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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Novanta giorni

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In questo momento, mentre sto scrivendo questo post, il cliente (che non verrà nominato) del mio ultimo lavoro come ghost-writer sta spedendo il manoscritto all’editore (che non verrà nominato) col quale ha intenzione di pubblicare.

Dalle linee guida pubblicate sul sito dell’editore si legge, scritta bella in grande, una clausola che fa più o meno così…

mandateci il vostro lavoro – se ci dovesse interessare vi risponderemo entro 90 giorni; se non ci sentite dopo 90 giorni, significa che non ci interessa

Il che, io credo, dice qualcosa di molto interessante su una certa parte della nostra piccola editoria.
Ma prima, una storia, che mi raccontò un amico molti anni or sono…

C’è questa ragazza che mi piace. È fantastica, è simpatica, intelligente, spiritosa…
Devo mettere assieme un bel po’ di coraggio per invitarla a uscire. Una cosa informale, cena e quattro chiacchiere.
E lei mi dice, “Perché no?”
È fatta!
“Diciamo domani sera,” dico, cercando di fare in modo che la voce non mi muoia in gola, “passo a prenderti attorno alle sette?”
E lei mi risponde, “No, guarda… facciamo così: tu fatti trovare davanti al ristorante per le otto e mezza. Se una di queste sere mi vedi arrivare è perché mi interessa cenare con te. Se dopo sei settimane non mi sono fatta vedere, vuol dire che non c’è storia.”

E lo so, come modo di scaricare un importuno è certamente meraviglioso, ma ammettiamolo, non è proprio un modo cortese di comportarsi.

E naturalmente, pour les dames

C’è questo tipo che ti dice, “Ti andrebbe di uscire, magari un cinema, un sushi?”
E tu rispondi, “Perché no?”
“OK, allora tu fatti trovare pronta per le sette. Se una di queste sere ti suono alla porta, vuol dire che usciamo.”

Stessa storia. Sono possibili ovviamente varie altre permutazioni per accomodare ogni tendenza sessuale, e programma per la serata, che riusciate ad immaginare.
Oppure…

Vai da un editore e gli dici “Ecco, io ho scritto questo. Ti andrebbe di pubblicarlo?”

Sapete come va a finire.

Ricevere un rifiuto per una storia che si è scritta è normale – io ieri ne ho ricevuti quattro.
E non è stata la notizia peggiore della giornata.
Ma certamente scoccia, e tuttavia…

  • questi rifiuti mi sono arrivati entro una settimana da quando avevo spedito le storie – ed ora le posso rispedire altrove, e provare a venderle ad altri; come diceva Bob Heinlein, le storie devono restare in circolazione finché non vendono. Prima mi dicono di no, prima posso mandare la storia ad un’altra rivista.
  • con ciascun rifiuto ho anche ricevuto una breve nota (uno/due paragrafi) in cui mi si spiegava perché la mia storia è stata rifiutata – ora so cos’è che non va, e volendo posso riprendere i racconti e “sistemarli”; ho anche un’idea di quali siano i criteri di valutazione di quel particolare editor (sì, ho un file con le loro schede), e questo mi renderà più facile vendergli una storia in futuro.

E qui, davvero, il mio problema non sono neanche tanto i 90 giorni di attesa, ma il silenzio – allo scadere dei 90 giorni, non avendo ricevuto nessun segnale dall’editore, io non ho idea del perché il mio testo sia stato rifiutato.

  • È così brutto da essere orribile?
  • L’idea è buona ma l’esecuzione non convince?
  • È scritto benissimo ma hanno già tre altre storie uguali in coda di pubblicazione?
  • C’è un personaggio che si chiama Giovanni nel primo capitolo, Giacomo nel quarto e Ferdinando nel settimo?
  • “Ci dispiace, noi pubbliciamo solo manualistica e libri di cucina”?

E sì, certo, loro ricevono migliaia di manoscritti, se dovessero mandare due righe a tutti per dirgli “Bello, ma non fa per noi, perché…”
… cosa?
Quello dovrebbe essere parte del lavoro dei lettori e degli editor, in una casa editrice: dire all’autore perché no, e dirglielo il prima possibile.

E questo credo possa avere a che fare con il fatto che la maggior parte di coloro che mandano i propri manoscritti a queste case editrici attraverso la cosiddeta slush pile, sono persone che possono permettersi di aspettare.
La vendita di quella storia non è per loro essenziale per pagare la bolletta della luce, o la rata del mutuo.
È un hobby, uno sfizio.
Non c’è nulla di male in questo, naturalmente.
Ma vengono trattati con pochissimo rispetto, per questo motivo.

