strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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È colpa del dissesto

Un paio di giorni or sono ho ricevuto un messaggio da un contatto in Giappone, che era preoccupato per la mia salute. Aveva visto in TV la notizia di inondazioni in Italia, e voleva assicurarsi che io stessi bene.
È stato così che ho scoperto cosa era successo a Faenza – con 250 mm di pioggia scaricati in trentasei ore, la quantrità di pioggia di solito riversata in quell’area durante l’intero periodo primaverile.

Si tratta dei famosi “fenomeni climatici estremi”, la cui frequenza – stando agli studi sul clima – si sarebbe intensificata con l’aggravarsi della crisi climatica.

Una volta rassicurati i miei amici, un rapido giro sul web mi ha motrato immagini del disastro.
E poi, uno sconosciuto, condividendo le foto delle strade di Faenza allagate, osserva che certi eventi si faranno sempre più frequenti e più disastrosi fintanto che continueremo a bruciare barili di petrolio.

Un’affermazione sostanzialmente corretta – nessuno, a meno che non sia pagato dalla Sette Sorelle, dubita ormai del fatto che le attività umane legate alla combustione di idrocarburi siano legate al cambiamento climatico.
Più CO2 liberiamo nell’atmosfera, più l’equilibrio del nostro clima verrà compromesso, e assisteremo semmpre più spesso ad eventi come quello avvenuto a Faenza.
Assisteremo, se saremo fortunati.
È più probabile che non saremo semplici spettatori, ma protagonisti.

E tuttavia, sotto alle foto di quello sconosciuto, ecco che si susseguono gli insulti.

Cosa c’entra tutto questo col petrolio?
Sono solo fregnacce.
La colpa è del dissesto idrogeologico!

Ora, questo è stupido.
Il dissesto idrogeologico non è una causa, ma un effetto.
Il dissesto, che si puiò esprimere sotto forma di frane, crolli, inondazioni, è il prodotto di una serie di cause.
Incuria e mancata manutenzione?
Possibile.
Ma senza quei duecento e cinquanta millimetri di pioggia in trentasei ore, non sarebbe successo nulla.

E tuttavia, la propaganda ha funzionato talmente bene, che basta dire “crisi climatica” o “combustibili fossili” per scatenare la furia del pubblico.
Come è possibile?

Da una parte, certamente, c’è la reazione istintiva e “di pancia” che porta ad infuriarsi quando ci si senter dire che abbiamo sbagliato. Ce l’ha insegnato la scuola, che sentirsi dire “hai sbagliato” è come essere accusati di un crimine.
Dall’altra, c’è che è passata con successo questa idea che l’interò corpo di indagini e risultati relativi alla crisi climatica siano una colossale truffa, ordita dagli scienziati malvagi per ingannare i bravi ed onesti cittadini.

Ed ecco fatto – non solo vi stanno mentendo, ma vi rinfacciano anche di aver sbagliato.
E via con gli insulti.

Intanto le case di Faenza sono a mollo, e stando alle previsioni del meteo, qui dove sono seduto ci aspettano cinque giorni di pioggia.

Il che è forse rassicurante – perché ciò che rende questi eventi pericolosi è come concentrano precipitazioni catastrofiche in tempi molto brevi.
Cinque giorni di pioggia possono essere assorbiti dal sistema più facilmente della stessa quantità d’acqua riversata in sole trentasei ore.

E intanto, non è curioso che anche coloro che negano i risultati delle ricerche sul clima, si fidino normalmente delle app per le previsioni meteo?


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#StoryADayMay 2023

Ho accennato in un post precedente al senso di panico che si prova, completato un lavoro e spedito il manoscritto all’editore, all’idea che non si presentino altre opportunità, che il lavoro appena consegnato sia l’ultimo che riusciremo a vendere, e che la miseria e la disperazione siano in arrivo, appena oltre l’orizzonte.

Una paura legata al fatto che vivere scrivendo èp una miscela di duro lavoro (però divertente) e di fortuna – e nel panorama corrente i segnali sono spesso sconfortanti.

È anche per lasciarmi alle spalle questa angoscia strisciante che anche quest’anno prenderò parte allo #StoryADayMay, una iniziativa in cui i partecipanti si impegnano a scrivere e finire una storia al giorno, per tutta la durata del mese di maggio.

