strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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Statue che urlano su Amazon

Per chi fosse interessato, la mia nuova novella è disponibile ora anche su Amazon.
Isole misteriose, pirati, avventure, e il necessario per giocare la storia usando le regole di Four Against Darkness.
Prossimamente anche in italiano (ma non so ancora dirvi quando).

E sì, ci ho messo il link, ma è ad Amazon punto com, quindi se comprate, io non ci vedo un centesimo di commissioni.


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L’Isola delle Statue che Urlano

È un vero piacere poter annunciare che una nuova novella, intitolata The Island of the Screaming Statues, è appena arrivata su Lulu.com
Si tratta della mia seconda incursione nel mondo di Norindaal, creato dall’amico Andrea Sfiligoi per il suo gioco di ruolo 4 Against Darkness.
Il racconto si può leggere senza avere alcuna esperienza col gioco – ma chissà, magari potrebbe invogliarvi a provarlo, e in questo caso in fondo al libro trovate una ricca appendice per adattare la storia.

La novella è un fantasy classico, e segna il ritorno dei quattro scompagnati avventurieri già incontrati in The Heart of the Lizard, questa volta alle prese con un’isola mistriosa, strane creature sovrannaturali, pirati (ovviamente!) e una signora con un grave problema di doppie punte…

Il libro è disponibile in pdf a 4.99 e in brossura a 8.99, ma per un tempo estremamente limitato potete usare il codice GREEN15 e ottenere uno sconto del 15%.
Sono previste distribuzioni su altre piattaforme ed anche una edizione in italiano, ma non saprei indicarvi una data stimata di uscita.


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See you, space cowboy…

E parlando di giochi di ruolo, e di giochi da poche pagine…

Da circa una settimana vengo perseguitato da una serie di sponsorizzate su Facebook che vogliono convincermi a sostenere su Kickstarter l’uscita del manuale ufficiale del gioco di ruolo di Cowboy Bebop. E non confondiamoci, a me piaceva Cowboy Bebop, e sono certo che si tratti di un universo particolarmente adatto ad ambientarci un gioco di ruolo.
Ma…

Un gioco di ruolo di Cowboy Bebop esiste già, è un gioco indipendente e non ha assolutamente nulla di ufficiale. Costa 10 euro a stampa (con pdf incluso) oppure meno di cinque in pdf via DriveThruRPG – che è dove l’ho comprato io.
E ho in programma di prendere anche la versione cartacea appena possibile (al momento trovo fastidioso pagare dodici euro di spese di spedizione su un volume da nove euro – ma troverò un modo).
Il gioco si intitola See you space cowboy… (sì, coi tre puntini di sospensione), ed è un manuale della bellezza di 36 pagine, pubblicato da Tidal Wave Games, che lo ha finanziato con un Kickstarter piccolo piccolo due anni or sono.
Ed è francamente eccellente.

See you space cowboy… – SciFi Space Bounty Hunter Jazz Fusion Roleplaying Game è essenzialmente Cowboy Bebop con le targhe cambiate (ed una spruzzata di elementi “soffiati” a Trigun e Outlaw Star).
Il fatto che il gioco riesca in 36 pagine a condensare tutto ciò che serve per giocare, dando intanto un’impronta fortemente caratteristica all’insieme – nel tono, nella grafica – è una dimostrazione che le persone coinvolte nel progetto sono perfettamente in sintonia con il genere, con il setting, e con la filosofia generale dell’universo.

I giocatori interpretano dei cacciatori di taglie in un sistema solare del futuro prossimo, molto opportunamente noir, con elementi che permettono di passare abbastanza facilmente da un tono leggero al melodramma, e ritorno.
Le meccaniche sono costruite per simulare uno stile di gioco ispirato al jazz – e se suona scemo così sulla pagina, all’atto pratico funziona, ed è divertente.
La creazione dei personaggi – che tecnicamente appartengono tutti alla stessa classe, sono cacciatori di taglie e lì finisce la faccenda – è intelligente, con un sacco di piccoli tocchi che aiutano a caratterizzare a fondo e a diversificare i vari personaggi (dai vizi individuali alle rate da pagare per l’astronave, all’equipaggiamento personale), evitando il rischio di avere un team indifferenziato e “qualunque”.
Il sistema solare è descritto in maniera succinta ma soddisfacente, e anche qui ci sono un sacco di piccoli dettagli molto gustosi.
E poi, che diamine, la storia è nota – ci sono dei ricercati da catturare, delle taglie da incassare.

