strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Hai detto crisi?

19 commenti

Alessandro Girola, che sta qui nella cella accanto nel Blocco C della blogsfera, ha fatto un post parlando della crisi del fantastico in Italia – e concentrandosi sostanzialmente sul mercato dei libri. Perché è quello che facciamo noi qui ai lavori forzati nel Blocco C: scriviamo libri.

La tesi di Alex si concentra sul fattore delle vendite e individua quattro cause principali

  • la contrazione della lettura come attività ingenerale – leggere non è (più?) un passatempo diffuso e popolare
  • il crescente disinteresse degli appassionati del fantastico per la narrativa scritta, preferendo altri media
  • la mancanza di una critica seria e accessibile che contribuisca a formare il gusto del pubblico
  • la povertà qualitativa dell’offerta

E io non posso che concordare punto su punto.
Non posso però evitare, anche, di segnalare un altro fattore che non so se sia causa o sintomo della situazione generale, ma è certamente un dato reale, e significativo – ed è la narrazione diffusa.
Ed è questo il tema di questo post o, come dicevano i Supertramp…

Crisi? Che Crisi?

Sta andando tutto bene. La crisi non esiste. Soprattutto per me. No, OK, davvero, gli altri si lamentano, ma sapete come sono. Gente che sa solo lamentarsi. Io vendo a carrettate. Anche il mio editore vende a carrettate. La situazione non è mai stata facile, lo sappiamo, ma ora come ora le cose vanno davvero bene, se sapete dove guardare. E poi non crediate che all’estero sia meglio, eh.

L’importante è crederci e godere delle piccole cose.

Si tratta di marketing.
Mai mai mai dire che le cose vanno male.
Se volete avere successo dovete trasmettere una immagine di successo.

Ma noi qui su strategie non facciamo propaganda – noi guardiamo ai fatti. E per valutare lo stato di salute di un mercato come quello del fantastico dobbiamo prima di tutto chiarirci quali parametri stiamo considerando.

Cosa intendiamo utilizzare come metro per misurare lo stato di salute del mercato editoriale (perrché è di quello che Alex parla) del fantastico?
Abbiamo alcune opzioni:

  • il numero di titoli pubblicati
  • il numero di copie vendute
  • il fatturato degli editori
  • il numero di recensioni pubblicate
  • il numero di partecipanti alle fiere ed agli eventi del settore

Ciascuno di questi “funziona”, ma anche no.
Esiste un legame diretto fra numero di titoli pubblicati in un certo genere e la salute di quel genere? Forse. A buon senso uno sarebbe portato a pensare che se le storie sulle Giubbe Rosse (per dire un popolare genere a caso) non vendono, nessuno andrebbe a pubblicare altri titoli sulle avventure della polizia a cavallo canadese.
Ma potrebbe funzionare inmaniera diversa – un editore potrebbe produrre un eccesso di titoli in modo da capitalizzare sui pochissimi lettori fidelizzati che comprano ogni nuovo volume. Se noon posso vendere diecimila copie di un romanzo a diecimila persone, posso per lo meno vendere cento copie di cento romanzi a cento persone.
Conviene?
Beh, se i cento romanzi a me come editore non costano nulla…

E questo copre anche la questione dei fatturati – che l’editore fatturi di più perché essenzialmente butta fuori pattume col forcone, che a lui non è costato nulla, e che un piccolo gruppo di lettori fidelizzati compra a scatola chiusa e poi magari non legge, non è comunque un segno della salute del nostro mercato di riferimento.

Ma abbiamo già parlato della piaga degli autori che lavorano gratis per gli editori.

Il numero di copie vendute è allora un parametro più interessante e più efficiente nel descrivere il mercato – ma dobbiamo considerare le copie totali, e poi suddividerle per titolo. E quelli non sono dati che sia facile reperire – Amazon notoriamente è restia a scucire certe informazioni, gli editori giocano con le carte coperte (perché, come si diceva, ci si deve sempre mostrare come vincenti per poter sperare di vincere), e i servizi che forniscono dati sulle vendite di solito ignorano intere categorie (gli ebook, gli autopubblicati privi di ISBN, ecc.)