Come ho spiegato altrove, è gratis, è una eccellente opportunità per provare generi, temi e stili diversi dal solito, e mi permette di rifornire il mio serbatoio di racconti da spedire in giro e provare a vendere.
E sì, tiene a bada la paura.

È possibile per i partecipanti definire le proprie regole di campo, e nel mio caso, ho deciso che

a . per “storia” intendo sia narrativa che articoli

b . i post sui miei blog non contano come storie

c . le flash fiction sono accettabili

d . mi impegnerò a scrivere almeno 5 storie alla settimana (insomma, mi tengo i weekend liberi) pur mirando a scrivere e finire 31 storie.

E questo è quanto.
Stiamo a vedere cosa succede.


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La settimana scema

Siamo nella settimana scema fra il weekend lungo del Venticinque Aprile ed il weekend lungo del Primo Maggio, una settimana durante la quale la campagna, passata nel giro di una notte da temperature invernali a un solido 24° tardo-primaverile, è ancora più solitaria e desolata del solito.
Non passa neanche il postino.
Qui nella mia catapecchia, la settimana scema è cominciata con il decesso, in simultanea, di entrambi i forni a microonde – un fatto che ha del sorprendente, ed ha reso momentaneamente inutilizzabili metà delle provviste che abbiamo in forno.

E sì, oddio oddio, sei uno di quelli che usano il microonde, che vergogna, ora mi dirai che spezzi gli spaghetti prima di metterli in pentola…

Finire un romanzo – credo di averne già accennato – mi lascia sempre esausto, e con la pazienza nei confronti del genere umano ridotta ai minimi termini.
A differenza degli scrittori della televisione, chessò, Jessica Fletcher o Richard Castle, alla consegna del manoscritto, l’editor non mi regala una crociera intorno al mondo o una vacanza in località esotiche, né organizza vernissage o photoshoot con fotomodelle dalle gambe lunghe, ma si limita a mandare in pagamento la seconda rata del mio anticipo.
Ed io, invece di risolvere crimini ed essere straordinariamente ironico, metto giù qualche idea per future storie, e cerco riviste su cui piazzarle, e faccio tutto il possibile per tenere a bada l’angoscia esistenziale.

Compenso tuttavia la mancanza di esotismo e crociere (e modelle dalle gambe lunghe) con un giro in libreria – reale o virtuale – e un paio di libri che, già lo so, non avrò tempo di leggere.
Non a breve, non spiaggiato su un divano bevendo un té freddo.
Ma chissà – è la settimana scema, e non è che ci sia granché altro da fare.

La settimana scema significa anche che l’output delle persone normali sui social è ridotto al minimo, e gli algoritmi ci riversano quindi addosso le opinioni non richieste della sorta di persone con le quali non lascereste un bambino incustodito, o un gatto. O un cinghiale.
Sempre sul pezzo, sempre on brand, sempre “orà dirò qualcosa di impopolare…”/”no, ma mi hai frainteso!”, sempre con un glaciale sorriso a novantasei denti che per quanto si sforzino, non arriva agli occhi.
“Dietro gli occhi non c’è nulla,” per citare Christian Bale.
E perché sprecare tempo coi social, quindi? Meglio leggere.

Ed in effetti ho messo le mani su un paio di libri interessanti (OK, cinque… non più di sette, davvero), a questo ultimo giro – il genere di libri che non solo sarà divertente leggere, ma di cui sarebbe bello parlare, anche se non sono usciti tutti la settimana passata, anche se non ne ho ricevuta copia staffetta dall’editore (nota: le staffette non si fermano più qui).
Libri di cui sarebbe bello parlare perché sarebbe bello parlarne, non per una malriposta forma di FOMO – fear of missing out, paura di arrivare in ritardo.

Ciò che manca è il tempo, potrei mentire – ma invero il tempo lo si trova.
Non solo per leggere, ma anche per parlare di ciò che si è letto.
Ciò che manca è la voglia.

Ma chissà – è la settimana scema, e non è che ci sia granché altro da fare.


