Robert Louis Stevenson ha mentito – ha modificato i fatti.
Aveva i suoi buoni motivi, certo, tuttavia…
L’Isola del Tesoro non si svolge nella seconda metà del 18° secolo ma – come si può facilmente dedurre da inconsistenze interne – nei primi anni del 19° secolo.
Poi, certo, i pirati, il tesoro, l’isola… tutto il resto è grossomodo in linea con gli eventi reali.
Ma ora è il 1820, e Jim Hawkins ha perduto tutto ciò che aveva ricavato dalla sua giovanile avventura in seguito ad un pessimo investimento.
Cosa può fare un giovane che ha come uniche esperienze in curriculum la ricerca di tesori e la gestione di una locanda, e come soli amici pirati e avventurieri?
Molto semplice – può riciclarsi come cacciatore di tesori.
Col rischio, ovviamente, di farsi dei nemici potenti.
Spie, cospirazioni, assassini, il mitico tesoro del Prete Gianni, il Duca di Wellington…
È il 1820, e l’avventura ha un nome – James Hawkins.
E che sia messo agli atti, che Art Mayo, autore ed editore residente in Sussex, è appena entrato nella lista dei miei eroi personali.
Non solo attraverso la sua casa editrice sta rimettendo in circolazione dei classici dell’avventura in edizioni sontuosissime, ma il suo Treasure, Inc., il sequel pulp de L’Isola del Tesoro, è una lettura straordinariamente soddisfacente.
Le giravolte concettuali necessarie per trasformare Jim Hawkins in un Indiana Jones del 19° secolo vengono sbrigate in pochi minuti – una breve prefazione, e un sacco di facciatosta.
Poi, dopo un prologo ambientato nel 1177, la narrazione parte a passo di carica, e arriviamo in fondo al secondo capitolo per assistere all’esplosione della Rocket di Stephenson, nella conclusione pirotecnica (è il caso di dirlo) di un lungo e ingarbugliato inseguimento.
Il primo di molti.
Da qui in avanti le cose si faranno complicate.
Il romanzo – distribuito in formato elettronico tramite Amazon per circa tre euro – è garantito per causare incubi e deliri a tutti coloro che si sono lasciati ingannare dalle ferree regole della narrativa.
L’autore non si affanna ad emulare il linguaggio o lo stile di Stevenson, e si butta piuttosto in una narrativa spigliata, moderna, virata all’avventura ed all’azione sopra le righe.
L’anacronismo regna sovrano, il narratore onniscente ci strizza continuamente l’occhio, il tono è lieve e l’azione frenetica.
Ci sono momenti nei quali Mayo è forse appena troppo ironico, si tuazioni che ci fanno sussurrare “ma no, dai!”, ma ci stanno, e non siamo qui per ricevere lezioni di stile, ma per goderci un’avventura “alla vecchia maniera” – e non possiamo lamentarci.
Questa è avventura.
E poi, stile…
Il romanzo ha stile – semplicemente non quello che insegnano nei manuali.
Piuttosto quello che ci si costruisce leggendo romanzi, e scrivendo.
Molto buono, estremamente divertente, e speriamo il primo di una lunga serie.
Non è vero che non li fanno più così.
44.800928
8.410531