E il manualino di trentasei pagine riesce, senza apparentemente sforzarsi troppo, a far venire voglia di giocare – per il setting, e le situazioni, certo, ma anche perché le regole, così come vengono presentate, sembrano davvero divertenti.
E sono 36 pagine, ed è tutto lì, o quasi. Nel caso, è possibile scaricare da DriveThruRPG solo la sezione dedicata ai giocatori – 16 pagine, come Pay-what-you-want.
Si legge in un’ora, e poi si gioca.
Non è una cosa da poco.

E riescono a farci stare anche un po’ di suggerimenti per master e giocatori, ed una serie di accorgimenti per creare una “cultura del tavolo da gioco”.
E tutto senza usare neanche un D20.

Attualmente, i ragazzi e le ragazze di Tidal Wave Games hanno in preordine un secondo manuale – 40 ricche pagine su Cerere, cuore dell’universo di See you space cowboy… con 36 locations, 18 criminali da inseguire, fazioni e personaggi non giocanti, e ratti … orde di ratti.
Molto promettente – è molto probabile che all’uscita di Ceres io faccia quell’ordine di cui dicevo – approfittando per ammortizzare le spese di spedizione assassine.

Il risultato di tutto ciò è che no, non credo sosterrò il nuovo Kickstarter che Facebook continua a spiaccicarmi in faccia ogni tre per due. I ragazzi di Tidal Wave Games mi hanno agganciato dal momento in cui hanno scritto jazz fusion sulla copertina. Io sono una persona semplice.


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Kin

Esistono due tendenze generali, nel mondo dei giochi di ruolo – e potremmo chiamarli pesi massimi e pesi leggeri, ma poi qualcuno potrebbe immaginare che si tratti di una questione di qualità, e non lo è.
È, ai fini di questo post, semplicemente una questione di numero di pagine.
Per cui fa una parte abbiamo cose come Pathfinder, Zweihaender o il classico Warhammer Fantasy, che sono dei tomi da 400-600 pagine, e dall’altra una marea di giochi – per lo più indie – che viaggiano sotto alle 150 pagine per un gioco completo.
E dico per lo più indiue perché i tre volumetti di Traveler, o il contenuto della Scatola Rossa che negli anni recenti è diventata un oggetto di culto per coloro che non ci hanno mai giocato, andavano poco oltre il pagecount di un odierno gioco di ruolo indie.
Nei tempi antichi i giochi erano più asciutti – e questo richiedeva da parte dei giocatori un approccio da bricoleur – si aggiungeva materiale fatto in casa, e al manuale si affiancava un quaderno zeppo di appunti, scarabocchi, idee.
“Rules As Written” era ridicolo (io credo lo sia ancora – ma non voglio scatenare una guerra di religione).

Ma francamente, nell’attuale panorama dominato da un singolo sistema e popolato da orde di munchkin che sarebbero capaci di ammazzare una stanza piena di gente con le loro chiacchiere dall’alto del loro corso di scienze politiche sul gioco di ruolo, esplorare i giochi che rientrano nella categoria dei pesi leggeri è spesso una boccata d’aria fresca.

Kin – the Fantasy Tabletop Roleplaying Game è stato scritto e prodotto da Veo Corva, autrice di narrativa fantasy, come prodotto collaterale del suo romanzo Non-Player Character – che non ho letto.

Ho letto invece Kin, che è un manuale di 120 pagine che Jeff Bezos mi ha lasciato per meno di 5 euro, spedizione inclusa. Ho buttato altri 2 dollari come offerta sulla pagina di Itch.io dell’autrice per ringraziarla del voluminoso bundle di materiale aggiuntivo. Perché bisogna supportare gli autori indipendenti.
È scritto bello grande, Kin – per cui l’ho letto in fretta e senza affaticarmi la vista. Ha poche illustrazioni di classe, ed è per circa due terzi sistema, e un terzo setting.

Il sistema è molto semplice, e prende idee in prestito da un sacco di fonti – è abbastanza chiaro che Veo Corva ha una discreta esperienza di gioco. Il motore permette di giocare in due modalità – narrativa e d’azione – per gestire le diverse dinamiche.
È qualcosa che più o meno facciamo tutti, alternando roleplaying e roll-playing nelle nostre partite.
Il sistema di Kin formalizza pratiche che da sempre vediamo attorno al tavolo.


