C’è una lettera di Robert E. Howard, da qualche parte, in cui l’autore delle storie di Conan spiega (probabilmente a Lovecraft, ma non sono sicuro, è passato un sacco di tempo), che scrivere le storie di Conan non è particolarmente difficile.
Non è che Conan sia uno che stia a ragionare sulle possibili soluzioni alternative, osserva Howard. La violenza è la sua principale soluzione per la maggior parte dei problemi che si trova ad affrontare.
E in fondo il motivo per cui Howard è un grande autore è che pur con un personaggio tanto semplicistico nel suo approccio al problem solving, Howard riesce a scrivere delle storie meravigliose.
Ed è in racconti come La Torre dell’Elefante che questa capacità di Howard appare evidente, ma la si ritrova in tutte le sue storie migliori – le descrizioni dei luoghi e le atmosfere, l’idea di un passato profondo, di una stregoneria malevola e incomprensibile, afferrano il lettore e lo trascinano nella storia.
Poi sì, certo, OK, I live, I burn with life, I love, I slay, and am content, ma diciamo che se leggete le storie di Conan solo perché poi arriva lui e spacca tutto, beh, diciamo che probabilmente siete un po’ minimamente eccezionali.
Eppure c’è una crescente infatuazione, da parte del pubblico e – cosa molto più grave – degli autori, per questa ultrasemplificazione del fantastico.
Botte e tette paiono essere gli unici fattori di interesse.
Perché è facile.
Per chi scrive, perché proprio come sosteneva Howard ottant’anni or sono, non ci si deve sbattere ad avere delle buone idee per risolvere il problema al cuore della storia.
Per chi legge perché non c’è impegno, non c’è nulla di complicato.
La qualità generale dell’offerta cala, il gusto del pubblico si sfilaccia e si stracca.
Perdono tutti.
Se ne parlava qualche sera addietro col mio amico Fabrizio Borgio, e a nessuno dei due questa piega che il genere pare abbia preso piace esageratamente.
Per quel che mi riguarda, si tratta di uno stato di cose che mi urta, e mi preoccupa – perché queste fissazioni adolescenziali andrebbero lasciate, appunto, nell’adolescenza.
Il fantasy, come genere, è un meraviglioso laboratorio in cui mettere alla prova delle idee, è uno strumento per dar corpo ai sogni, per fare della filosofia con le spade, sì, ma filosofia1.
Davvero sognamo solo energumeni che si fracassano di legnate scambiandosi battute paracule?
Sarebbe bello ricordarsi che il genere fantasy non è solo “di menare”, non è solo action.
Nel caso, ecco qualche titolo. Le regole di base – niente soluzioni semplici, niente spaccare tutto per il gusto di spaccare tutto. E idee, e immagini, che possano dar qualcosa da fare al cervello di chi legge.
Quelli con l’asterisco li trovate anche in italiano, con un po’ di impegno e qualche giro sulle bancarelle.
Ah, e ce ne sono molti altri sparsi per il blog – provate a spulciare il tag fantasy.
* Jack Vance – il ciclo della Terra Morente
Cugel l’Astuto non lo è tanto quanto vorrebbe, e gli altri eroi di Vance sono più interessati alla disquisizione filosofica ed allo scambio di osservazioni dotte e insulti barocchi che non all’esercizio della violenza fisica.
* Robert Holdstock – il ciclo dei Mythago
Se esistono minacce e pericoli nell’universo narrativo dell’autore inglese, è anche vero che la violenza non serve a nulla, e lascia tutti danneggiati e in generale molto peggio di quando hanno cominciato. In un mondo in cui gli archetipi prendono vita, ogni scelta ed ogni decisione ha le sue conseguenze.
Charles De Lint – le storie di Newford
A Newford le mitologie e i mondi spirituali del Vecchio Continente incontrano quelli del Nuovo Mondo, e se la miscela può certamente essere pericolosa per gli sprovveduti, beh, il punto è proprioquesto: la conoscenza, e la compassione, contano più di una lama affilata. Di solito la violenza in De Lint appartiene solo al male, e le armi a disposizione degli eroi sono insolite e “culturali”.
