Lasciamo per un attimo tutte queste chiacchiere di corsi, progetti e conti da pagare, e parliamo invece di cinema.
E di un vecchio film, tanto per cambiare.
Ieri, Casablanca ha compiuto 75 anni.
Uno dei film più citati – spesso a sproposito – un classico dei classici, è stato variamente celebrato sul web. E allora perché non buttare qualche parola anche qui su strategie?
Ah, sì – nel caso non l’abbiate mai visto…
Dio, ma come avete fatto a non vedere Casablanca, dove vivete, in un canale di scolo? Vi siete autoesiliati fra gli Hovitos della foresta Amazzonica?
Comunque, quanto segue contiene spoiler.
Casablanca è un film sulla guerra.
Non una guerra qualunque, ma la Seconda Guerra Mondiale, che era in corso, mentre il film veniva girato – la produzione fece fretta al cast, per poter distribuire la pellicola in tempo per il traino pubblicitario dello sbarco alleato in Nord Africa.
E c’è, in questa miscela di cinismo, opportunismo e grande arte, l’intera essenza del film. Casablanca usa una formula – quella del melodramma romantico – e uno stile – quello del noir – per parlare di eventi che stanno accadendo: c’è una guerra, e con la guerra c’è tutta l’ambiguità morale e politica che fa da impalcatura al film.
Un film in cui si combinano un cast straordinario, una regia sottovalutata, una sceneggiatura col botto e un cast tecnico capace di fare l’impossibile con relativamente pochi soldi.
La trama per i distratti (no ma davvero, dove diavolo… ah, lasciamo perdere): i Nazisti hanno fatto piazza pulita in Europa, Parigi è caduta. Casablanca è una città aperta, affollata di profughi, dove l’intrallazzo regna sovrano.
Rick Blaine è un americano – e come tale è neutrale, una posizione che gli permette di approfittare della situazione per fare soldi.
La comparsa sulla scena di Ilsa, la donna che Rick ha amato a Parigi, e ora sposata con un leaer della resistenza, obbliga Rick aporsi delle domande – e a darsi delle risposte.
Alla fine, il nodo morale dell’intera faccenda si può riassumere in: che senso può avere l’amore quando c’è gente che viene mandata nei campi di concentramento?
Il cast, dicevamo.
Bogart, naturalmente.
Secondo la leggenda, al posto di Bogart avrebbe potuto esserci Ronald Reagan. Ma in realtà è una mezza bufala – il nome di Reagan, insieme a quello di Ann Sheridan, venne infilato in un comunicato stampa mentre ancora il film era in fase di sceneggiatura.
Ann Sheridan and Ronald Reagan co-star for the third time in Warners’ Casablanca, with Dennis Morgan also coming in for top billing. Yarn of war refugees in French Morocco is based on an unproduced play by Murray Burnett and Joan Alison.
In realtà la commedia originale (che Burnett e Alison avevano scritto mentre erano in vacanza) venne ampiamente rielaborata, e il film venne girato in sequenza cronologica semplicemente perché venne messo in lavorazione prima che lo script fosse finito. Quindi no, niente Reagan. È invece vero che la Bergman fu una scelta di ripiego – si era pensato ad altre atrici, inclusa Hedi Lamarr e la sopra citata Ann Sheridan, e che il ruolo di Rick venne inizialmente offerto a George Raft, che lo rifiutò1.
Ma è nel cast dei comprimari che troviamo una specie di catalogo di colossi:
Konrad Veidt, Claude Rains, Sidney Greenstreet, Peter Lorre…
Il cast contiene una quantità di europei in fuga – proprio come la popolazione di casablanca nel film – e secondo molti questo contribuisce al senso di urgenza e di angoscia che il film riesce a trasmettere.
E davvero, date un’occhiata alle scene di massa di Casablanca, e ci troverete delle cose che pensavate di aver visto per la prima volta in Blade Runner – a cominciare dal mix di etnie, stili di abbigliamento, espressioni…
E c’è, in una scena en passant, in un cameo non accreditato, Jack Benny, che con Carole Lombard aveva interpretato To be or not to be di Lubitsch – un film che aveva usato la struttura della commedia per parlare dell’invasione della Polonia.