La creazione dei personaggi è rapida, la scelta di opzioni ampia – considerando che risolviamo tutto in poche pagine.

L’idea del gioco è quella di esplorare un mondo nel quale l’intersezione – naturale o artificiale – di diversi piani ha portato ad una situazione di confusione e mutabilità estrema.
Sembra qualcosa di preso da Planescape – e non sarò io a lamantarmi. I giocatori, che interpretano “Planarkin”, non sono troppo distanti dai vecchi Aasimar e Thiefling, opportunamente depotenziati. In effetti, sarebbe possibile usare Kin come motore alternativo per una colossale campagna di Planescape … come non apprezzare l’opportunità?

È molto leggero Kin – nella forma e nel tono – e questa non è una cosa negativa.
È il genere di gioco che richiede un quaderno per metterci appunti e regole della casa – ed ha persino un capitolo intitolato “Create-a-Creature Workshop”, per dare a master e giocatori la possibilità di sviluppare le proprie creature.
Non potevo chiedere di più, viste le dimensioni ed il costo.

Lo giocherò mai?
Non lo so.
Di sicuro, la voglia di buttarlo sul tavolo e vedere cosa ne fanno dei giocatori esperti esiste.
Staremo a vedere.


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Halloween a sorpresa al tavolo da gioco

Una delle poche costanti negli ultimi decenni, per ciò che mi riguarda, è stata la tradizionale partita di Halloween – una sessione di un qualche gioco di ruolo appropriato per la stagione.
The Call of Cthulhu è un classico, ma anche qualcosa come Rippers, o magari All for One.
Una partita a Solomon Kane?
Non importa. In fondo è una scusa per sedersi tutti attorno a un tavolo e farsi quattro risate.

Negli ultimi anni, le mie partite sono spesso state virtuali – una combinazione di videoconferenza, chat testuale e altre follie. Non ho una grande dimestichezza con i tavoli da gioco virtuali, e per il nostro stile di gioco – che tende ad essere più narrativo che simulazionista, se proprio vogliamo parlare di certe cose – una cosa come Roll20 diventa eccessiva.

Quest’anno non so se avrò modo di giocare – ci sonoun sacco di cose per aria – ma se dovessi riuscirci, il caso ha appena portato sul mio tavolo esattamente ciò di cui avevo bisogno.

Accennavo la settimana passata a come i gentiluomini e le gentildonne della Mottokrosh Machinations – produttori dell’eccellente Hypertellurians – abbiano la tendenza a infilare degli extra nel pacco che contiene la versdione rilegata rigida del loro gioco, che si può ordinare solo attraverso il loro sito.
Il corriere ha consegnato oggi il pacco con la mia copia del gioco – che rimpiazza così il pdf che era incluso nell’acquisto – e nell’imballo c’erano anche una copia di Bewilderment and Panic in the Land of Faulty Tors, una campagna tascabile per Hypertellurians, e un’edizione in paperback di A Bride for Dracula, che è esattamente ciò che il dottore ha ordinato per Halloween.

A Bride for Dracula è un’avventura in due parti, system agnostic – che vuol dire che la si può giocare con qualunque sistema.
Il volumetto, ben illustrato e piacevole a leggersi, contiene i profili dei personaggi – giocanti e non – e la delineatura degli eventi salienti. Poi il master ed i giocatori sono liberi di improvvisare.

Come si può facilmente dedurre dal titolo, la vicenda ruota attorno al desiderio del Conte Vampiro di aggiungere una donzella (o forse… più di una?!) al proprio harem. I giocatori interpretano le candidate, oppure i congiunti delle candidate, o anche persone che per caso si trovano a passare per Castel Dracula.
Da qui, tutto è possibile … o così sembra.

È possibile (o consigliabile) sfuggire al conte? È forse preferibile farsi vampirizzare e regnare in eterno sulle tenebre? Cosa c’entra il cervello sotto vetro? Perché il cocchiere sembra avere qualcosa da nascondere? Dove porta questa scala…?