Ha senso conteggiare le recensioni?
Le recensioni rappresentano un dato estremamente difficile da maneggiare, perché da una parte dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) segnalare copie effettivamente lette, e altrettanto condizionalmente, dovrebbero essere in proporzione alle copie vendute – più un libro vende, più gente lo legge, più la gente lo recensisce.
È però anche vero che a recensire un libro è una percentuale molto ridotta dei lettori, mentre per contro è molto facile (ora un po’ meno che in passato, ma facile) cmprarsi delle recensioni farlocche a un tanto al chilo.
Perciò, le recensioni sarebbero un bel parametro per averetutta una serie di informazioni sull’ecologia, per così dire, del mercato librario, ma purtroppo il dato ddisponibile è tropo inaffidabile.

QUESTO Necronomicon

Ah, già – ora viviamo nel regno della meta-analisi, per cui sarebbe possibile fare uno studio sulla base di quanto frequentemente il titolo del nostro libro compaia nelle ricerche su Google o nelle discussioni su Facebook. Che sarebbe meraviglioso, ma ricordiamoci che se il fatto che la gente ne parli significasse davvero che il libro vende, allora il Necronomicon sarebbe in testa a tutte le classifiche.

E i partecipanti alle fiere, ai forum, agli eventi? Si tratta di un numero utile?
Considerando l’andamento del mercato editoriale in Italia con i numeri di un evento come il Salone del Libro di Torino, si sarebbe portati a pensare che esista una correlazione inversa fra i due fenomeni: più gente va al Salonedi Torino, meno libri si vendono.
Ci sarebbero le basi statistiche per chiedere l’abolizione della fiera di Lucca, al fine di migliorare le condizioni del fantastico in Italia.

Ma, e qui smettiamo di scherzare, ricordiamoci che Lucca non è una fiera di libri, ma interessa mercati che coi libri non hanno nulla a che fare – giochi e fumetti. Non necessariamente chi gioca a giochi di genere legge quello stesso genere.
È un dato di fatto, e il discorso “il fantastico sta bene perché a Lucca si sta come sardine” è semplicistico, e fondamentalmente errato. Quale aspetto del fantastico? In salute in che senso? Commerciale, qualitativo…?

Ma si era detto di parlare di narrazione.
E il punto è proprio questo, quando qualcuno ci dice che la crisi non esiste, cerchiamo di definire sulla base di quali parametri sta misurando il fenomeno.
E cerchiamo di essere molto molto cauti quando ciò che ci viene rifilato suona come

ho appena mangiato un toast, quindi la fame nel mondo è stata debellata

Ricordiamoci che i manuali ci insegnano a dare sempre una immagine meravigliosa di ciò che sta accadendo. Serve a dare una immagine vincente, e alla gente piacciono i vincenti.
Così come ai prigionieri del Blocco C piace sentirsi dire che la sbobba che ci servono due volte al giorno attraverso la feritoia nella porta della nostra cella è preparata da un cuoco francese, solo ed esclusivamente per noi.

La crisi non esiste.
Non è mai andato meglio.
E ora che abbiamo speronato un iceberg, qui sul Titanic non avremo più problemi per il ghiaccio nei nostri drink.
Che potremo gustare rilassandoci sul ponte promenade, con l’acqua comodamente alla caviglia.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

19 thoughts on “Hai detto crisi?

  1. Crisi? Come è noto, “abbiamo vinto”. Il che chiude qualsiasi questione, secondo qualcuno. Poi se il fatturato di Urania del 2018 è un’ombra di quello del 2008, pazienza. Se ci sono editori che esistono solo in teoria, giusto per raccattare contributi pubblici, pazienza.
    La cosa peggiore, la più tragica, è che molti adulti non leggono.
    Dopo viene il fatto che convincere i giovani a leggere, con la lodevole eccezione di Topolino, è problematico. Persino i libri di R.L Stine (Piccoli brividi, hai presente?) possono non avere abbastanza appeal per gli 11-12enni.

    • È un problema culturale, quello della lettura, che vedo molto difficile da risolvere.

