È ora di fare rapidamente il punto su ciò che è accaduto sabato passato.
È andata così: con Fabrizio siamo arrivati a Nizza alle 15.00; ci siamo bevuti una Lemonsoda, abbiamo fatto due chiacchiere con Roberto Amisano della libreria A Pié di Pagina che ci ospitava, abbiamo infilato la carta nella macchina per scrivere e abbiamo scritto. Attorno alle 18.00/18.30 abbiamo finito, avendo prodotto entrambi una storia di undici pagine.
E poi siamo andati a farci una pizza.
E non c’è molto altro.
Nessun angelo fiammeggiante è calato dal cielo per consegnarci personalmente l’Ispirazione – e forse meglio così, perché faceva un caldo assassino anche senza angeli fiammeggianti.
Nessuna Musa discinta è venuta a sussurrarci nell’orecchio le prossime frasi.
Abbiamo scritto.
E la macchina per scrivere ci ha dato qualche problema – sia di meccanica che di abitudine.
È incredibile il numero di errori di battitura che si fanno semplicemente perché la Z è al posto della W (o viceversa) e dove dovrebbe esserci l’apostrofo c’è la chiusa parentesi.
E il livello di battuta!
Orribile. Il mio dattiloscritto è cinquanta sfumature di grigio, ma senza manette e sesso ridicolo e – ammettiamolo – scritto MOLTO meglio.
Però ce l’abbiamo fatta.
C’era anche un piccolo ma agguerrito pubblico, col quale abbiamo fatto quattro chiacchiere ad avventura finita, e che ci ha proposto il tema per la storia.
E che a quanto pare ha gradito ciò che abbiamo scritto, che è poi la cosa fondamentale.
Una delle cose fondamentali.
Mi sarebbe piaciuto ci fosse stata più gente.
Mi sarebbe piaciuto perché iniziative come Tastiere Roventi servono a dimostrare che scrivere è un duro lavoro fisico.
Lo abbiamo fatto a Nizza Monferrato, il posto in cui, due anni or sono quasi al secondo, mi sentii dire
Ma tu un lavoro con le mani non lo hai mai fatto
Il marchio d’infamia dello sfaticato cronico, del fallito, del parassita sociale: non hai mai lavorato con le mani.
Il cervello è sopravvalutato.
Abbiamo fatto Tastiere Roventi nel posto in cui da due anni cercano di spiegarmi che la mia “fissa” a voler scrivere devo superarla, e trovarmi un “lavoro vero”, chessò, il bracciante stagionale in nero.
Perché quello è lavorare.
Il fatto che da oltre due anni io riesca a pagare – a malapena, e spesso in ritardo – tutti i conti?
Non conta.
Se lo faccio presente, la reazione è una scrollata di spalle stizzita.
Proprio non lo voglio capire che non è un vero lavoro.
E prima che qualcuno si metta a piangere e dica che sono un elitario bastardo – io non sto affatto negando la dignità del lavoro di un bracciante, o di chiunque altro.
Ciò che rivendico è la dignità della scrittura in quanto lavoro.
Un dettagli che chi non è capace a farlo, a scrivere, intendo, non sembra in grado di cogliere.
Chessaràmai: ti siedi e scrivi.
Però sabato eravamo abbarbicati sulle nostre sedie, io e Fabrizio, a picchiare sui tasti, sudandoci ogni pagina. E spero che i membri del pubblico abbiano apprezzato come si tratti di un lavoro, non di afferrare i sogni mentre passano e appiccicarli sulla pagina.
E non so se Fabrizio abbia avuto il mal di schiena che ho avuto io, dopo, ma ecco, immagino i promotori del lavoro con le mani e della fatica fisica sarebbero stati soddisfatti.
O forse no.
Ed è qualcosa a cui sto pensando da qualche giorno.
Perché io e Fabrizio ci siamo riusciti.
Siamo arrivati, ci siamo seduti, abbiamo preso due idee dal pubblico, e abbiamo scritto le nostre storie.
Per cui a qualche anima semplice potrebbe venire in mente che sia facile.
In fondo che ci vuole?
Se ci sono riusciti quei due… Chessaràmai: ti siedi e scrivi.
Cos’è, un lavoro?
Per cui non se ne esce.