Una bella avventura gotica, zeppa di intrighi, doppi giochi e segreti – che a seconda del sistema adottato e del mood della squadra può essere qualcosa di cupissimo o una valanga di risate. E si può risolvere in una serata – il che significa che dei normali giocatori di ruolo possono passarci dalle tre alle otto sessioni di gioco, senza neanche sforzarsi di tirarla per le lunghe.

È molto divertente. Era sulla mia lista dei desideri su DriveThruRPG – e invece mi è arrivata a sorpresa, e a costo zero. Difficile fare meglio di così.


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Alla deriva nell’Ultracosmo

Uno degli effetti positivi – credo di averne già accennato – dell’Old School Revival nell’ambito del gioco di ruolo, è che mi ha invogliato a dare un’occhiata a un sacco di giochi nuovi, indipendenti, e quanto più possibile diversi dal vecchio D&D che dell’Old School Revival è il nucleo ideale.
Ci sono cose strane e meravigliose là fuori, e lasciarsi alle spalle le nostalgie artificiali ci permette di esplorare questi nuovi lidi.

E alla voce “cose strane e meravigliose”, pochi titoli riescono a battere Hypertellurians.

Prodotto nel 2020 dalla Mottokrosh Machinations, Hypertellurians è un gioco di ruolo che fa della stranezza il suo motore principale.
I giocatori assumono il ruolo di “Hypetellurians”, personaggi che per una serie di motivi hanno sviluppato l acapacità di muoversi nell’Ultracosmo, che sarebbe una specie di Multiverso, a metà strada fra Michael Moorcock e Roger Zelazny, con dosi abbondanti di Doctor Who … se Doctor Who lo avesse scritto P.J. Farmer, a partire da appunti sparsi di Jack Vance.

E voi potreste chiedermi, sì, OK, stranezza, ma quanta stranezza?
Beh, c’è un personaggio giocabile, in questo sistema, che è un costrutto nato dalla fusione artificiale di una piovra e di una tuta da palombaro.
“Particelle luminose danzano nell’oscurità all’interno del casco mentre la testa del polpo tremola sulla sua spalla.”
La motivazione principale di questo personaggio è aggiungere altre teste al proprio corpo.
C’è anche un personaggio giocabile non morto – lo scheletro di una sirena (ma è un po’ più complicato di così), la cui ambizione è quella di diventare il più potente necromante dell’Ultracosmo.
Ecco, questo è il livello di stranezza.

Era dai tempi di Whispering Vault che non vedevo un gioco così francamente weird, e così entusiasta nell’abbracciare la bizzarria. E Whispering Vault è uno dei grandi artefatti dimenticati degli anni ’90.
Questo mi porta a ben sperare quando maneggio il manuale di Hypertellurians.

Un po’ come Doctor Who, gli ipertellurici protagonisti del gioco vagano per infiniti universi paralleli, saltando di avventura in avventura, sospinti solo dalle proprie ambizioni e dai propri interessi, e dal sense of wonder (che è quantificato, nel gioco) e gli capita di incontrare … beh, qualunque cosa passi per la testa del master.

La fonte principale di ispirazione sono i vecchi pulp come Planet Stories, o forse cose ancora precedenti – i penny dreadful e le speculazioni di filosofi e narratori settecenteschi, i fumetti della EC e i serial di Flash Gordon, le illustrazioni di Virgil Finlay e Frank Frazetta e chissà che altro.

Il manuale è un bel volume rilegato rigido di 156 pagine, in formato B5 e stampato a colori, con illustrazioni di qualità variabile.
Il sistema di gioco è di una semplicità disarmante, ma volendo lo si può hackerare come si preferisce, ed è estremamente robusto. È vagamente imparentato coi vecchi sistemi cari all’OSR, il che significa che è in teoria possibile creare una banda di personaggi con Hypertellurians e poi usarli per giocare qualche vecchio modulo di D&D, o di qualunque altro gioco.

E se davvero vogliamo trovargli un difetto, il difetto è che Hypertellurians arriva sul notro tavolo senza un setting che non sia ciò che si può estrarre leggendo fra le righe del manuale di base. Ora, a due anni dall’uscita, l’editore ha creato un setting – il volume Capes and Cloaks and Cowls and a Park.

Ma così com’è, Hypertellurians è forse un po’ troppo vago, nel suo Ultracosmo, per essere immediatamente giocabile.
D’altra parte, il master avventuroso può semplicemente pescare tre manuali a caso dalla propria collezione ed usarli per creare la prossima fermata nei viaggi dei protagonisti.

