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Dalle cucine del diciottesimo secolo, per tenere lontana la malinconia

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Le festilenze sono passate, la campagna è triste e incrostata di brina, il freddo è tagliente, e c’è un po’ poco da fare per sfuggire alla monotonia – si legge, si scrive, si guardano film, si interagisce a distanza coi nostri simili, si mangia e si dorme, con uno stile di vita sempre più simile a quello di un gatto.
Ci si inventano lavori, si cercano nuovi hobby, e si fanno esperimenti – perché lo sappiamo, non è sempre caviale, ma variare ciò che mettiamo in tavola è un modo per dare varietà ad una esistenza che, “per cause indipendenti dalla nostra volontà”, rischia di ridursi a un ciclo ininterrotto di veglia e sonno, le giornate tutte uguali.

Vogliamo mantenere una presa anche minima sulla nostra salute mentale?
Provare a cucinare qualcosa di diverso potrebbe essere una buona idea.
Perciò – fraze… di cosa si tratta?

Il termine (pronunciato “fraiz”) deriva dall’inglese del settecento – se ne parla in libri di cucina dei pionieri americani e dei bravi tavernieri britannici. Le fanno nel Suffolk con una ricetta specifica, le fraze, che è un termine molto flessibile.
Non un piatto nello specifico, quanto piuttosto una categoria.
“Una specie di incrocio fra una frittella e una omelette”, la descrivono alcune fonti moderne.

Ingredienti e proporzioni sono ampiamente variabili – tocca sperimentare.
Così ad occhio, noi diciamo

  • da due a quattro uova
  • un cartoccio di panna da cucina
  • farina quanto basta
  • varie ed eventuali

Per le proporzioni bisogna andare ad occhio, e sperimentare. Potrebbero servirvi anche sale e pepe, noce moscata o cannella, mele o pancetta affumicata o cipolle. Zucchero, forse. Burro.
Come si diceva, questo non è un piatto, è una categoria alimentare. Estinta, forse, ma non dimenticata.

Cominciamo con la variante più semplice e imprevista.
Uova, panna, farina, e della pancetta affumicata.

Mescoliamo le uova, la panna e aggiungiamo la farina fno ad avere una miscela uniforme e liquida.
Mettiamo in una padella antiaderente dei tocchetti di pancetta affumicata non troppo spessi, e lasciamoli dorare. Quando sono ben cotti e croccanti, versiamo sopra ad ogni tocchetto un paio di cucchiai della miscela.
Lasciamo cuocere, giriamo, ripetiamo l’operazione sul lato B, serviamo.

L’idea è che la miscela di uova, panna e farina assorba parte del grasso di cottura, ed in questo modo ci permette di fare a meno di sale e pepe.
Però chissà, alcuni potrebbero volerla salare o pepare a proprio gusto.

Nei tempi antichi, prima che questo piatto scomparisse completamente dalla storia, si serviva con un boccale di birra.

La fraze, che alla fine ha le dimensioni di una frittella o di un grosso biscotto, o di una frittatina, è un contenitore, una spugna.

La Suffolk Fraze canonica richiede cipolle e asparagi, saltati in padella (gli asparagi precedentemente scottati) e poi addizioniamo la miscela uova+panna+farina, opportunamente addizionata di sale e pepe a piacere. In questo caso, in padella metteremo un po’ di burro per aiutare la cottura. I più dissoluti ci mettono anche il prosciutto a cubetti.

Con un po’ di fantasia, la fraze potrebbe anche essere un buon espediente per riciclare avanzi diversi.
Usate la vostra immaginazione.

Ma esiste anche la versione dolce – per cui facciamo dorare nel burro delle sottili fette di mela in padella (le mele renette sono probabilmente la scelta migliore), con una spolverata di noce moscata o cannella, e poi aggiungiamo la miscela. Alcuni potrebbero volerci mettere dello zucchero, magari zucchero di canna.
Quasi come con le classiche frittelle che (per lo meno dalle nostre parti) si preparano in questo periodo dell’anno – ma senza l’aggiunta di lievito.

Tuto qui – niente di troppo impegnativo, niente di troppo costoso.
Potrebbe affumicarci un po’ la cucina, ma è un rischio che siamo disposti a correre.
Perché non è sempre caviale, e lo sappiamo bene, ma dobbiamo pure portare un po’ di varietà nelle nostre esistenze, no?

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

4 thoughts on “Dalle cucine del diciottesimo secolo, per tenere lontana la malinconia

  1. Com’è la consistenza una volta cotta? Più simile alla frittata o ha una consistenza più “panificata” vista la presenza della farina?

    • Molto dipende da quanta farina ci metti – e lì è una questione di gusti.
      Io preferisco una consistenza “da frittella”, ma credo sia possibile ridurre la farina (o aumentare le uova) ed avere qualcosa di più simile ad una frittatina improvvisata.

  2. Ciao Davide!
    La ricettina è davvero MOLTO interessante, e … beh, con i pancake (o omelette, o… quella roba lì) non ho un gran rapporto… in effetti o mi escono degli imbarazzantissimi mapazzoni né crudi né cotti, oppure delle cose insipide e dalla consistenza su cui è meglio non indagare…
    Una ricetta un po’ più approfondita? In particolare qulche informazione (e magari una fotina) sulla consistenza della pasta, e qualche dettaglio in più sulla quantità di grasso in padella sarebbero cosa veramente grata.

  3. Pingback: Tre pagine dell’agenda | strategie evolutive

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