebbe anche metterci la firma, se vogliamo, ad un problema simile.

Strani mondi è stata un’occasione per vedere un sacco di amici che di solito non vedo, e coi quali mi tengo in contatto atraverso la rete: Mauro Longo, che some si conviene ad un bravo autore vive in un paradiso esotico; Marina Belli, con la quale mi sento regolarmente via web, ma in questo modo non posso approfittare dei suoi biscotti al cioccolato; persino Fabrizio Borgio, che sta qui a pochi chilometri, per vederlo mi tocca andare a Milano.
E poi naturalmente Samuel Marolla, l’anima di Acheron Books.
E tutti gli altri, e non ne farò una lista per non tediarvi – e un po’ come diceva Dave Brubeck, we’re all together again for the first time.

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E qui c’è il primo aspetto sorprendente di Stranimondi: le persone che arrivano, ti salutano, e ti dicono

ciao, sono un lettore del tuo blog, avevo piacere di incontrarti

e poi fanno i complimenti, chiedono un autografo, si fermano a chiacchierare, a parlare di libri, di idee per nuove storie, di cose a venire.
È bello e, per me, inaspettato.
Scrivere – che siano storie, articoli o post sul blog – è una faccenda solitaria, e spesso ci si scorda che là fuori ci sono delle persone a cui piace (inaudito!) ciò che scriviamo.
E davvero non riuscirò mai e poi mai ad abituarmia questa storia degli autografi, e poi scrivo malissimo.

Poi, certo, c’è anche la persona alla quale ti presenti e ti dice

Oh, lo so benissimo chi sei e cosa fai…

… con quel tono da I know what you did last summer che hai il terrore che ora ti accoppi con un gancio da scaricatore di porto nella gola, ma intanto un po’ speri che salti fuori Jennifer Love-Hewitt, e invece poi ti ritrovi a parlare con il tuo vecchio amico Iguana, e ti tocca fartene una ragione1.

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Non mancano le piccole avventure collaterali – come andare a mangiare da Tony, pizzeria cinese a pochi metri dalla sede della convention, e dover affrontare una pizza che pare un materasso di gommapiuma, mentre i vicini di tavolo danno mostra della solidarietà che lega gli appassionati del fantastico sussurrando

per l’amor di Cthulhu, non ordinate il caffé!

guiscardiE poi la presentazione di Guiscardi senza gloria, alla quale non posso mancare perché sono io a presentare il romanzo di Mauro, e il panel su Come farsi pubblicare all’estero, che mi sarebbe tanto piaciuto sentire, perché prima o poi mi divertirebbe, provare a pubblicare all’estero2, e qualche dritta da quelli che si sono riusciti sarebbe certamente preziosa.
E invece me lo sono perso.

Insomma, tutto bellissimo e meraviglioso.
O quasi.
Esiste, io credo, al di là della questione di clima e di affollamento, un problema evidente, a Stranimondi, e credo che ignorarlo sarebbe estremamente sbagliato.
Anche perché non è forse un problema strettamente di Stranimondi – è un problema che Stranimondi porta alla luce.

Il problema è che, così ad occhio, un 70% dei presenti sono operatori del settore: autori, editori, traduttori. A latitare, insomma, sono i comuni lettori. Quelliche, coi loro sudati risparmi, pagano tutti quegli altri.
Questo non sarebbe un problema se Stranimondi fosse un evento professionale, una fiera dell’editoria.
La scarsa presenza dei “comuni lettori” sarebbe giustificata.
Ma Stranimondi è un evento che si propone di accogliere non solo i tecnici, ma anche e soprattutto il pubblico, i fan, gli utilizzatori finali. Che invece sono una minoranza.
E l’assenza dei lettori è molto più grave della possibile assenza di alcuni editori.

La domanda a questo punto è se il campione evidenziato da Stranimondi sia rappresentativo, e se perciò davvero su dieci persone che si occupano di fantastico in Italia sette siano autori, editori o traduttori e solo tre semplici appassionati lettori; oppure se da qualche parte il meccanismo promozionale non si sia inceppato, e l’evento abbia fallito nell’attirare il più importante elemento della macchina editoriale: i lettori. E sarebbe interessante capire perché.

Chiaramente, nel secondo caso allora sì, questo sarebbe un problema di Stranimondi, e gli organizzatori dovrebbero cercare una soluzione (e non dubito la stiano già cercando).
Ma se fosse davvero una fotografia reale, quella che identifica il 70% del popolo del fantastico come costituito da addetti ai lavori… eh, in quel caso, il problema sarebbe dell’intero sistema, e non prometterebbe niente di buono.


