L’aristocratico Paarfi di Roundwood è uno scrittore e sedicente storico, appartenente ad un ramo cadetto del clan del Falco, in Dragaera, il cui catalogo al momento include una duologia, una trilogia ed un romanzo stand-alone, e la cui opera sembra studiata a tavolino per la dannazione di tutti coloro che hanno speso un certo numero di banconote da cento euro in corsi di scrittura ed un certo numero di ore a spulciare blog e canali Youtube nei quali si parla delle regole della buona prosa.
Paarfi di Roundwood è prolisso ed ampolloso, inutilmente dispersivo e particolarmente ripetitivo. Non manca di infliggere ai suoi lettori lunghi passaggi espositivi, spesso per divagare su questioni personali ed assolutamente irrilevanti (il modo in cui l’autore viene maltrattato dai critici, le proprie vicissitudini accademiche, i propri piccoli drammi sentimentali). Molti dei passaggi espositivi (o infodump, come li chiamano quelli bravi) servono a spiegare ciò che il dialogo ha appena esposto o, peggio, anticipano i contenuti del dialogo che stiamo per leggere.
Ed i dialoghi di Paarfi sono lunghi, legnosi ed inutili, privi di carattere e a volte paiono messi lì solo per allungare il brodo.
“Cosa significa tutto questo?”
“Me lo domandi?”
“Certamente sì.”
“Allora ti risponderò.”
“Ed io te ne sono grato.”
“Eccoti dunque la mia risposta–“
“Non attendo altro.”
Ed ovviamente, Paarfi di Roundwood non manca di raccontare anziché mostrare, ed è – col suo vezzo di rivolgersi direttamente al lettore – un esempio da manuale di narratore onniscente della peggior specie.
Aggiungiamo a coronamento di tutto ciò che i romanzi di Paarfi di Roundtree saranno anche riccamente documentati da fonti storiche – che l’autore non manca di riprodurre sulla pagina nei momenti meno opportuni, spezzando il ritmo dei suoi libri – ma sono e restano dei plagi di Alessandro Dumas.
Paarfi ed il suo editore negano,naturalmente, ma qualunque lettore smaliziato non può non accorgersene.
The Phoenix Guards, originariamente pubblicato nel 1991 nella traduzione di Steven Brust, è la storia di quattro spadaccini in un corpo di elite (le Guardie del titolo) al servizio del loro sovrano, ed è zeppo di intrighi, doppigiochi, duelli e altre cialtronate. Il secondo volume della duologia si intitola Five Hundred Years Later – e vede la riunione dei quattro protagonisti, che si erano divisi alla fine del primo libro; varrà a questo punto la pena ricordare che i romanzi si svolgono in un mondo popolato da creature per le quali cinquecento anni sono, più o meno, come vent’anni per noi.
Eccetera.
La cosa che mi interessa, a questo punto, nel discutere della serie dei “Romanzi di Khaavren” (anche noti come “Romanzi di Paarfi”) di Steven Brust, non è tanto che siano dei fantasy estremamente divertenti, costruiti su trame riciclate dai classici di Dumas, quanto il modo in cui Brust riesca a scrivere dei romanzi che funzionano perfettamente pur contravvenendo a tutte le buone regole della scrittura come ci sono state ripetutamente cacciate in gola da infiniti pedanti.
Nell’assumere la voce di Paarfi di Roundtree – di fatto, un altro personaggio dei romanzi, la cui personalità e la cui storia personale emergono dai suoi continui pistolotti fuori luogo – Brust può infischiarsene del Decalogo del Bravo Scrittore ed usare il testo per ottenere tutta una serie di effetti che, nelle mani di un bravo scrittore (e Steven Brust è certamente un bravo scrittore) contribuiscono all’effetto generale: inorridiamo per i capricci dell”autore”, scrolliamo la testa alle sue incontinenze, ma contemporaneamente siamo sufficientemente coinvolti dai protagonisti e dalla trama da non riuscire a fermarci.
A conferma della validità di questo approccio, i romanzi di Paarfi di Steven Brust sono entrati tutti nella lista dei bestseller, hanno venduto a carrettate, ed hanno anche raccattato il plauso della critica.
È quasi come se – orrore e raccapriccio! – le Regole avessero una importanza assolutamente relativa.
Ora, si dirà, quella di Brust è una scelta consapevole, la scelta di un autore che ha imparato ad usare tutti gli strumenti classici nella cassetta degli attrezzi della narrativa e poi ha deciso di farne a meno, ed usarne invece una serie vecchia ed arrugginita, in disuso da secoli.
Una cosa diversa è l’autore alle prime armi, un pretenzioso semi-analfabeta a malapena capace di mettere tre parole in fila, e che quindi deve ringraziare il proprio dio che qualcuno migliore di lui gli abbia impartito una serie di regole tali da rendere leggibile la sua storia.
Brust sta facendo Meta-fiction, mentre l’imbelle autore qualunque pasciutosi ai corsi di quelli bravi probabilmente pensa che Meta sia quello che rimpiazzerà Facebook.
È possibile.
Ma qui, vedete, sorge il vero problema – perché una conseguenza sinistra della prevalenza delle solite quattro regole per principianti, non solo come linee guida per autori alle prime armi, ma anche e soprattutto come standard di valutazione dei lettori e modello imposto dagli editor, significa che tutta la narrativa che abbiamo qualchjje speranza di vedere arrivare sui nostri scaffali è scritta nello stile di un semianalfabeta alle prime armi, al quale qualcuno migliore di lui ha imposto uno schema predefinito.
Da giorni si dibatte, su giornali e riviste che nessuno legge, e su profili facebook e canali Youtube che nessuno segue, di come certi classici siano noiosi, e come converrebbe invece ristrutturare i programmi scolastici, imponendo ai giovinastri la lettura di testi più brevi e scorrevoli, più attuali e meno noiosi – possibilmente i testi degli autori che suggeriscono certi cambiamenti.
Lontano dalle sale dell’accademia e dai media vecchi e nuovi, i romanzi di Paarfi sembrano suggerirci che l’importante sia, quando si affronta la lettura, evitare le standardizzazioni e le ultrasemplificazioni, e cercere invece storie coinvolgenti, stili diversi, differenti voci.
La capacità di apprezzare cibi diversi cucinati in maniere diverse – una capacità alla quale Paarfi di Roundwood dedica un lungo e completamente superfluo capitolo di The Baron of Magister Valley – potrebbe essere desiderabile.
Ma naturalmente, tutto questo è di secondaria importanza, considerando che i romanzi di Steven Brust (una trentina di titoli) nel nostro paese non sono mai stati tradotti – cosa che ci ha perlomeno risparmiato il trauma di vedere il povero Paarfi di Roundtree presentato come Paarfi di Boscotondo.
Niente Brust, niente infrazioni alle regole.
I bambini possono continuare a dormire sonni tranquilli, scevri di infodump e narratori onniscenti…