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Il giorno del geologo

Oggi avrei avuto un sacco di cose da fare – sto lavorando all’editing di Dreams of Fire, e ho una scadenza abbastanza corta.
Però poi ho scoperto che oggi è la Giornata Mondiale dei Geologi, e mi sono detto, che diamine, finalmente qualcosa di positivo per tutti quegli anni spesi in università.

E perciò mi sono preso la giornata libera.
Dovrò lavorare di più nei proissimi giorni, ma davvero, oggi è la mia festa, nonostante tutto.


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Giornata internazionale degli scrittori

Ieri era la giornata del libro, oggi è la giornata degli scrittori – e con tutte queste feste, finiremo che qui non lavora più nessuno.

La giornata internazionale degli scrittori (International Writers’ Day) si celebra dal 1986, su iniziativa del PEN Club – una organizzazione fondata a Londra nel 1921 che riunisce Poeti, Saggisti e Romanzieri (Poets, Essayists and Novelists … P.E.N.) ma aperta anche ad editor e sceneggiatori e autori teatrali.

La giornata internazionale degli scrittori dovrebbe essere l’occasione per celebrare chi scrive – ed il modo migliore per farlo potrebbe essere acquistare un libro – cosa che ho fatto, andando nella bottega del signor Bezos e comprandomi per 99 centesimi croccanti una copia in digitale di The Big Book of Science Fiction, dei coniugi VanderMeer, mille e trecento pagine di storie di fantascienza dalle origini ai giorni nostri.
Un modo perfetto per celebrare una quantità di autori ai quali devo moltissimo.


Il resto di questa giornata dedicata agli scrittori questo specifico scrittore l’ha dedicata a revisionare e riorganizzare le prime 70.000 parole di Dreams of Fire, che entro dieci giorni deve arrivare sulla scrivania dell’editor.
Ho spostato un paio di cose, compattato i capitoli, segnato le parti mancanti.
Ho scritto un paio di pagine (ne mancano ancora una cinquantina), e ho evidenziato quali siano i problemi da risolvere. Annotando magari come risolverli.
Una parte della scrittura – questa delle revisioni strutturali in fase di completamento – che di solito non viene discussa, che non finisce nelle fotografie scattate per pasturare un pubblico che è tragicamente molto più interesato alle foto dellì’autore che non ai suoi libri.

Leggo in giro di autori che celebrano la chiusura del loro manoscritto con vini pregiati e cene di lusso, in compagnia di persone bellissime.
Io credo celebrerò la chiusura di questo romanzo – che è stato finora un gran divertimento – con due giorni filati di sonno, una vaschetta di gelato e probabilmente un paio di pagine di appunti per i prossimi lavori.
Non credo verranno pubblicate fotografie delle celebrazioni.

Ma chissà, magari ne parliamo, fra qualche giorno.


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La giornata mondiale del libro

È la giornata mondiale del libro, Il World Book Day 2023.
E per essere in tema, ho passato parte della giornata a scrivere il mio nuovo romanzo, Dreams of Fire (la scadenza si avvicina, 10 giorni per scrivere le ultime 10.000 parole), ed ora passerò il resto della giornata a leggere.
Ma prima, facciamo un post.

Al momento, come mio solito, ho tre libri aperti (quattro, se consideriamo anche quello che sto scrivendo, ma di quello parliamo magari un’altra volta).

Per puro diporto, e per staccare il cervello dal lavoro di scrittura, sto leggendo Revelation Space, di Alastair Reynolds – romanzo che avevo cominciato due volte in passato, ma che questa volta pare stia finalmente cominciando a girare.
Reynolds è uno dei pilastri della nuova space opera anglosassone (che forse ormai così nuova non è più, perché Revelation Space ha ormai ventitré anni), e lavora con grosse idee e spazi vastissimi, e personaggi che essendo perdutiin questa vastità, sono spesso piuttosto piatti.
Ma questo è uno dei primi romanzi dell’autore, per cui concediamogli il tempo per migliorare le proprie caratterizzazioni (House of Suns, letto l’anno passato, ed uscito otto anni dopo questo, era certamente meno arido)
Reynolds non è il mio autore preferito, ma ho qui tutta la serie principale – Revelation Space, Redemption Ark, Absolution Gap, e il recente Inhibitor Phase. L’idea è quella di leggersela tutta nel corso del 2023.
Ci sono poi una duologia e uno stand-alone ambientati nello stesso universa, ma andiamo con calma.