  1. non fraintendetemi, Giorgio “Iguana” Raffaelli è un gran divertimento, a parlarci assieme – ma semplicemente credo mi divertirei di più con la Love-Hewitt. Ma è un problema mio, ovviamente. 
  2. no, davvero, c’è chi me lo ha consigliato, sarebbe bello provarci. 

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

16 thoughts on “Stranimondi 2016, ovvero sette su dieci

  1. è stato un super piacere conoscerti sia per me che per il piccolo Elia!
    E la prossima volta che vai da Tony buttati sul tiramisù che merita tantissimo!

  2. Interessante osservazione! Sono stato a Stranimondi sabato pomeriggio; bellissima manifestazione, in quel momento forse non ancora troppo torrida né affollata.
    L’impressione che ne ho avuto coincide con quella che ricevo dalla pagina FB Romanzi di Fantascienza: i “lettori che non sanno scrivere” come me sono una minoranza; al punto che sentirmi in questo ruolo di minoranza passiva comincia un po’ a scocciarmi e e che proverò a scrivere anch’io prima o poi..
    Scherzi a parte, probabilmente la fantascienza è un genere non più popolare come 40 anni fa, ma elitario; attira persone particolarmente motivate e competenti. È un grosso problema? in fondo gli scrittori sono anche “lettori forti”, e in quest’area sembrano essere davvero molti. Una nicchia, ma piuttosto robusta.
    Per attirare un più grande pubblico, l’unica via che vedrei sarebbe coinvolgere le grandi case editrici in un metting dedicato alla fantascienza come questo (al di là della preziosa presenza di Lippi sabato scorso); però questo richiederebbe definitivamente un salto dimensionale nelle strutture, organizzazione e così via.

    • Io credo sia un grosso problema perché manca un rinnovamento del pubblico.
      Se siamo sempre gli stessi da vent’anni, fra trent’anni non ci sarà più nessuno, e saranno per forza di cose trent’anni di vacche magre.

  3. Forse gli operatori del settore sono anche lettori – e ci mancherebbe altro: se chi lavora in un ambito come il fantastico non fosse anche un po’ cliente…

    • Sì, certo – ma allora abbiamo un mercato che si nutre esclusivamente di se stesso: io compro il tuo libro, tu compri il mio.
      È malsano.

      • Un altro motivo, potrebbe essere che alla fine del mese partirà Lucca: quella manifestazione potrebbe mangiarsi un po’ di pubblico con interessi variegati e che non può permettersi di viaggiare per godersi entrambi gli eventi.

  4. Ci sono stato l’anno scorso come autore e ho notato la stessa cosa. A parte negli incontri con gli autori più famosi, l’altr’anno c’era Bruce Sterling.
    Puoi provare a vederla in un altro modo: gli appassionati del fantastico lo sono a tal punto da voler fare della loro passione un mestiere, tutti quanti! 😉

  5. A guardare le vendite (ottime!) di Zona 42, se sono operatori del settore o lettori, bé, non è che a noi cambi molto, se alla fine leggono…
    Mi spiego, è possibile che moltissime persone che vagavano per i banchi di stranimondi fossero del mestiere, ma considerando che quelli del mestiere erano tutti a Stranimondi (per la prima o la seconda volta e con entusiasmo con i loro banchi) mi viene da pensare che chi invece è arrivato fosse per la maggior parte semplice lettore (come se poi ogni lettori non avesse anche altre attività, lavorative o meno che siano…).

    Comunque sia, rispetto all’edizione 2015 di Stranimondi, oltre ad un numero quasi raddoppiato di ingressi, quest’anno a noi è parso di notare che l’età media (per quanto ancora elevata) si sia abbassata di qualche punto e che – sorpresa! – le visitatrici di sesso femminile erano di gran lunga più abbondanti (il che non vuol dire che si sia raggiunta la parità di genere, la strada è ancora lunga, solo che erano in numero maggiore di quanto successo l’anno scorso).

    in ogni caso, sul problema del costante calo dei lettori e sui tentativi di aumentarne il numero se ne è dibattuto, e se la strada è in salita noi qualche piccolo risultato lo abbiamo otttenuto.