      • Mi sembra anche a me il vero grande problema da molti anni a questa parte, che è in parte indicato anche da uno dei primi punti del post: il disinteresse per le forme di fruizione del fantastico (ma a questo punto direi non solo del fantastico) letterare in favore di altri medium (film, fumetti, serie tv, videogiochi, youtube video etc.) spesso più rapide e immediate per una società che, mi sembra, abbia ormai la soglia di attenzione media di una GIF.
        Come riuscire a spiegare che il dono più prezioso è il tempo (per leggere, per apprezzare con calma UNA SOLA COSA e non 100 tutte assieme, anche solo per il gusto di perderlo) mi sembra la cosa più difficile di tutte

        • Sì, è un grosso problema, perché non c’è modo di spiegarlo – bisogna che le persone ci provino, e non ne hhanno voglia (e spesso, quando ci provano, finiscono a leggere, non per colpa loro, delle porcherie immonde, e fuggono urlando)

          • Ci provino a capire che per leggere non è necessario dedicarsi tante ore al giorno ma farlo? che è importante? che fa scoprire nuovi mondi, nuovi modi di pensare, nuove idee? che è la base della cultura? tempo sprecato. Del resto se si instaura, come capita spesso ormai, l’idea che chi legge è un privilegiato, un’elite, che i libri sono un lusso, che “heh beato te che hai il tempo di leggere io sono troppo incasinato sai c’ho sempre da fare non ho mai tempo”….allora capisci che tutto è perduto.

  2. Insegno da qualche mese in una scuola media (internazionale) e ho fatto della lettura la mia crociata personale, cosa non sempre condivisa dai miei colleghi. Una cosa interessante, qualche mese fa chiesi alla mia classe se secondo loro Harry Potter poteva essere considerata letteratura. Risposta: no perchè c’è la magia. Alla mia obiezione che la magia c’è pure nell’Iliade, pronti rispondono che i Greci però ci credevano. Oggi se pensi che gli incantesimi di HP sono reali, sei matto. La netta impressione che ho avuto è che questo discorso sul fantastico lo facevano per compiacermi, visto che distinguere “è letteratura” “non è letteratura” non è chiaramente tra le loro priorità. Altra cosa: sono quasi tutti avidi lettori di fantastico.

    • I non dubito che i ragazzi lkeggano fantastico – mi pare che nel suo post anche Alex segnali come il settore YA sia abbastanza vivo. Il problema è che arrivati a una certa età se ne allontanano, o perché “non è figo”, o perché a scuola gli hanno detto che gli adulti non leggono certe cose o gli hanno fatto odiare i libri in toto, o perché in effetti non trovano nulla che li coinvolga come ciò che leggevano da ragazzi.

      • Sono d’accordo sui ragazzi, in effetti stiamo dicendo la stessa cosa. Se loro stessi si ‘censurano’ a dodici anni, figuriamoci dopo.
        La cosa è particolarmente grave perché il Crociano divario “è letteratura” e “NON è letteratura” è un discrimine fortissimo, soprattutto per chi legge per status (la lettura viene sempre data come valore positivo ma non siamo così ingenui da non esserci accorti che si legge anche per motivi sbagliati, se non pessimi). Poi c’è il problema dell’offerta, che fai notare tu: per esempio, nel concreto, il problema è che dopo Percy Jackson (che secondo me è spazzatura) non c’è quasi altro.

  3. Infine, visto che in privato sono profondamente pessimista per natura, reagisco con ottimismo al pessimismo degli altri. Quindi, tutto quello che scrivete è vero ma:
    – essere autori di un libro in stampa da ‘autoritas’, e questo effetto status del libro non è cambiato, anzi, forse si è persino amplificato
    – scrivere rimane il modo più economico per creare mondi; non è detto che chi scriva romanzi non possa scrivere anche fumetti o film; anzi, più è pura la scrittura più è potenzialmente versatile
    – il fantastico è diventato mainstream: questa E’ una cosa positiva anche per le nicchie più esoteriche di lettori, non per ultimo perchè in futuro l’orizzonte di genere/ e del mainstream probabilmente si fonderanno: pensato a cosa ha fatto Cervantes con gli stupidi romanzi cavallereschi che ha letto in gioventù. Non è improbabile pensare che, ora che il genere è ormai maturo e non accenna a far perdere interesse, avvenga qualcosa di simile a quello che è avvenuto con il noir/giallo, un riposizionamento ‘in alto’. Non subito, ma tra 20 anni circa.