Buttare un occhio anche alle antologie della serie Bordertown potrebbe essere un’altra buona idea.
John Crawley – Little, Big
Una esplorazione del mondo delle fate in forma di saga familiare, forse di poliziesco, certo senza l’ombra di una spada in vista, eppure così maledettamente soddisfacente da essere probabilmente il miglior fantasy mai scritto.
* Patricia McKillip – la trilogia del Signore degli Enigmi
Una delle cose migliori ispirate dal desiderio di emulare l’opera di Tolkien, i romanzi della McKillip limitano al massimo la violenza, privilegiando l’astuzia, l’intelligenza, la conoscenza. Non per nulla il protagonista è un eroe per la sua capacità di risolvere indovinelli – e sugli indovinelli si basa gran parte del sistema magico che governa il mondo in cui si svolge l’azione.
* Mervyn Peake – il ciclo di Gormenghast
Un castello grande come un mondo, un romanzo altrettanto grande. La violenza in Gormenghast non è una soluzione, e ancora una volta porta conseguenze terribili, ed è provincia dei malvagi.
Steven Brust – il ciclo di Vlad Taltos
Che potrebbe parere strano, considerandoc he si tratta delle storie di un assassino umano in una società di creature quasi immortali. Ma è qui il bello – perché Vlad Taltos è tanto machiavellico quanto moderato nel suo applicare la forza alla risoluzione dei suoi problemi – o dei suoi incarichi lavorativi. E nessuno potrà mai negare che questa sia sword & sorcery – però col cervello acceso, che sarebbe poi il punto dell’intera faccenda.
E poi sì, certo, sarebbe bello rileggersi il ciclo di Elric di Michael Moorcock col cervello acceso. Ma forse al momento è chiedere troppo.
- sì, è vero, si era detto che avremmo dovuto parlare di a cosa serva il fantasy. Teniamocelo per queste calde sere d’agosto. ↩
2 agosto 2017 alle 3:59 PM
Mi viene in mente un romanzo che ho letto da poco :The Heroes di Joe Abercrombie. All’apparenza un Fantasy “knee deep” in spadate, sortite coraggiose e selve d freccie ma in cui ogni morte e’ dolorosa e sentita e ogni vittoria velocemente dimenticabile.
2 agosto 2017 alle 7:10 PM
Però Abercrombie è uno di quelli che se non seppelliscono i propri personaggi in sangue e merda non è contento. Anche qui c’è il rischio che una certa fetta di pubblico percepisca solo quello e non cosa c’è sotto, a livello di qualità narrativa.
3 agosto 2017 alle 9:54 AM
Abercrombie da come lo descrivono (e dal commento che ne fai tu qua sopra) sembra il fratellino di George R.R. Martin, sarei curioso di leggere qualcosa di suo.
Anche Martin ama moltissimo seppellire i suoi personaggi di sangue e mucha mierda
3 agosto 2017 alle 2:54 PM
Che è una delle tendenze che trovo deteriori – la prima volta è insolito e inaspettato, la cinquantaseiesima comincia a stancare..
3 agosto 2017 alle 4:22 PM
Sfondi una porta apertissima e questo si ricollega al discorso che fai all’inizio. All’ennesimo libro uguale Martin comincia a stancare e probabilmente funziona meglio come tempistiche più “concentrate” come le serie tv (che infatti hanno gran successo perchè sfruttano la necessità di merda, sangue e colpi di scena continui).
Diciamo che dopo anni di attesa non sento nemmeno più tanto la necessità di un nuovo libro (e la serie tv l’ho mollata dopo la prima stagione).
