strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Tra Vulture City e Margaritaville

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Johannes Henricus “Henry” Wickenburg era nato ad Essen, Prussia, il 21 Novembre del 1819, dove la sua famiglia possedeva una piccola miniera di carbone. Quando l’attività venne requisita dal governo prussiano, nel 1847, Wickenburg emigrò negli Stati Uniti, dove svolse l’attività di cercatore d’oro. Mentre esplorava l’area dell’Arizona nota come Vulture Montains, Henry Wickenburg scoprì quello che si sarebbe rivelato il più grande giacimento d’oro e argento nello stato, ed attorno alla miniera chiamata Vulture Mine sorse una città che prese il nome di Vulture City. Arrivò ad avere 5000 abitanti, Vulture City, e tutti i confort della vita moderna – un ufficio postale, un albergo, un saloon, una stazione di servizio, un deposito di esplosivi, un bordello, un albero al quale vennero impiccate diciotto persone nel corso della storia della città.
Tra il 1863 ed il 1942 la miniera produsse circa dieci tonnellate d’oro e sette tonnellate d’argento. E poi basta.
Una volta esaurita la miniera, la città venne abbandonata, ed è oggi una delle più famose ghost town degli Stati Uniti.

E questa non è la storia fatta coi cialtroni.
Perché a questo punto lasciamo che Henry Wickenburg vada per la sua strada (fino a fondare, pochi chilometri più in là, la città che da lui prende il nome), e restiamo per un attimo nella città fantasma.

Le città fantasma sono un caposaldo del western e, più in generale, dell’immaginario americano. Ne esistono in ogni stato dell’unione, si possono visitare, si possono acquistare su eBay o su Craigslist – c’è un tale che dall’inizio della pandemia vive da solo in una città fantasma che ha comprato, tra Nevada e California, con vista sulla Valle della Morte, e fa video su Youtube parlando della sua esperienza.
Cercatelo, che è divertente – c’è anche un fantasma autentico, a quanto pare, in quel posto.

In generale, lo abbiamo imparato al cinema o dai fumetti di Tex, le città fantasma diventano tali perché si esaurisce la miniera, perché vengono travolte da alluvioni (accadde anche a Vulture City) o altre calamità naturali, o perché – e questo è un classico – la ferrovia non passa più di qui.

Uno stato di cose che posso apprezzare – grazie alla politica di riduzione dei “rami secchi” delle ferrovie nazionali, il treno non passa più per Castelnuovo Belbo.

E in un certo senso, con il ban da Facebook che ormai si protrae da un anno e mezzo, è un po’ come se la ferrovia non passasse più da questo blog – e senza il traffico della ferrovia, senza i visitatori che arrivano col treno, questo blog è destinato a diventare come Vulture City.

E per dare un’idea – quando era possibile condividere i miei post su Facebook, i miei link commerciali mi fruttavano circa 30 euro a trimestre … ammettiamolo, non le dieci tonnellate d’oro di Vulture City, ma abbastanza per comprarmi un paio di libri che altrimenti non avrei comprato.
Il fatturato totale dei miei link commerciali negli ultimi diciotto mesi è circa 9 euro.
E considerando che Amazon mi paga al raggiungimento di 25 euro, quei soldì li vedrò probabilmente nel 2026.
Il treno non passa più di qui, la miniera si è esaurite.

Ma a quanto pare qualcuno di qui ci passa ancora, probabilmente attraversando il deserto a dorso di mulo. E il minimo che possiamo fare è tenere aperto per lo meno il saloon, per servire una bibita fresca ai viaggiatori.

Ora, uno dei mantra che mi hanno sostenuto negli ultimi anni – che, come accennato altrove, non sono stati proprio facilissimi – è “come posso usare questi ostacoli?” … in che modo posso usare le difficoltà per continuare ad andare avanti? Per avanzare anche solo di un centimetro invece di farmi ributtare indietro?

E con lo status di ghost town credo che strategie evolutive abbia anche acquisito una grande libertà – alla quale abbiamo sempre aspirato, ma che a volte è stata sacrificata: la libertà di non dover inseguire i like, di non dover compiacere l’algoritmo di Facebook o i criteri di Google. La libertà di non dover mettere giù il prima possibile almeno cinquecento parole su ciò di cui tutti stanno parlando, che sia la pandemia, la guerra, l’ultima serie Netflix o l’ultima uscita di Mondadori.
La libertà di non dover esprimere un’opinione su tutto, facendo sempre il possibile per piacere a tutti.

Guardiamoci attorno.
Il treno non passa più di qui.
Tutti, anche e soprattutto quelli che dicevano che non lo avrebbero mai fatto, si sono spostati altrove – fanno podcast, vlog, video su Tik Tok, qualunque cosa sia che si fa su Discord…

Restiamo noi, ed il suono del vento, e di notte i coyote che ululano alla luna.
O forse sono i graboid.

Ma anche, mi è venuto in mente ieri, mentre perdevo tempo bevendo un tè e guardando la pioggia, abbiamo forse raggiunto lo stato mentale auspicato a suo tempo da Jimmy Buffet in Margaritaville.

