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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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Inverno a Genova, 1952

Questa sarà una settimana anomala – nel senso che farò un po’ di post per recensire e segnalare un po’ di libri, e si tratterà sempre di libri di persone che conosco.
Di amici.
Amici-amici, non amici di Facebook.

E qualcuno si domanderà, ma quanti amici hai che scrivono?
Tanti.
E proprio di quelli devi parlare?, diranno.

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Oggi è giovedì, e questo è il quarto titolo della settimana.
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Contagio Psichico

Sono le 21.45 dell’8 novembre.
Fuori fa freddo, soffia un vento gelido e Urbino si prepara a festeggiare.
A differenza di gran parte delle altre cittadelle universitarie sparse per il paese, la festa a Urbino comincia la sera del giovedì, non al venerdì – la maggior parte degli studenti sono qui in collegio o in alloggi condivisi, e al venerdì, finite le lezioni, tornano a casa.
Il venerdì sera, Urbino è un mortorio.
La festa è al giovedì.
Ma io non faccio festa, sono barricato nella mia stanzetta in collegio dopo una cena abbastanza frugale, e sconto l’errore più grave della mia vita: l’aver lasciato a casa la radio.
Il silenzio sarebbe già insopportabile di suo, anche senza essere turbato dal mio vicino di stanza -un troglodita rumoroso e insopportabile; ho ascoltato le sue telefonate (una francamente imbarazzante), l’ho sentito cantare sotto la doccia.
Ora tremo in attesa del suo ritorno dalla cena.
La notte, in attesa di un sonno che stenta ad arrivare, si lascia presagire maledettamente lunga.

Mi tiene compagnia, grazie al cielo, La Paziente N. 9, del mio amico Alessandro DeFilippi (che oltretutto legge questo blog, e si becca una quasi-recensione a tradimento).
Il libro è appena uscito per Mondadori, un bel rilegto rigido antiproiettile con una copertina bella inquietante e con appena un accenno di zombie che non c’entra nulla ma immagino venda qualche copia in più.
Che poi, di buoni motivi per comperarlo e leggerlo, La Paziente N. 9, ce ne sono parecchi, anche senza tirare in ballo copertine vagamente ingannevoli.

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Il trionfo barbarico di Alessandro Defilippi

OK, mi accingo a commettere alcuni peccati mortali.
Il fatto è, vedete, che Alessandro Defilippi io lo conosco di persona, e ho il piacere di chiamarlo amico, quindi, facendo un post sul suo ultimo romanzo

a . mi occupo di un autore italiano

b . parlo positivamente del lavoro di un mio amico

c . faccio pubblicità al lavoro di una persona che conosco

Aggiungiamo che il libro lo pubblica Mondadori (alias L’Impero del Male) e che io ne ho ricevuto una copia autografata (e chi segue questo blog conosce anche le vicissitudini postali del volume), ed ecco che sono al di là di ogni redenzione.
E mentre da una parte vedo un’orda di divoletti scarlatti pronti a banchettare con la mia anima nel girone infernale destinato ai marchettari, dall’altra percepisco una lunga coda di blogger integerrimi pronti a firmare la petizione per mandarmici, in quel girone.

Unico gesto per alleggerire il mio carico karmico – non ho informato Alessandro di questo post, e lui se lo troverà sul desktop a sorpresa come tutti gli altri surfisti.

Ma basta sciocchezze, parliamo di Danubio Rosso.

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Da leggere, assolutamente

È bello per una volta poter consigliare la lettura di un autore italiano.
Non capita spesso.
Ed è bello poterlo fare, anche perché era un po’ che non parlavo di libri – ed una vita che non parlavo di libri in italiano.

Ho passato gli ultimi due giorni immerso in Manca sempre una piccola cosa, appena pubblicato da Einaudi, di Alessandro Defilippi.
È stata una lettura impegnativa – non perché si tratti di un testo ostico o complicato, o difficile – quanto per la capacità di Defilippi di venirti a prendere, tirati fuori dalla tua corazza ed esporti ad un condensato di esperienze che, ok, sono lì sulla pagina, ma tu le conosci, e le conosci bene.
Sia chiaro – il protagonista di questa storia non mi è esageratamente simpatico.
Ma fra queste pagine ho ritrovato, trasformati dall’opera del narratore, miai ricordi, mie sensazioni.
C’è mio nonno, fra queste pagine.
E un paio di compagni di università.
E alcune persone conosciute en-passant, nel corso degli anni.
Segno che la mia vita non è poi originale come pensavo.
Segno che Alessandro Defilippi è riuscito a connettersi ad una corrente profonda, ed a trascinare Torino, e tanti dei suoi abitanti, sulla pagina.