Aveva ragione Mark Knopfler
Now look at them yo-yo’s, that’s the way you do it
You play the guitar on the MTV
That ain’t workin’ that’s the way you do it
Money for nothin’ and chicks for free
9 agosto 2018 alle 12:28 PM
Rieccomi, non ti leggo da un po’, troppi impegni, o meglio, i soliti impegni ma poca voglia di farli, e quindi si portano via ancora più tempo (un cane che si morde la coda).
C’è poco da fare, io lo so che mio padre continua a pensarla cosi: io non lavoro. Comunque per mio padre il lavoro è quello statale, tutto il resto è solo un palliativo in attesa del posticino statale in una posizione qualunque, basta che sia statale (e in fondo il desiderio di fare da grande il posto fisso statale (Zalone docet) è addirittura aumentato fra i giovani di ben 5 punti percentuali se non ricordo male). Credo ormai anche tu ti sia rassegnato, infondo noi che abbiamo scelto la strada meno battuta, quella che sentivamo giusta dentro di noi e contro l’idea comune, abbiamo ben chiaro che la nostra felicità non può dipendere dal giudizio degli altri.
Per la tua povera schiena, io dopo tanti tentennamenti spero di risolvere da domani, mi sono deciso ad ordinare una standing desk, quella che alzi e abbassi elettricamente all’abbisogna, cosi da passare da una posizione all’altra (da seduto sulla fitness ball, poi in piedi e poi in piedi sulla pedana d’equilibrio e poi il ciclo si ripete). Stare troppo seduti ti uccide quasi quanto il sole estivo nei campi.
Questa versione di Money for nothing non la conoscevo, dal vivo, comunque, è sempre dannatamente migliore rispetto alla versione studio.
9 agosto 2018 alle 12:33 PM
Non so se mi sono rassegnato.
Per me vivere di scrittura è un ripiego, in effetti.
Io dovrei vivere di ricerca e di insegnamento.
Altri lavori che non si fanno con le mani, e che non servono a nulla “infatti sei disoccupato”.
Non se ne esce.
9 agosto 2018 alle 12:44 PM
Davvero? Credevo fosse una scelta. Beh, pensala cosi, se Zalone avesse vinto il concorso come desiderava suo padre poi non avrebbe incassato milioni con i suoi film (indipendentemente se ti piace Zalone o meno).
9 agosto 2018 alle 12:50 PM
È una scelta, ma diciamo che è una scelta obbligata. Ho trasformato un hobby in un lavoro.
Poteva toccare al riparare biciclette o al gioco del Go o al suonare il flauto…
Forse se mi fossi messo a riparare biciclette non mi verrebbero ora a dire che non lavoro con le mani 😛
9 agosto 2018 alle 12:56 PM
Io ti scrivo dal Sud Italia, da un cesso di paese. Io scolpisco modellini, al massimo quando descrivo il mio lavoro c’è la risposta garbata “e c’è gente che li compra?”, ma mai nessuno si è permesso di dirmi di cercarmi un lavoro vero (a parte mio padre e mia madre, si intende). Possibile che nel nord Italia ci sia gente più indietro e più interessata ai fatti altrui del meridione? Volete toglierci anche questo primato?
9 agosto 2018 alle 1:03 PM
Mi spiace dirtelo in questo modo, ma il Monferrato e la Valle Belbo in particolare spazzano via non solo il Sud Italia, ma anche un sacco di posti dove il PIL lo calcolano ancora in teschi di capre.
È la buona vecchia cultura contadina, che qui è radicata più che nel 1300.
9 agosto 2018 alle 1:20 PM
Spero proprio che tu non voglia rassegnarti!
Parlavamo del fatto che leggere le proprie cose in pubblico è una cosa orribile,per uno scrittore,
è molto meglio che lo facciano attori professionisti.
Ecco,la parola è professionisti:ichi ti umilia dandoti del lavativo non ha i mezzi culturali
per capire che fatica ci vuole per far ridere la gente con una battuta ben recitata,
che razza di lavoro ci vuole per mettere sulla carta un paragrafo che scivola via senza
intoppi.(per dare risposte coerenti agli esercizi che mi proponevi nei workshop
ho sudato sette camice,altro che musa ispiratrice!)
Manca una cultura del rispetto per il lavoro creativo ,per i lavori che il comune zappatore di terra non riesce a inquadrare.
