Un post per spiegare un minimo di ciò che intendo fare col corso sui personaggi che parte nella seconda metà del mese. Pubblicità, OK, ma anche un paio di considerazioni generali che potrebbero – spero – interessare a qualcuno là fuori.
I commenti sono aperti come sempre.
La questione è la seguente – mi è capitato per la miliardesima volta di sentir definire certi personaggi come piatti.
E la reazione, francamente, è
E allora?
Vediamo di ragionarci.
L’opposto di un personaggio piatto è un personaggio tridimensionale o a tutto tondo.
Il personaggio tridimensionale è ricco di sfaccettature e di caratteri talvolta contraddittori. Ha una personalità molto ben definita, ha una storia e una vita.
Ha tutta una serie di caratteristiche che emergono dal suo comportamento sulla pagina, dalle sue scelte nel corso della trama, dal suo dialogo, cosa dice e ciò che dice.
Come interagisce con gli altri personaggi, e con l’ambiente.
Soprattutto, ed è qui il punto critico io credo, un personaggio tridimensionale evolve. Vive la storia e la storia lo cambia, forse fisicamente, certo psicologicamente.
Un personaggio piatto no.
Un personaggio piatto ha un set di caratteristiche – tante o poche, semplici o complesse – ha un suo stile ed un suo modo di relazionarsi con il mondo in cui si muove1, ha una sua storia e una sua vita che hanno fatto di lui (o lei) ciò che è, ma non evolve.
Passa attraverso la storia come il vento, operando dei cambiamenti nel mondo in cui si muove, ma senza cambiare.
Questo non è necessariamente un peccato mortale.
Gran parte dei personaggi seriali sono piatti, e va benissimo così. Certo, ci sono anche personaggi seriali che evolvono: nell’ambito del fantasy, Elric è un ottimo esempio, Fafhrd e il Gray Mouser sono ottimi esempi, Conan un po’ meno, Kane per niente.
In particolare è interessante notare come le storie davvero memorabili nella serie di Fafhrd e del Mouser siano quelle in cui i personaggi evolvono, le storie che ci mostrano dei punti nodali nel loro sviluppo.
Lo stesso vale per le storie di Conan, che costituiscono forse un case study più familiare alla maggioranza dei lettori.
Possiamo tirare una riga a metà di una pagina, ed elencare da una parte le storie di Conan in cui Conan è una sagoma di cartone, e dall’altra le storie in cui invece emerge in maniera tridimensionale e cambia, cresce.
Non lo faremo qui, perché questo me lo tengo come esercizio per gli iscritti al corso.
In altri generi?
Sherlock Holmes non cambia granché da una storia all’altra, neanche dopo il volo dalle cascate di Reichenbach, né cambia Watson.
I Vedovi Neri di Ike Asimov sono assolutamente scolpiti nella roccia.
Philip Marlowe cambia molto più del Continental Op o di Mike Hammer – per lo meno mostra una certa usura da parte del tempo, che invece lascia intatti i suoi colleghi. Spillane diceva che Hammer sarebbe rimasto un quarantenne per sempre, ma con la scaltrezza di un autore che diventava sempre più vecchio e scafato.
Travis McGee è un caso che meriterebbe una tesi di laurea – perché lui non cambia, ma cambia il mondo attorno a lui, e poiché le storie di McGee sono al 60% costituite dalle osservazioni del protagonista sul mondo in cui si muove, pare che Travis cambi, ma in realtà lui resta uguale a se stesso.
James Bond nei romanzi non cambia – nei film cambiano gli attori.
Nei romanzi di Len Deighton, “Harry Palmer” non cambia, Bernard Samson sì (e non è che gli piaccia poi granché).
Nella fantascienza, Retief rimane piattamente fedele a se stesso, mentre Dominic Flandry cambia proprio malgrado, cambia nonostante faccia di tutto per non cambiare. Ecco, anche questa cosa del resistere al cambiamento – in personaggi come Samson o Flandry, è interessante. Ci mostra un possibile approccio non solo alla costruzione del personaggio, ma anche alal costruzione della storia.
C’è da annotarselo.
Nel ciclo dei Principi Demoni di Vance, Kirth Gersen cambia nell’ultima riga dell’ultimo romanzo.