    Tutto quello che ho scritto è ovviamente opinabile/contrastabile, è solo quello che penso.

    • Così, senza intento polemico ma solo perché anch’io sono ottimista ma in maniera diversa… 😉

      . l’autoritas data dalla pubblicazione è più ambita del voler essere letti o del voler essere pagati – e se l’editore non ti paga, allora accetta anche spazzatura, tanto è gratis, è tutto profitto. Il fatto che il pubblico sia stato abituato a leggere carta straccia scritta da inetti che volevano poter mettere “scrittore” dopo il nome su Facebook e pubblicata a costo zero da editori rapaci è uno dei motivi per cui il pubblico abbandona il genere.
      . “potresti scrivere altro” è meraviglioso, ma è nella stessa categoria di “trovati un lavoro vero” – e se il mio lavoro fosse scrivere storie? Non fumetti, sceneggiature o menù di trattoria?
      . Su questa storia del “che bello siamo diventati mainstream!” dovrò farci un post, prima o poi, con tutti i rischi del caso, perché criticare razionalmente le religioni ci espone sempre a degli attacchi personali 😀

  4. Sono stato impreciso, le mie posizioni personali non sono poi tanto diverse dalle tue.
    Quando parlavo di pubblicare un libro stavo infatti (inconsciamente?) escludendo l’auto-pubblicazione. Di fatto mi sono accorto che pensavo persino ad editori medio-alti, quelli che appunto una scrematura la praticano. Sul Mainstream, anche lì sfondi una porta aperta, sulla parte negativa, Personalmente quando leggo o sento che The Avengers sarebbero ‘un fantasy’ mi viene l’orticaria a macchie. Idem quando un pischello di 20 anni mi viene a spiegare -a me!- che cos’è un gioco di ruolo e perché è una figata. Stavo soltanto cercando di fare vedere i lati positivi, che non rimuovono quelli negativi, affatto, ma non per questo sono meno importanti. Un commento a un post non è il luogo adatto per sviscerarne tutte le implicazioni, ma il fatto che anche la cultura ‘alta’ cominci ad avere un linguaggio comune con l’appassionato non è una cosa negativa, a mio parere. Certo quello che descrivevo, la fusione di romanzo mainstream letterario e romanzo di genere, non è il presente, è solo uno dei futuri possibili. Avendo un occhio attento al mercato anglosassone, e contando che qui arriva tutto sebbene in ritardo, mi sembra inevitabile che accada anche da noi.

    La cosa della multimedialità… mi sono espresso male. Io ho scritto sceneggiature nella mia vita, ma non c’è dubbio che quello che voglio fare è usare la parola per la parola. Quindi sì, anche io. Però visto che lamentavi il fatto che gli appassionati non leggono, ma ‘vedono’, tra le cose negative mi sono anche accorto che la parola scritta è quella che si propaga con più facilità negli altri mezzi. Non che debba farlo tu, ma qualcuno potrebbe farlo sul tuo lavoro, per esempio. Ergo, la parola è solo apparentemente la più debole: è la più duttile.

  5. Questa politica del “va tutto bene” è in realtà molto comune in Italia, anche in ambito fumettistico e cinematografico si tende a voler negare la realtà della crisi per potersi dare un tono e risultare credibili agli occhi del pubblico. Dubito però che questo tipo di atteggiamento negazionista porterà dei buoni risultati nel lungo periodo, anzi. Per quanto riguarda il Fantasy letterario in Italia, io sono dell’idea che sia una battaglia persa in partenza. Gli italiani non sono mai stati un popolo di lettori e tra i pochi che leggono c’è sempre stata una predilezione per le storie realistiche, piuttosto che per quelle fantastiche. La nostra è una letteratura latina e mediterranea, tradizionalmente parlando siamo più vicini ai Sud Americani (pensate solo al Reealismo Magico) e ai popoli del Nord Africa, che non agli anglosassoni o agli scandinavi. Insomma, forse dovremmo semplicemente smettere di cercare nella letteratura italiana qualcosa che non c’è e probabilmente non ci sarà mai. La maggior parte del popolo italiano non è attirato dal fantastico, al di fuori del mero escapismo che può offrire un film, un cartone o un videogioco, e anche se a noi appassionati può dispiacere non c’è assolutamente nulla di male in questo.