Nibblin’ on sponge cake
Watchin’ the sun bake
All of those tourists covered with oil
Strummin’ my six string on my front porch swing
Smell those shrimp they’re beginnin’ to boil

Un posto dove stare e fare ciò che ci pare.
Che per Jimmy Buffet naturalmente significa sbevazzare in maniera disordinata e rimorchiare giovani donne, per noi su strategie evolutive potrebbe voler dire continuare a fare ciò che facevamo una volta… quel che ci pare, senza stress.

Assisteremo ad un vertiginoso calo delle visite?
O si innescherà una qualche forma di passaparola?
Interessa davvero a qualcuno visitare questa città fantasma?
E perché?

Stiamo a vedere…

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

15 thoughts on “Tra Vulture City e Margaritaville

  1. c’è chi ancora là fuori usa un vecchio feedreader per restare aggiornato sugli orari del saloon, e fa sempre piacere vedere che la sabbia che sembrava spazzar via la città non ha riempito il bicchiere.
    e c’è chi per aggirare decisioni arbitrarie di facebook e google sta provando a sperimentare altrove, perché anche su facebook tira un’aria da ghost town, in cui la popolazione è veramente il fantasma di quel che avrebbe potuto essere, ma più che un abbandono sembra un’infestazione.
    c’è un sacco di fermento attorno alle varie istanze che ruotano attorno a mastodon, per quanto sia ancora un po’ – come da definizione di un amico – “il social degli antisociali”, e per quanto personalmente fatichi un po’ a capirci qualcosa (complice la formula à la twitter che non mi aiuta) magari ci si può trovare un po’ di margine per sperimentare nuove forme e nuove formule, prima che le cavallette arrivino anche lì.

  2. Sono un lettore poco attivo, non commento spesso e non faccio numero, click o traffico. Leggo quando posso e non arrivo mai ai blog (nessun blog) tramite Facebook.

    Ma la “libertà di non dover esprimere un’opinione su tutto” la apprezzo tantissimo, ovunque.

    • Diciamo che Facebook (e gli altri social) aiutano soprattutto a trovare nuovi lettori – e a mantenere svegli i lettori più distratti.
      Ma non stiamo a crucciarci … buona lettura!

  3. Per quanto mi riguarda, mi sono aggirato tra le pagine della città abbandonata di strategie evolutive ogni qualvolta ero a corto di idee per libri da leggere….o semplicemente per andare a scoprire i post che mi ero perso o che non ricordavo. Il filone è ancora ben lungi dall’essere esaurito. Ben venga il tuo ritorno all’attività su queste pagine! E chi se ne importa degli altri strumenti social. Viva il blog.

  4. ma perche sei stato bannato?

    • A quanto pare qualcuno ha pensato bne di segnalare questo blog per i suoi contenuti che incitano all’odio e alla discriminazione.
      E poiché tutti i dipendenti di Facebook in questo momento sono impegnati a verificare che non vengano pubblicate fake news sulla piattaforma, loro ti bloccano preventivamente, e ignorano ogni richiesta di verifica e revisione della decisione, perché non hanno nessuno che se ne possa occupare.

  5. cmq non me ne preoccuperei più di tanto, se non paghi il loro advertisement, traffico da FB non te ne arriva anche se non sei stato bannato… io ci tirerei proprio una croce sopra e andrei avanti per altre strade… ovvero indicizzazione organica su Google… certo che tratti argomenti di supernicchia, non è facile fare grossi volumi di traffico anche così… a quando un bel post sul colore delle mutandine della cantante del momento? 🙂

    • Purtroppo (?) non mi occupo di intimo delle celebrities.
      E il crollo delle visite è storia antica – sono passati i giorni in cui strategie faceva 2000 visite al giorno. E tra l’altro il crollo è proprio coinciso con l’ascesa di Facebook.
      Per cui sì, che la ferrovia non sarebbe più passata di qui lo sapevamo da molti anni. Il ban è stato solo l’ultimo capitolo di una storia più lunga.

  6. Non commento quasi mai, ma voglio solo dire che spulciando i vecchi e nuovi post di questo blog ho trovato i libri che mi hanno dato più soddisfazioni nella mia vita da lettore negli ultimi tempi, “A manual for cleaning women” e la serie del New Sun di Wolfe (che coppia improbabile!).
    Quindi ben venga avere una città fantasma dove riposare le nostre stanche membra, anche se tagliata fuori dal ben peggiore cimitero di orrori che è diventato Facebook.
    Grazie mille, è sempre bello leggerti.

  7. Osservare la pioggia non è mai una perdita di tempo.

  8. Bentornato, Davide! Per chi (come me) attraversa il deserto a dorso di mulo, è sempre bello sapere che in una città fantasma c’è un saloon con birra, o anche acqua, fresca. Buon tutto!

  9. Pingback: Tra Vulture City e Margaritaville | thebooksareinthehouse

  10. Ogni tanto nelle ghost town il vento, oltre a trascinare qualche palla di fieno, sospinge anche un vagabondo, che dopo lungo tempo torna in città e comincia a perlustrare le stade alla ricerca delle storie perdute. 🤠

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