Purtroppo uscire da un mondo che paga in visibilità è ancora più difficile per un creativo,
e forse l’unico modo per rimanere calmi è non curarsi di loro,lavorare e vivere per chi ti apprezza.
Io mi sono divertito, ho conosciuto due persone splendide,ho apprezzato moltissimo
la vostra fatica,ho passato una giornata molto bella.
Spero che iniziative come questa si ripetano in futuro.
ciao.
9 agosto 2018 alle 1:32 PM
Stiamo discutendo per rifarlo.
Nei nostri sogni più selvaggi, io e Fabrizio siamo in tourné per l’Italia, con le nostre macchine per scrivere, come una vecchia compagnia di scavalcamontagne dei tempi del varietà.
Ma scherzi a parte, lo rifaremo.
Anche solo per dimostrare che riusciamo a farlo 😛
9 agosto 2018 alle 1:36 PM
La cosa veramente, profondamente, triste è che spesso certe critiche e certe frasi fatte sul “lavoro vero” arrivano da analfabeti funzionali. Che altrettanto spesso un lavoro ce l’hanno per motivi non esattamente legati al merito o alle capacità.
9 agosto 2018 alle 3:32 PM
Quello è lo standard della “normalità”.
9 agosto 2018 alle 1:51 PM
Secondo me sarebbe una cosa interessante da fare in fiera. metti un palchetto all’interno di una fiera del libro e vedrai che ci sarà un mucchio di gente interessata. Così si attira solo il pubblico degli immediati dintorni, che giocoforza è limitato.
9 agosto 2018 alle 3:33 PM
In efetti sarebbe bello se riuscissimo a rifarlo per Libri in Nizza, dove tuttavoia c’è il rischio che non sia una cosa abbastanza di classe.
Però chissà, mettendo due bottiglie di barbera sul tavolo…
9 agosto 2018 alle 2:39 PM
La schiena era bella incriccata e ti dirò che anche le dita, disabituate alla pressione dei tasti della macchina erano un po’ provate. Scrivere Non è la mia fonte di reddito ma lo considero un lavoro parallelo e quel migliaio di euro annui che strappo in royalties li sento più sudati del mio stipendio principale
9 agosto 2018 alle 3:34 PM
Sì, dita malandate, quelle anche.
Però è stata una bella soddisfazione, e dobbiamo rifarlo assolutamente.
10 agosto 2018 alle 7:46 AM
Assolutamente, sì
10 agosto 2018 alle 1:13 PM
Mi è spiaciuto non esserci stato, ma mi trovavo dalla parte opposta del Monferrato e non avrei mai fatto in tempo.
Però se volete replicare, la Trebisonda a Torino organizza spesso eventi letterari, e un’idea come questa attirerebbe di sicuro parecchie persone.
10 agosto 2018 alle 1:27 PM
Lo terremo presente.
Credo di parlare anche a nome di Fabrizio se dico che noi siamo disponibili. Poi bisogna vedere cosa ne dicono i nostri editori, e ovviamente chi gestisce il posto.
ma perché no? L’idea di una tournè si fa sempre più probabile 😀
18 agosto 2018 alle 4:42 PM
Davide, quello che scrivi in questo post mi torna moltissimo. L’ho pensato io stesso per anni, me lo sono ripetuto allo sfinimento, riuscendo ad ammutolire l’aspirante scrittore che c’era in me. In un certo senso me lo dico ancora, ma in misura più contenuta. Campo come ghost writer da tre anni ormai, ho scritto una dozzina di libri, suppergiù, e sempre facendomi pagare, il che, perdona il materialismo, è per adesso il più significativo marchio di garanzia che mi auto-aggiudico. Mi dico perfino, che essere un ghost è oggi la cosa più vicina alla figura dell’autore di pulp stories: di fretta, nell’anonimato, e per pagarci le bollette. Sì, scrivere è un lavoro. e scrivere narrativa un lavoro bellissimo. Comunque sempre lavoro. Poche balle. Ti mando un saluto, bello quello che scrivi e come lo scrivi.
18 agosto 2018 alle 7:21 PM
Grazie, e bentrovato.
Io ormai sono il fantasma di me stesso – nel senso che scrivo a mio nome fingendomi un altro, e scrivo a nome d’altri fingendo di essere io.
Che vita complicata.