    • Mah, in realtà tutti si stanno buttando sul fantasy, a quanto pare.
      Con esiti orribili.
      M nel caso ci farò un post a parte.

      • Ci si buttano gli aspiranti scrittori, ma la domanda semplicemente non c’è. In Italia l’età media è di 54 anni, non proprio un target favorevole ad un genere così estraneo alla nostra tradizione letteraria, mentre i giovani leggono pochissimo (avendo altri mezzi a disposizione) e quando lo fanno preferiscono giustamente investire i propri soldi nei libri di autori stranieri. Tolkien, Howard, Lovecraft, JK Rowling, Ursula Le Guin, Stephen King, Terry Pratchett, GRR Martin, Neil Gaiman, Terry Brooks, Michael Moorcock, Robert Jordan ecc, un lettore medio ha di che leggere per una vita intera solo con gli autori sopra citati, perché mai dovrebbe perdere tempo con i tentativi degli autori nostrani? Tentativi che, tra l’altro, si traducono il più delle volte in pallide imitazioni (quando va bene almeno ben scritte) delle storie nordiche? Il “Fantasy” italiano è quello di Calvino, Buzzati e Landolfi, che può piacere o meno ma tant’è.
        L’epica gli italiani la ricercano nei romanzi storici, per questo in Italia un autore come Valerio Massimo Manfredi avrà sempre e comunque più successo di chi scrive di draghi, elfi, nani e folletti.

        • Io faccio notare che chi legge abitualmente fantasy si orienta verso gli autori che citi (e tanti altri, ovviamente), perché sono una garanzia di qualità. Che è ciò che manca alla nostra produzione: la qualità.

          • Quello che dici è vero, ma ci sarà anche un motivo se da noi manca la qualità. Ad esempio, hai mai notato la differenza di preparazione culturale tra chi si occupa di Fantasy in Inghilterra e chi lo fa in Italia? Qui da noi non vedremo mai un Manfredi, un Barbero, un Canfora o un Giovanni Brizzi scrivere Epic Fantasy, pur avendone le capacità e una conoscenza sterminata sia dei diversi ambiti storici, che dei miti, delle leggende e delle credenze che li hanno contraddistinti, non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello di scrivere un Fantasy e gli editori non glielo propongono. Per quanto riguarda il genere Sci Fi vale lo stesso discorso, come mai Margherita Hack, Piergiorgio Odifreddi, Carlo Rubbia, Giacomo Rizzolatti ecc non hanno mai preso in considerazione di scrvere romanzi di fantascienza? E soprattutto, come mai nessun editore gli ha mai proposto una cosa del genere? Perché sanno che non ci sarebbe interesse da parte del pubblico. Però, ripeto, non è poi così grave, nella maggior parte dei paesi in giro per il mondo non esiste una tradizione letteraria votata al Fantastico avventuroso e alla Fantascienza. Mi ricordo che ai tempi del liceo parlavo con un mio amico Indo-Italiano, che pur essendo nato e cresciuto in Italia ha avuto l’occasione di visitare e conoscere il suo paese di origine, compresa la lingua, e discutevamo del successo dei film del Signore degli Anelli, al che io gli dissi “Certo che voi altri in India con tutto quel materiale mitico religioso che avete ne potreste scrivere a carrettate di romanzi Fantasy” e lui mi rispose “Hai ragione, ma a chi importerebbe? Neanche agli Indiani interesserebbe leggere una cosa del genere, non è parte della nostra cultura”. Solo qui in Italia c’è questa smania di voler vedere nascere e crescere una corrente nostrana del Fantasy o della Sci Fi, altrove il problema neanche se lo pongono, ci sono gli autori anglosassoni e quelli bastano.

            • Io credo sia un processo di feedback innescato da una impostazione culturale che risale per lo meno all’800 – nessuno scrittore serio scriverebbe fantastico quindi nessun romanzo fantastico è scritto da scrittori seri quindi nessuno scrittore serio scriverebbe fantastico…
              È certamente un problema di natura culturale.

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