Novanta giorni, tredici settimane, a controllare la mail, e la cartella della spam, aspetando.
Anche gli hobbisti hanno un grande investimento emotivo sul lavoro che presentano per la pubblicazione – magari non gli pagherà una rata, ma per loro è importante. Ci credono tantissimo, si fanno i loro film mentali. Ci soffrono, ad aspettare.
Ed alla scadenza della tredicesima settimana… cosa?
Si cerca un altro editore, e si ricomincia da capo?
Che tortura spaventosa.

Oh, e badate, alcuni la meritano, questa tortura – per ciò che scrivono, e per come lo scrivono.
Ma torturare chi lo merita non dovrebbe far parte dei compiti di un editore.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

26 thoughts on “Novanta giorni

  1. Questo discorso, secondo me, discrimina un bravo professionista da un cattivo professionista. E un cattivo professionista non fa che produrre altri cattivi professionisti…

  2. La cosa che mi irrita e spaventa di più è quel “se non sentirete di noi vuol dire che non ci interessa”. Il rischio è che nemmeno leggeranno il materiale, tanto hanno già detto che se non rispondono è perché non interessa, per cui declinano in anticipi la responsabilità.
    Sono del tutto d’accordo con te quando scrivi che rispondere è un dovere che fa parte del loro lavoro. Basta anche avere una risposta preconfezionata come “Ci dispiace, ma il testo inviato non rientra nei nostri standard di pubblicazione”, o qualcosa del genere, da copiare e incollare in una mail.
    Fa male il rifiuti, certo, ma almeno, come dici tu, si può andare oltre.

    Comunque, in Italia la pessima abitudine di non rispondere alle mail è molto diffusa, soprattutto nelle aziende.

    • Sì, che sia una pratica diffusa è indiscutibile.
      Quando ho spiegato al mio cliente che questo comportamento da parte dell’editore non è bello per chi scrive, la sua risposta è stata “beh, ma è normale, no? ‘Le faremo sapere.’ Lo facciamo tutti.”
      Ecco…

      • L’ultima volta che l’ho pensata così, la Fanucci mi ha pagato una traduzione (da pagare a 120 giorni dalla consegna, che già è criminale) con 75 giorni di ritardo e solo perché ho messo di mezzo l’avvocato.

        Quando accettiamo che un comportamento irrispettoso diventa la normalità, è meglio che smettiamo di credere nel nostro lavoro (che sia scrivere, tradurre, scartavetrare mobili o qualsiasi altra cosa).

  3. C’è sempre la possibilità – che a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si ha ragione – che in novanta giorni un manoscritto passa tra le mani dei tre o quattro scrittori di punta dell’editore, anche solo per “avere un parere in merito”.
    O, citando Julia Roberts in Pretty Woman, “smontare macchine per rivenderne i pezzi”.
    Ovviamente sono in malafede, é notizia certa che il mondo delle arti applicate aborrisce il plagio.

    • Se sono ridotti a questo, allora sono davvero conciati male.
      Io credo che sia semplicemente perché un’alta percentuale di manoscritti viene cestinata in tempo zero, sulla base della mail di accompagnamento, o delle prime tre pagine – e se ti rispondessero “non ci interessa” 24 ore dopo che hai mandato il manoscritto, tu potresti accusarli di non aver letto tutto il manoscritto (questa gente, nello specifico, vuole tutto il manoscritto).
      E comunque è plagio se copi da uno solo – se copi da tanti è ricerca.

  4. Hai perfettamente ragione… e quelli che si comportano così meriterebbero di essere segnalati per la scarsa professionalità… purtroppo, la frase “si fa così” o “fanno tutti così”, oltre ad essere non vera, copre una marea di magagne, in tutti i campi…. coraggio, Davide. Quelli che sembrano mulini a vento in realtà sono draghi e giganti, ma non tutti li riconoscono… Ciao!

  5. Davide, io a quei rifiuti kafkiani (90 giorni, e poi, il nulla. L’opera sarà finita in un altro universo?) sono abituata. E devo rovesciare la tua argomentazione. Le persone che mandano le proprie opere in lettura a un editore sono “costrette” a “permettersi” di aspettare, perché tanto, anche a domandare cosa ne è stato, si ottengono risposte rabbiose. Io, infatti, davanti a frasi come: “Si prega di non sollecitare, tanto è inutile”, mi sono comportata di conseguenza. Per questo, in Italia, di letteratura non si campa (e non è che con il resto del lavoro che c’è sia così facile accendere mutui a meno di non contare sulla pensione dei genitori. E’ già tanto pagare le bollette e simili). Giudicare opere dovrebbe essere il loro lavoro? Non ne hanno troppa voglia loro per primi (molti editori fanno anche gli scrittori, gli insegnanti, i bibliotecari, gli impiegati, e per loro gestire una casa editrice è un quarto lavoro. Questa è la piccola media editoria. Quanto alla Grande Editoria, il grosso delle opere arriva dall’estero, dove è già stato “testato”. Dunque, per gli autori nostrani l’attenzione scarseggia. Certo, negli ultimi tempi si è aperta qualche piccola crepa nel muro, ma è dura per i motivi sopracitati. E comunque, anche i cattivi autori devono sapere di esserlo, ma tu dillo a un “quarto lavorista” o a uno che vive delle rendite della “Holding King & C”.