Per leggermi la serie di Revelation Space ho ripristinato l’e-reader, che languiva con la batteria scarica da un annetto – stiamo parlando di quattro volumi da oltre cinquecento pagine l’uno, e con l’e-reader è molto più comodo.


Il secondo libro che ho aperto è un bel volume rilegato rigido, acquistato di seconda mano per un paio di euro – Thunder and Lightning, di Natalie Goldberg.
Della Goldberg credo di aver già parlato, abbondantemente, in quanto autrice di alcuni dei migliori libri sulla scrittura chemi sia capitato di leggere. Mentre i volumi precedenti (a cominciare dal classico Writing Down the Bones, che in italiano si intitola Scrivere Zen) si focalizzavano sulla filosofia e l’atteggiamento mentale della scrittura, sulla scrittura come pratica dimeditazione, Thunder and Lightning si concentra invece sugli aspetti tecnici – che spesso si riducono a “adesso che l’ho cominciato, come lo finisco?”

Non si tratta di un manuale – non è un testo prescrittivo, ma descrittivo: ci racconta come una persona nello specifico (Natalie Goldberg) abbia affrontato ed affronti certi specifici aspetti pratici della scrittura.
Non ci dice che questa è l’unica via, non ci insulta se facciamo diversamente, non cerca di venderci un corso.

È bene così.


E poi c’è un libro che sto sfogliando – e che ho in programma di leggere con più attenzione appena arriverà la bella stagione – sullo smartphone, per il semplice fatto che si tratta di un ebook, ma è un ebook illustrato a colori, per cui il mio vecchio Kindle a carbone non va bene.

Si tratta di Draw your World, di Samantha Dion Baker, ed è un manuale di disegno – e tutti sanno che io sono artisticamente impedito. L’idea in questo caso è di unire il disegno alla diaristica, e illustrare per immagini il mondo che ci circonda.
Ciò che mi interessa in particolare è l’idea di imparare a fare disegni a matita a partire dal vero – e questo è un manuale piuttosto quotato, in quel campo.
E a chi cerco di raccontarla – non lo farò mai, perché sono troppo sedentario e sì, perché sono artisticamente impedito. Ma scrivere, come disegnare, significa anche vedere – e quindi potrebbe esserci qualcosa di interessante da imparare, in queste pagine.

E in fondo l’idea della giornata mondiale del libro è anche quella – leggere per divertirsi, magari per imparare qualcosa, senza l’ansia della produttività, senza la pressione di dover per forza trasformare ciò che impariamo in “contenuto”.

Prendiamoci un po’ di tempo per esplorare.
Male non ci farà.

Ah, e non vi ho messo i link commerciali – comprate i libri che vi pare. O cercateli in biblioteca. O andate su Internet Archive o sul Progetto Gutenberg.
Divertitevi.


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L’ultimo (libro) dell’anno

la cosa è partita da una discussione, qualche giorno addietro, col mio amico Germano, riguardo a Bruce Lee ed al Jeet Kune Do.
Le conseguenze di questa discussione emergeranno, probabilmente, con l’anno che viene, ma per intanto io mi sono fatto un giro sul catalogo della Shambhala Press, e saltando da una categoria all’altra, mi sono ordinato, per tre euri croccanti, una copia “usata ma in buone condizioni” di Writing Down the Bones, di Natalie Goldberg.

Il libro della Goldberg lo lessi, nell’edizione italiana pubblicata da Ubaldini (la memoria mi dice Astrolabio, ma Google mi dice Ubaldini), ai tempi dell’università, e rimane probabilmente il librosulal scrittura che è più probabile che io consigli se mi viene chiesta un’opinione a riguardo.
L’ho riletto spesso, in questi anni, e mi pareva una buona idea, ora, quasi trent’anni dopo la prima volta, ridargli un’occhiata in originale.
E poiché io i libri sullo zen li compro sempre e solo di seconda mano, ecco la mia copia “usata ma in buone condizioni”.
Questo significa, purtroppo o per fortuna, a seconda di come la volete vedere, che non mi sono potuto procurare l’edizione dle 30° anniversario, ma una copia vetusta della prima edizione.