DriveThrughRPG offre solo la versione in pdf del manuale base – se volete il cartaceo, dovete ordinarlo dal sito dell’editore – che insieme potrebbe aggiungerci un paio di extra gratis.
È un gioco MOLTO strano, e probabilmente non è per tutti.
Ma è per questo che è divertente.


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Nei meandri del Jianghu

Il Wuxia è una forma di fantasy avventuroso cinese, affine per molti versi al nostro sword & sorcery – a contrapposto al Xianxia, che è più affine (pur facendo tutti i distinguo del caso) al nostro high fantasy.
Il Wuxia si rifà a classici come Il Margine dell’Acqua – il romanzo-fiume anche variamente tradotto come I Briganti o I Briganti della Palude. Il grande Magnus, alias Robert Raviola ne avviò un adattamento a fumetti, purtroppo non riuscendo a completarlo.
Storie di spadaccini errabondi, banditi onorevoli, strambi filosofi taoisti e altra varia umanità, i wuxia, o per lo meno elementi del loro spirito, sono percolati nel mondo del gioco di ruolo fin dall’inclusione del monaco fra le classi giocabili di AD&D.
Nel corso degli anni, vari giochi sono stati pubblicati che si proponevano di rendere giocabile questo sottogenere.
Da una parte, i giochi metacinematografici come Feng Shui e Hong Kong Action Cinema, dall’altra tutta una serie di giochi ambientati in mondi più o meno cinesi, e più o meno fantasy.
Recentemente, il vecchio classico Weapons of the Gods (che rubava a piene mani anche dai fumetti coreani) si è tramutato in Legends of the Wulin, entrando in competizione con Hearts of the Wulin, che tratta più o meno gli stessi temi, ma gira con un altro sistema.
I cultori del sistema Fate possono dare un’occhiata a Tianxia: Blood, Silk & Jade, ma il vero cultore del wuxia ludico rivolgerà piuttosto il proprio sguardo verso Righteous Blood, Ruthless Blades, forse il più completo ed il più “cinese” dei giochi wuxia attualmente sul mercato.

Scritto da Brendan Davis e Jeremi Bai, quest’ultimo un esperto del genere, e traduttore dal cinese, e pubblicato da Osprey Games, Righteous Blood, Ruthless Blades (d’ora in avanti, RBRB) si presenta come un bel rilegato rigido indistruttibile di 268 pagine, stampato su carta patinata in formato ridotto (come tutti i giochi della Osprey), e con illustrazioni a colori.

Come tutti i giochi della Osprey, RBRB presenta un set di regole molto semplice – basato su dice pool di D10 – e ampiamente hackerabile ed espandibile. Un semplice sistema di risoluzione dei test, un enorme campionario di potenziali personaggi, un ancora più vasto catalogo di armi e oggetti ispirati alla tradizione del genere.

La campana di bronzo della distruzione? C’è.
L’arco dei diecimila li? C’è.
La scacchiera della morte? Ovviamente, c’è.

Con la sua struttura quasi da enciclopedia del genere, RBRB è unastrana bestia, con un sistema che si impara in un amen, ma che richiede la lettura completa del manuale e almeno una serata per mettere insieme i personaggi.

Ma davvero, volete giocare unp spadaccino alcoolizato con un braccio solo, legato da una relazione antagonistica con una bellissima cortigiana capace di spezzare le ossa dei suoi nemici suonando un liuto? Questo è il gioco che fa per voi.

E onestamente, chi non vorrebbe giocare personaggi del genere?

Ma forse l’elemento più interessante dell’intero volume è l’ampio spazio dedicato al Jianghu, che è poi proprio quel Margine dell’Acqua di cui di cui si parlava all’inizio – quello spazio liminale dove l’autorità imperiale non arriva, un non-luogo fatto di campagne aperte, locande, mercati, villaggi sperduti e palazzi abbandonati, case da gioco galleggianti e monasteri isolati, dove si muovono personaggi insoliti e dove le motivazioni si fanno sfumate.
Davis e Bai mettono bene in chiaro a pagina uno che questo non è un gioco storico, e che i principali riferimenti sono al cinema di Hong Kong degli anni ’60-2000, e la letteratura wuxia che da qualche tempo sta cominciando ad arrivare anche da noi. Sono però anche ossessivi nel voler fornire ai giocatori quanto più materialepossibile per poter giocare un wuxia quanto più autentico possibile.