    Detto questo mi ha fatto davvero piacere rivederti! E sì, anch’io avrei preferito chiacchierare con Jennifer Love Hewitt piuttosto che con me stesso 🙂

    • Giorgio, non era assolutamente mia intenzione sminuire il lavoro fatto nel costruire qualcosa che non c’era, e che evidentemente funziona.
      Mi domando tuttavia se il futuro sia fatto di ristoranti in cui vanno a mangiare solo cuochi e camerieri – che è una bella idea sulla quale certamente Cyril Kornbluth avrebbe scritto una bella storia, ma non so se sia un futuro desiderabile e soprattutto sostenibile.
      “Ma il mio ristorante è sempre pieno!” sarebbe la risposta ovvia di ciascuno di quei ristoratori, magari a tavola coi propri dipendenti in un ristorante altrui, ma entrambi siamo abbastanza vecchi ed abbiamo le cicatrici per sapere dove porta ragionare così.
      “L’importante è che mangino!” non è la risposta.
      Al limite è parte della risposta, ma non basta.
      Poi è chiaro, si procede a piccoli passi, si fanno errori, si aggiusta il tiro.
      In altre parole, si cresce e si matura.
      E un giorno ti racconterò di quel mio vecchio amico che abitava di fronte a casa della Hewitt quando lei non era ancora una star 😉

      • Davide non ho letto le tue parole come una critica all’organizzazione, ci mancherebbe!
        Il mio punto di vista dipende dal fatto che, per quella che è la mia esperienza di partecipazione a manifestazioni commercial/letterarie, non c’è stato proprio confronto tra Stranimondi e chessò, Buk a Modena, o il festival della microeditoria di Chiari.
        La percentuale di successo* (partecipazione/acquisti) raggiunge a Milano vette che le altre fiere se le sognano. E io credo che tutti ‘sti libri venduti alla fine saranno pur letti, no?

        O forse ormai siamo talmente assuefatti al mantra del calo dei lettori (non di fantascienza, non di fantastico, ma lettori tout-court) che ci basta davvero poco a scorgere un filo di luce circondati come siamo da un mondo in cui i libr son sempre più marginali.

        * e non mi riferisco a vendite che si riferiscono a libri di genere, ma vendite di libri in generale.

        • Io sono male abituato: la mia principale esperienza, nel nostro paese, è con manifestazioni legate al mondo dei giochi, che per loro natura attirano un pubblico più vario e ampio di quanto non possa fareun evento che si occupa di a) libri e b) libri di genere.
          Ciò detto, credo che nascondersi dietro a un dito sia inutile – la comunità attiva, chiamiamola così, è costituita in vasta percentuale da addetti ai lavori che hanno, se vogliamo, un motivo strettamente darwiniano per essere attivi.
          Ora bisogna scoprire se esiste una comunità inattiva (credo di sì), e se esiste, cosa sia necessario fare per attivarla.
          È una bella sfida.

  6. Il problema esiste, ma non è di facile soluzione.
    Io penso che facendo una maggiore pubblicità si sarebbe potuta attirare una quantità maggiore di semplici appassionati. Tuttavia, come tu stesso fai notare, la capienza massima dei locali è già stata praticamente raggiunta così. Penso che la scelta di non propagandare troppo la manifestazione sia stata voluta: più gente avrebbe creato un ingorgo e reso invivibile il tutto. L’alternativa sarebbe stata prendere uno spazio più grande, che sarebbe costato di più, avrebbe richiesto un contributo economico magigore, e probabilmente messo fuori la maggioranza dei piccolissimi editori che sono il sale dell’evento. Credo che la difficoltà maggiore del futuro sarà proprio continuare a far crescere StraniMondi senza snaturarla.

    (Io poi sono un po’perlpesso a sentirti parlare di clima da serra tropicale. Tendo a soffrire il caldo, eppure ho mai sentito il bisogno nemmeno di togliermi il maglione.)

    • Vanamonde, evidentemente l’età mi causa delle vampe di calore 😀
      Se poi davvero il ragionamento è stato “non facciamo troppa pubblicità, sennò vengono in troppi”, credo che l’organizzazione debba farsi delle domande e darsi delle risposte.
      E alla svelta – perché se la tendenza è (come si auspica) alla crescita, allora auto-limitarsi è davvero criminale.
      D’altra parte crescere significa obbligatoriamente scegliere locali più ampi, magari articolare l’evento su un periodo più lungo, e di conseguenza investire di più.
      Credo che gli organizzatori farebbero bene a buttare un occhio a come hanno lavorato gli organizzatori della Japanexpo di Parigi, passati in due/tre anni da poche centinaia a svariare decine di migliaia di visitatori al giorno.
      Fare il salto richiede coraggio, e idee molto chiare – ma in fondo dovrebbe essere parte del divertimento.

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