È un amaro pork chop express, quello di stanotte.
Tutto comincia da un post sul blog di M. John Harrison, che porta al blog Africa is a Country, ed al post Is Africa Ready for Science Fiction?, che a sua vlta prende le mosse dal blog della scrittrice Nnedi Okorafor.
Il succo della faccenda – lentamente ma inesorabilmente il mercato della fantascienza in Africa si sta espandendo.
Un gruppo di autori in diversi stati africani può già allineare una discreta bibliografia…
Ghanaian author Kojo Laing has a collection of short stories and a novels respectively titled, Big Bishop Roko and the Alter Gangsters and Woman of the Aeroplanes. Congolese author Emmanuel Boundzeki Dongala has a short story called “Jazz and Palm Wine” (the anthology it appears in is also called Jazz and Palm Wine). In South Africa, science fiction is really percolating; The South African literary journal, Chimurenga, recently had an African science fiction themed issue.
… e poi naturalmente c’è la faccenda di District 9 e tutto il resto.
Ribadiamolo per chiarezza – non si tratta semplicemente di un gran numero di cittadini africani che improvvisamente cominciano a comperare ristampe di Clarke o di Asimov, ma della nascita di quella che potremmo definire una scuola africana della fantascienza.
Il che è un buon segno, direi.
Un ottimo segno, se consideriamo che segnali affini mi indicano che qualcosa di simile sta accadendo in Cina, a Taiwan, a Singapore…
Da una parte, come appassionato del genere, sono della ferma convinto che ilsorgere di nuove voci garantisca nuove idee e sano divertimento per tutti.
E poi c’è la questione del futuro.
Scrivere fantascienza significa porsi in posizione critica nei confronti del presente e del futuro che da questo presente potrebbe scaturire (o, in alcuni casi – come con lo steampunk – nei confronti del passato che è stato e del presente che avrebbe potuto essere).
Non significa solo scrivere storielle sceme con gli ometti verdi, ma guardare avanti.
L’uomo non può fare ciò che non riesce ad immaginare – la fantascienza è un segnale positivo.
Esistono naturalmente dei limiti alla crescita della neonata fantascienza africana.
La necessità di adattare certe idee e certe situazioni al pubblico africano – alla sua sensibilità, alla sua cultura…
It’ll be hard to make people afraid of a future where computers take over the world when they can’t manage to keep the computers on their desk running. These are very western stories. On the other hand, classic science fiction, like space exploration stories, would probably work better…assuming it was adapted for the audience.
Interessante il riferimento all’avventura spaziale – che pare vada forte anche in Cina.
E poi c’è un problema che non può che strapparmi un sorriso molto molto amaro.
In the piece Okorafor also notes that one major reason African science fiction won’t grow has to do with what the publishing industry considers “literature.”
Già – il fatto che l’establishment culturale non consideri la fantascienza letteratura seria è il grosso problema, il grosso freno allo sviluppo.
Vi ricorda qualcosa?
Vi ricorda forse un paese dove a tenere accesi i computer non abbiamo problemi, ma dove per la fantascienza (soprattutto la fantascienza scritta) sembra diventare più piccola ogni giorno?
E qui, come una colossale ciliegina di neutronio sulla nostra torta, cala la considerazione di uno dei frequentatori del blog di harrison…
It seems to me that interest in science fiction is a sign of a forward-thinking, imaginative society. If we ever see a large science fiction market in Africa, that may be a sign that Africa has turned a corner, psychologically, since scifi is so often aspirational.
Una società ricca di immaginazione, che ha svoltato l’angolo.
Da quanto tempo è, che non vi sentite più così?
[immagine da morguefile]
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