  6. Mi permetto un commento da ex editore.

    Io ho messo in piedi e case editri nel corso degli anni. Una è ancora in vita persino. ^__^

    Ci sono due situazioni che portano a questo genere di scelte (e non sto dicendo che sono giuste sia chiaro)

    Ho avuto una casa editrice digitale specializzata in racconti erotici. Oltre il 15% delle proposte che ricevevo erano di altro genere o per romanzi. Ho ricevuto in visione un romanzo sulla vita di una santa. A queste persone cosa rispondi? Non puoi rispondere, saresti volgare.
    Solo che per esaminare queste proposte devi perdere tempo e non puoi permettertelo.

    Ho avuto in gestione l’uffico di valutazione di una casa editrice all’inizio degli anni 2000.
    Per esigenze interne (che tradotto significa che un manager aveva deciso così senza nessun motivo sensato) avevamo due finestre di invio dei manoscritti.
    Ogni singolo giorno arrivavano manoscritti da valutare, ogni giorno dell’anno. A uno che si comporta così cosa devi rispondere? Niente altrimenti diventi volgare.

    Ma, come molti mi fanno notare, tu dovresti distinguere questi idioti dai veri professionisti, da quelli che ti mandano un manoscritto che vale la pena di pubblicare.
    E la mia domanda è sempre la stessa: Come faccio a saperlo a priori?
    Per poter dividere il grano dalla pula dovrei avere il tempo e i mezzi per esaminare ogni singolo manoscritto e poi, dopo, distinguerlo.
    Non si può fare.
    Semplicemente non si può fare.

    E quindi nascono i sistemi, tutti scorretti, per distinguere rapidamente e/o per ridurre i problemi.

    Io lavoro nell’editoria da più di 30 anni e ancora non ho trovato una soluzione a questo problema.

    In realtà sì, la vera soluzione è il self. Ma è un altro discorso. ^__^

    E in tutto questo ripeto, non considero corretto non rispondre, non dire nulla, lasciare gli autori in sospeso, non è corretto e non è giusto ma non conosco nessuna alternativa.

    • Grazie per queste testimonianze “dall’altra parte della barricata”.
      Il sistema delle finestre di invio è probabilmente il più semplice – se spedisci fuori dal periodo consentito, la storia viene cestinata in automatico – puoi addirittura fare un filtro in Gmail.
      A me è capitato che una mia storia sia stata cestinata per sei ore – e così ho imparato a tener conto del fuso orario 😀
      E poi ci sono i parametri di formattazione – si chiede la storia in formato standard, se scartano, si cestina.
      Nella mia esperienza (anch’io valutavo manoscritti in gioventù) gli scalzacani li becchi alla prima pagina perché loro sono troppo fighi per seguire le tue stupide linee guida.
      E poi sì, certamente è una situazione spiacevole e complicata e difficile – l’impressione è che, come diceva Alexandra qui sopra, alla fine è un sistema che, statisticamente, rischia di favorire i mediocri.

      • Probabilmente sì
        Però anche gli eccezionali se non sanno capire quando seguire le regole e quando no se la vanno a cercare. ^__^

        Come dicevo sopra.
        Secondo me la vera soluzione è il self
        Inizia a autoprodurti, autopromuoverti e gestire tutto da solo.
        Impara quali sono le vere difficoltà del mestiere poi avrai sempre modo di raggiungere una casa editrice… ma almeno saprai già cosa aspettarti.
        ^__^

        P.S. se lo ha fatto Calvino possono farlo anche gli altri nuovi Dante italiani. ^__^

        • Il mio cliente, che ora attenderà speranzoso guardando la casella di posta elettronica per novanta giorni, mi ha spiegato che lui è un autore di genio, non come gli sfigati presuntuosi che si credono chissà chi e poi si autopubblicano a pagamento.
          Gli ho risposto che EAP e self-publishing sono due cose diverse.
          Mi ha riso in faccia.
          Ovviamente un self a pagamento privo di talento come me direbbe una cosa del genere. M lui sa che non è così.
          Non si sfugge.
          Il sistema punitivo serve, a volte, come dicevo alla fine del mio post.

  7. nel mio caso il 90% delle aziende a cui ho mandato o mando il cv ancora adesso mi ha risposto in questi due modi:

    – silenzio
    – messaggio automatico di rifiuto

    Questa cosa mi fa sbroccare e soprattutto quando a farla sono i recruiter che in teoria fanno quello di lavoro e potrebbero avere ben altro approccio alla questione.

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