Nel caso specifico, “usato ma in buone condizioni” significa con la copertina decisamente malandata, con pieghe e sfregi diversi. Le pagine sono ingiallite, piegate e macchiate dall’umidità – la copia è una prima edizione del 1986, ed ha visto un bel po’ d’azione in questi trentasei anni.
Ad una prima occhiata non pare ci siano annotazioni a margine – un peccato, per molti versi.

Writing Down the Bones, che in italiano si intitola Scrivere Zen, è un libro sulla pratica della scrittura come pratica di meditazione, e mira a rimuovere le barriere che eisstono fra la nostra mente e lapagina bianca.
Non perde tempo con lo show-don’t-tell e l’infodump, non tira in ballo Aristotele o Jacques Cousteau, ma si focalizza sull’idea di scrittura come esperienza e come pratica. Sottolinea non solo gli aspetti intellettuali ma anche quelli fisici, dell’atto della scrittura.
È disordinato e sorprendente, perché è stato scritto seguendo i precetti che va ad illustrare.
Ha una voce unica, e delle idee molto interessanti.
Pone una grande enfasi sulla scrittura a mano, con la penna ed il quaderno.
La mano non deve mai fermarsi è uno dei precetti centrali del libro.
Ed è un libro che parla davvero di filosofia zen, a differenza di quell’altro, che c’ha lo zen nel titolo ma non c’entra assolutamente nulla.

Focalizzato com’è sull’atto di scrivere, Writing Down the Bones non fa riferimento a generi, stili, scuole. È adatto allo stesso modo per chi scrive racconti o romanzi, saggi o articoli, per chi vuol semplicemente tenere un diario o scrivere poesie.
È ridotto all’osso, non promette successi commerciali, fama, fortuna e gloria.
Scrivete quello che vi pare, vi dice, e come vi pare. L’importante è continuare a scrivere.
È praticamente perfetto.

È, a modo suo, il primo volume di una trilogia – che comprende anche Wild Mind e The True Secret of Writing … altri due libri usatissimi, qui sul mio scaffale. Mi manca Thunder and Lightning, che scopro esistere solo ora, scrivendo questo post.
Presto, spero… magari come primo libro dell’anno.

È l’ultimo libro del 2022, e paserò qualche ora a rileggerlo, mentre aspetto la mezzanotte.
Poi, magari, nel 2023, parleremo di Jeet Kune Do.
O forse no.

E sì, ci sono link commerciali in questo post, coi proventi dei quali acquisterò, probabilmente, altri libri di seconda mano sulla filosofia zen – o magari sul Jeet Kune Do.


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Tre riviste

La regola è sempre stata una sola – se volete sapere dove sta andando un genere, dovete leggere la narrativa breve.
La narrativa breve è sempre stata il posto in cui vengono messe alla prova le nuove idee, e dove i nuovi scrittori muovono i loro primi passi, e i vecchi scrittori possono fare qualcosa di diverso.
E, nelle riviste moderne, si trova di solito un mix di narrativa, saggistica e recensioni – si vede cosa sta succedendo di nuovo, si sente cosa si dice a riguardo, si scoprono nuovi modi per (sigh) spendere altri soldi.

Complice un bundle di beneficenza e un buono di Amazon (il primo da che strategie è stato bloccato e i link commerciali hanno perso trazione), nell’ultimo mese ho fatto un carico piuttosto interessante di riviste di sword & sorcery e di narrativa pulp – generi che stanno vivendo una sorta di rinascimento.
E a me piace la sword & sorcery, così come mi piacciono i pulp.
Quelle che seguono sono note assolutamente superficiali sul bottino portato a casa.
Neanche a farlo apposta sono tre produzioni americane – il che mi dice che dovrò fare un secondo post per parlare di titoli britannici.
Ma per ora, cominciamo con questi…

1 . Tales from the Magician’s Skull

Questa è probabilmente LA moderna rivista di sword & sorcery per antonomasia – prodotta da Goodman Games (un editore di giochi) e diretta da Howard Andrew Jones, eccellente autore di s&s e curatore dell’edizione in otto volumi della narrativa breve di Harold Lamb pubblicata dall’Università del Nebraska.
La rivista venne finanziata, nel 2017, da un Kickstarter di un certo successo, e al momento si prepara a uscire col suo ottavo numero. Non quindi una rivista ad elevata cadenza di pubblicazione.
I punti di interesse sono certamente i racconti dei contributors abituali Howard Andrew Jones, James Enge e John C. Hocking – tre autori con stili molto diversi e un ampo e interessante catalogo.
La rivista si concentra prevalentemente sulla narrativa, con forse un 10% delle circa 100 pagine dedicate ad aricoli – spesso orientati al mondo del gioco di ruolo.