2 agosto 2017 alle 4:34 PM
Il ciclo di Gormenghast credo di averlo visto recentemente in libreria, gli altri no. Intanto prendo nota, e grazie dei suggerimenti 🙂
2 agosto 2017 alle 7:10 PM
Gormenghast in Italia lo pubblica Adelphi, in una traduzione abbastanza spiazzante.
2 agosto 2017 alle 9:08 PM
La Adelphi ha un catalogo vasto e interessante, ma non aggiorna spesso le traduzioni…
2 agosto 2017 alle 9:27 PM
In che senso spiazzante?
2 agosto 2017 alle 10:33 PM
Nel senso che hanno avutola pessima idea di tradurre i nomi, coi quali Peake fa sempre dei giochi interessanti.
Per cui ad esempio Sepulchrave (che è “sepulcher” e “crave” – uno che desidera il sepolcro) diventa Sepolcrio, che è uno che… boh.
3 agosto 2017 alle 11:26 AM
Adelphi, insieme a Einaudi, fa parte di quelle case editrici medio-grandi che dovrebbero fare “cultura” che si guardano bene da definire Fantasy i Fantasy che pubblicano. Vedere la polemicuccia che era partita per l’ultimo libro di Kazuo Ishiguro.
3 agosto 2017 alle 2:55 PM
La polemica su Kazuo Ishiguro me l’ero persa (e meglio così) – però è tipico dell’editoria italiana quella di mascherare il genere della narrativa, e la narrativa di genere, cercando disperatamente di darsi un tono.
3 agosto 2017 alle 12:56 AM
Il ciclo di Gormenghast è bellissimo.
3 agosto 2017 alle 5:54 AM
Sì, lo è 🙂
3 agosto 2017 alle 1:49 PM
Di Charles De Lint ho letto il “very best of” e me ne sono innamorato… Davvero splendido. Agevolmente in ebook si trova Moonheart che sembra bello. Vance è fighissimo, ma vabbè, si sa. Gormenghast l’ho cominciato diverse volte, ma lo trovo ancora un po’ pesante… Degli altri vedrò cosa trovo. Interessanti spunti, comunque! Dei tuoi consigli sul fantasy di molto tempo fa apprezzai tantissimo i Nove Principi in Ambra, soprattutto la saga di Corwin… Insolito e molto “cerebrale” anche quello. E poi c’è Earthsea… anche nella Le Guin fantasy la violenza è secondaria.
3 agosto 2017 alle 2:57 PM
Ottimi spunti anche Zelazny e Le Guin.
Ho lasciato fuori Amber per evitare il “sì, però anche lì le battaglie…” di quelli che leggono solo per confrontare la lunghezza delle spade.
E ho lasciato fuori Earthsea perchè non sipuò citare tutto, e poi è narrativa per ragazzi (o così dicono 😛 )
3 agosto 2017 alle 3:25 PM
Quindi non vale nemmeno la trilogia sul mondo d’inchiostro di Cornelia Funke, né i libri su Howl & Co. di Diana Wynne Jones? 😛
3 agosto 2017 alle 5:26 PM
Come dicevo, non si può citare tutto.
E una scusa per lasciar fuori cià che si è lasciato fuori bisogna pur trovarla, no? 😀
6 agosto 2017 alle 3:45 PM
Che tu sappia, possiamo sperare di vedere prima o poi una traduzione italiana di Little, Big? E’ degli anni ’80, maledizione! 😦
6 agosto 2017 alle 4:10 PM
Non mi risulta che qualcuno abbia mai preso in considerazione Little, Big – e ho dei seri dubbi sul fatto che qualche editore possa essere interessato, purtroppo.
Bisognerebbe sperare in un editore non di genere, per dire Einaudi o Adelphy, che lo presenti in maniera abbastanza sofisticata da attirare il pubblico non di genere.
Ma onestamente, in un mercato che sta cercando “Il Nuovo Games of Thrones”, il romanzo di Crowley avrebbe un sacco di difficoltà.
Pingback: Non solo con l’ascia