Questa è classe.

Jack Benny è quello col fez…
La sceneggiatura… ah, è una di quelle sceneggiature che vale la pena leggere, per vedere come si fa – Julius Epstein, Philip Epstein e Howard Koch infilano così tante storie in questo film da 102 minuti, che è un vero e proprio gioco di prestigio: il triangolo Rick-Ilsa-Laszlo, Rick che gioca a rimpieattino con Renault, il Maggiore Strasser che fa pressione su Renault e gioca al gatto col topo con Laszlo, una coppia di profughi in cerca di un biglietto e di una via di fuga, i clienti ed il personale del bar di Rick, coi loro giri e i loro intrallazzi. Tutti hanno almeno una scena, un brano di dialogo, un qualcosa di caratteristico.
La sceneggiatura si riflette sul montaggio, che è estremamente ritmato. Un sacco di cose accadono in una successione rapidissima e le une a ridosso dell’altra, e la macchina da presa stacca di continuo.
Luci e taglio di gran parte delle inquadrature hanno uno stile che è quello del noir – che molto spesso significa “massimo effetto per minima spesa”, ma non solo: il cinico Rick ha sempre un lato in ombra, l’idealista Laszlo è sempre illuminato in pieno.
E ci sono un sacco di ombre, nelle scene – molte delle quali vennero dipinte appositamente per esser lì.
Anche questa è classe.
Ed è la consapevolezza che sul set di un film di Michael Curtiz niente accadeva per caso.
E qui dedichiamo allora due parole a Michael Curtiz, regista di una infilata di pellicole con Erroll Flynn, l’uomo che fece invecchiare di trent’anni Bette Davis perché potesse interpretare Elisabetta Prima con addosso trentacinque chili di costume, e non proprio famosissimo come innovatore o genio – ma che aveva un controllo assoluto sui dettagli, e sono i dettagli a fare grande un film come Casablanca. Per questo Curtiz resta un regista sopravvalutato proprio per questa sua abilità nel costruire per accumulo, ma senza darlo a vedere.
Curtiz aveva anche la fortuna di avere alle spalle Hal “Brent” Wallis, un produttore di casa Warner che sapeva scegliere gli uomini giusti per il lavoro, e li appoggiava incondizionatamente.
Come va a finire, Casablanca?
Naturalmente Rick rinuncia a Ilsa perché Laszlo senza di lei non ce la può fare, e senza Laszlo l’opposizione al nazismo perde un giocatore importante.
E in questo finale che sovverte il melodramma – l’eroe non conquista la bella e non la perde, ma rinuncia consapevolmente a lei – si riassume la grandezza di Casablanca.
E pensare che il finale venne scritto così anche perché il Codice non ammetteva una rappresentazione positiva dell’adulterio.
Mi hanno detto, qualche giorno addietro, che Casablanca è un film vecchio, noioso, in bianco e nero, senza “gli esplosioni” e che “… vuoi mettere gli X-Men?”
Un atteggiamento orribile.
È per qusto pubblico, che non riesce a immedesimarsi perché Bogart e la Bergman “sono due vecchi” e il film è in bianco e nero, che la Turner ne fece una versione colorizzata in digitale.
È inguardabile.
Casablanca è un film che è stato girato in bianco e nero per essere visto in bianco e nero – una mano di pittura serve solo a far sbiadire quei dettagli che Curtiz, i fratelli Epstein e tutto il cast si sforzarono per metterci dentro.
Guardatelo.
E guardatelo in bianco e nero.
- eccellente attore, George Raft rinunciò a una quantità di parti che vennero allora passate a Bogart, contribuendo a crearne la leggenda. ↩
27 novembre 2017 alle 8:10 AM
Da Milanese stato più volte in Marocco che in Liguria, meriterei la gogna per non aver mai visto questo film.. grazie del suggerimento… Lo guardo il prima possibile! Grazie mille ( e io che pensavo si chiamasse Casablanca solo per qualche riferimento nella trama..)
27 novembre 2017 alle 11:54 AM
Guardalo!