L’immutabilità è spesso un elemento fondamentale della comicità. Tutti i grandi personaggi del cinema comico delle origini sono immutabili, sono maschere – Laurel & Hardy, Charlot, i Fratelli Marx, Harold Lloyd…
Gran parte della comicità nelle storie di Cugel l’Astuto di Jack Vance deriva dal fatto che Cugel non cambia – non impara dai propri errori, ma si ostina a ripeterli, pensando di essere furbissimo. Lo stresso vale per Harry Flashman. Lo stesso vale per Bertie Wooster e Jeeves.
Arthur Dent, nel ciclo della Guida Galattica, cambia – ma la serie si fa progressivamente più cupa. Nel cambiare, Arthur non fa più ridere.
Il cosiddetto arco del personaggio, la sua crescita ed evoluzione secondo un percorso definito, che è apparentemente piuttosto popolare, spesso con riferimento a libri di Joseph Campbell letti da altri, pare essere qualcosa di preferibile – o forse addirittura necessario, per alcuni – in un romanzo, mentre per la narrativa breve e seriale, la forma stessa ci permette una scelta: possiamo creare personaggi immutabili come Doc Savage o Sherlock Holmes, possiamo usare le storie in sequenza per tracciare l’evoluzione di un personaggio, o possiamo giocare sui due fronti, e allineare una sequenza in cui si alternano storie “nodali”, in cui i personaggi crescono ed evolvono, ed episodi in cui i personaggi sono una semplice replica del modello.
Ma anchein un romanzo potremmo optare per un personaggio che non cambia, non evolve – è possibile, anche se probabilmente rischioso.
Tutto questo per dire che
I personaggi sono piatti
non è necessariamente il bacio della morte.
Tutti i comprimari, per dire, di solito sono piatti, anche se i protagonisti principali sono tridimensionali.
La tridimensionalità – o l’assenza della medesima – dei personaggi è uno strumento a disposizione di chi scrive e che deve essere usato in maniera consapevole. Forse il vero problema è questo.
Ma forse alcuni considerano personaggio piatto sinonimo di personaggio non originale.
Ma anche l’originalità è sopravvalutata.
Magari ne riparleremo.
- il legame fra personaggio e ambientazione è unaparte critica del worldbuilding, oltre che della creazione del personaggio. ↩
5 aprile 2018 alle 5:05 PM
Immagino che, alla fine, conti davvero solo una cosa: che ci sia un buon motivo per cui un personaggio sia o si comporti in un certo modo 🙂
5 aprile 2018 alle 5:38 PM
Immagino di sì 😛
10 aprile 2018 alle 3:43 PM
Sono decisamente in contrasto con la tua definizione di ‘non cambia’
Un personaggio piatto non è un personaggio che non cambia e un personaggio che evolve non è necessariamente un personaggio ‘non piatto’
Mike hammer è un personaggio che non cambia e non deve cambiare ma NON è un personaggio piatto. Kane è un personaggio estremamente complesso e decisamente tridimensionale nella sua fissità
Concordo con James Bond, lui sì è un personaggio piatto. ^__^
I personaggi seriali dei grandi gialli in genere non cambiano ma raramente sono personaggi piatti. I personaggi di Agatha sono fissati nella pietra ma non direi proprio che sono piatti, li senti parlare, li senti ragionare, li senti nella loro prepotenza e arroganza in ogni momento. Quando leggi un libro sai già come si comporteranno ma lo sai perché li conosci, perché ne capisci i ragionamenti non perché sono banali.
I personaggi piatti sono personaggi banali, inutili, noiosi non sono solo quelli che non evolvono. Quello dell’evoluzione dei personaggi è un altro problema, un altro grosso problema per uno scrittore. ^__^
10 aprile 2018 alle 3:45 PM
Credo che semplicemente diamo alla parola piatto un significato diverso.
Io per dire banale dico banale.
Per dire “ben definito ma con un arco narrativo che non lo porta ad evolvere” dico piatto.
10 aprile 2018 alle 3:55 PM
ok, la metti sulla semantica tu eh?
^______^
Ci sta, ok.
Però, dal mio punto di vista, il problema è l’eccezione della parola.
Se leggo che il personaggio è piatto do subito una eccezione negativa al tutto.
Cosa che non è necessariamente vera… come giustamente dici anche tu.
Io cercherei una parola diversa… che non mi viene in effetti.
^__^
10 aprile 2018 alle 4:59 PM
Come detto altrove, io sto parlando di scrittura, non di lettura.
Quindi il mio non è un termine che abbia alcunché a che fare con la percesione del lettore, ma col lavoro che deve fare chi scrive nella costruzione del personaggio.
Il mio è, dopotutto, un corso per scrittori, non per lettori.