Layout e grafica ricordano cose come Dragon Magazine o White Dwarf (prima dell’abbuffata di miniature) o – indubbiamente – le vecchie riviste pulp, e tutti i racconti sono illustrati.
la qualità delle storie è molto buona, l’impostazione molto tradizionale.

La rivista è pensata per essere fruita in cartaceo (ogni numero include un elenco dei rivenditori dove è possibnile acquistarla, in giro per il mondo), ma è anche disponibile in pdf – ed in effetti, grazie a un recente Bundle of Holding, per poco più del prezzo di un Urania mi sono accaparrato la “Starter Collection” – i primi sette numeri, più due numeri speciali a suo tempo arrivati solo ai supporter su Kickstarter, in versione digitale.

Magician’s Skull è una rivista che studierò da vicino durante le vacanze – perché pubblicare con loro nel 2023 è uno dei miei buoni propositi per l’anno nuovo. Posterò delle recensioni numero per numero sul mio blog in inglese mentre faccio i compiti.

2 . The New Edge

The New Edge è l’ultima arrivata sulla scena per ciò che riguarda la sword & sorcery – ed al momento esiste solo un Numero Zero, disponibile su amazon per poco più di 4 euro, o scaricabile gratis in PDF o EPUB dal sito dell’editore.

In questo caso il mix è molto più equilibrato – 50/50 fra narrativa e saggistica – e la rivista può vantare una nuova stroria di Dariel Quiogue, un autore eccellente di sword & sorcery di taglio orientale, alla maniera di autori come Lamb o Howard. Sul fronte della saggistica abbiamo un pezzo sullo stato del genere del solito Howard Andrew Jones, e un interessante articolo su C.L. Moore e Jirel di Joiry, di Cora Buhlert.
La rivista viaggia sulle ottanta pagine ed è ampiamente illustrata, ma soprattutto è impaginata su tre colonne, come un vecchio giornale, e contiene quindi l’equivalente di quasi 200 pagine di testo.

Avrà un futuro, The New Edge?
In un mondo che volesse premiare la qualità, non ci sarebbero dubbi – ma allo stato attuale il destino della rivista è in forse – motivo per il quale vi metto il link commerciale: voglio che venda un sacco di copie per arrivare alla pubblicazione regolare.
Merita di avere una lunga vita.

3 . Thrilling Adventure Yarns

Questa è una “falsa rivista”, nel senso che si configura come antologia mono-volume con cadenza attuale. Il volume del 2021 è l’ultima uscita, e come si può facilmente intuire dal titolo, Thrilling Adventure Yarns si ispira ai vecchi pulp, nel formato, nel layout, e nei contenuti – che vengono suddivisi per categorie – Avventura, Sword & Sorcery, Fantascienza, Terrore, Romance, Western… ci sono almeno un paio di racconti per ciascuna sotto-categoria.

A meno di quattro euro in cartaceo per oltre 370 pagine e 27 storie, Thrilling Adventure Yarns 2021 (sì, questo è un link commerciale – sapete come funziona) è il classico acquisto obbligato – il fatto che includa lavori di nomi storici come Jody Linn Nye, Jonathan Maberry e David Mack (più un inedito del creatore di Doc Savage!) lo rende un’eccellente aggiunta allo scaffale della narrativa popolare.
È anche il regalo perfetto per controbilanciare i soliti titoli Adelphi che regalate per darvi un tono.

Ci saranno altri numeri?
Ancora una volta possiamo solo sperarlo – di sicuro si tratta di un eccellente termometro della vitalità della narrativa popolare di oltre oceano.

E tutto questo significa – per me – un sacco di roba da leggere per le vacanze.
Ma d’altra parte, fuori nevica, e dopo otto ore passate a scrivere, ci si può rilassare con una rivista e una tazza di té bollente.