Righteous Blood, Ruthless Blades è un ottimo gioco, che richiede impegno ma lo ripaga ampiamente.
È un bel libro, ha un prezzo in fondo ragionevole, ed include una lunghissima lista di film e libri consigliati e persino un “corso intensivo di wuxia”. E sul sito dell’editore sono disponibili espansioni varie (ad esempio un capitolo extra su come dare un nome autentico ai propri personaggi).

Non possiamo davvero chiedere di meglio.


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Storie Peculiari

C’è una sorta di vago senso di disperazione enl continuare ad acquistare e leggere manuali di giochi di ruolo avendo superato la boa dei 55 anni, e nel bel mezzo del 2022.
Giocare, da quando mi sono trasferito fra le colline dell’Astigianistan è molto difficile – ma le pestilenze degli ultimi anni hanno favorito lo sviluppo del gioco online, che già andava abbastanza forte prima.
Perciò sto giocando una campagna con D&D 5 – come giocatore – tramite Roll20 e Discord, e ho una mia squadra occasionale che gioca via chat room quando c’è un quorum disponibile.

Ma continuare a comprare e leggere manuali?
Che senso ha?
Ho gli scaffali – reali e digitali – che si piegano sotto al peso di giochi che non giocherò mai.

Un esempio perfetto: Peculiar Tales, gioco indipendente creato e illustrato da Frank Perrin, che negli ultimi due giorni ho letto con crescente interesse e la consapevolezza che sarà molto molto difficile giocarlo nel futuro prossimo.
Purtroppo.

Peculiar Tales è un gioco che mette assieme un paio di idee molto divertenti, un sistema di gioco che si adatta perfettamente al genere, e un setting appena abbozzato in una cinquantina di pagine che sarebbe molto bello esplorare.

Cominciamo dal setting: il mondo di Peculiar Tales è più o meno il vostro solito mondo fantasy – ci sono gli elfi, gli esseri umani e gli orchi, ci sono due continenti costellati di città-stato separate da giungle e terre selvagge. Nelle terre selvagge si annidano i resti di antiche civiltà perdute, con tutto il solito corollario di mostri, maledizioni, artefatti meravigliosi eccetera. La magia esiste.
MA…
In questo mondo c’è anche una quarta specie, i goblin, che sono, letteralmente, ometti verdi venuti dallo spazio. Le loro navi sono atterrate/naufragate sul pianeta alcune generazioni or sono e i perpetuamente ridanciani passeggeri si sono più o meno perfettamente integrati nella società. Portandosi dietro la loro superscienza e le tecnologie che ne derivano.

Peculiar Tales si svolge in una variante quasi dieselpunk negli anni ruggenti di un mondo fantasy, con automobili, locali notturni, gangster, scienziati pazzi, signori della guerra, e pigmei zombie cannibali.
È un concetto così semplice che è sorprendente che nessuno ci avesse pensato prima.
Beh, OK, c’erano un paio di giochi nei primi anni ’90 che avevano provato ad andare in questa direzione, come Blood Shadows per il sistema Masterbook (che era stato un flop colossale); e in effetti forse addirittura Eberron pareva intenzionato ad andare in quella direzione.

Ma Peculiar Tales lo fa bene, con delle meccaniche diverse dal solito – i giocatori essenzialmente si giocano a poker le azioni e i risultati – e lo fa in poco più di cento pagine, per meno di otto euro in formato digitale (anche se sto facendo seriamente un pensiero sulla versione rilegata rigida, perché si tratta davvero di un bel libriccino).

Le meccaniche, basate sulle carte da gioco, sono ciò che rende il gioco diverso dal solito, ma anche difficilmente giocabile online, ed è un peccato.

Certo, il concept si può esportare molto facilmente – le cinquanta e rotte pagine di setting possono essere innestate su Savage Worlds (che pare fatto apposta per questo genere di cose, magari con i vecchi manuali Pulp per buona misura). E davvero, a quel punto perché non usare Eberron per espandere il setting? Sarebbe divertente.

Che poi è il motivo per cui alla veneranda età di undici lustri si continuano a comprare e leggere manuali – perché è comunque una fonte di divertimento, e di idee.