E sembra che non faccia neanche fatica a scrivere.
La prosa è economica, le descrizioni dosate con parsimonia.
253 pagine.
Forse cinquant’anni di vita.

Posso solo paragonare questo libro a The Course of the Heart, di M. John Harrison.
Non un paragone che si faccia a cuor leggero, ma non si sfugge…
Oh, parliamo di storie diversissime, ma con tanti punti di contatto – come due rotte difefrenti, tracciate verso destinazioni diverse, ma con tappe nei medesimi porti.
Ed il linguaggio è lo stesso.
Ingannevolmente semplice.

Ho sempre ividiato la prosa di M. John Harrison.
Ora la mia invidia ha un bersaglio più vicino.
Ma ugualmente formidabile.


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Le perdute tracce degli dei

E poi dicono – gli italiani non sanno scrivere del fantastico dignitoso.
Oh, è vero – ci sono colossali pile di ciarpame Made in Italy nelle nostre librerie che suscitano solo vergogna o dileggio.
Ma resta il fatto che gli scrittori di prima classe ci sono, e scrivono romanzi di prima classe; non solo dignitosi, quindi, ma di altissima qualità.
Di quei romanzi che in America stamperebbe Tom Doherty in rilegato rigido con sovracoperta a colori di Michael Whelan – e muoverebbe decine di migliaia di copie, prima di uscire in paperback e muoverne milioni.
Di quelli che avrebbero magari un sontuoso booktrailer – se ne parlava poc’anzi – e un sito internet dedicato.
L’autore si dovrebbe sciroppare un lungo giro delle librerie – pagato dall’editore – a firmare autografi ai fans, e farebbe una mezza dozzina di ospitate televisive.
E Hollywood opzionerebbe il titolo per farne fra due anni un film con Nicholas Cage, riscrivendo praticamente tutto, buttando tutte le parti buone e riducendolo ad una scemata, della quale Elvezio Sciallis potrebbe parlare malissimo sul suo blog.

Le perdute tracce degli deiInvece da noi, l’editore decide di nascondere il volume, o magari di pubblicarlo con un cappello introduttivo fuorviante…

Ambientato in Abissinia nei primi anni della conquista italiana, “Le perdute tracce degli dei” mette in scena non solo il clima della dominazione fascista – la volgarità degli occupanti, la composita, variegata società dei dominatori italiani che popola Addis Abeba, le resistenze della popolazione locale, spesso legate ad antiche tradizioni e a secolari credenze – ma anche il misterioso retroterra culturale e religioso di un paese poco conosciuto che i rozzi dominatori, che giudicano quel retroterra semplicisticamente “barbarie”, non riescono ad afferrare.

[da http://www.libreriauniversitaria.it]
Già – e scritto così parrebbe un buon romanzo storico.
Ed è vero che si tratta anche di un buon romanzo storico.
Scritto da Alessandro Defilippi e pubblicato da Passigli, Le Perdute Tracce degli Dei rappresenta uno dei migliori libri letti quest’anno – ed è un’eccellente dimostrazione del fatto che si può fare del fantastico altamente intelligente senza dover scomodare il Re degli Elfi o sua figlia.
Anzi.
Costruito su un solido impianto investigativo, storicamente ben documentato, narrato con un linguaggio pulito e lineare che non ha bisogno di improbabili equilibrismi per coinvolgere il lettore, Le Perdute Tracce degli Dei (secondo volume in una ipotetica serie dopo il precedente Angeli) mescola avventura, storia, elementi fantascientifici e misticismo.
Non si arrende a facili stereotipi e non si allinea a generi definiti.
Resta al lettore orientarsi e trovare un’etichetta – fantascienza, fantasy, horror…
Qualcuno parlerà di New Italian Epic – ma non io, poiché quell’etichetta mi fa francamente ridere, e non intendo agire da cassa di risonanza per piani di marketing altrui.

E poi, le etichette sono per i deboli.
L’ultimo romanzo di Alessandro Defilippi è narrativa d’immaginazione al suo meglio – del genere che si legge e si prova invidia per l’autore, perché certe idee, espresse in quel certo modo, con quel linguaggio, avremmo voluto averle noi.
E così si cancellano le bozze dei racconti sui quali si stava lavorando e si ricomincia da capo – perché Alessandro Defilippi ha appena alzato l’asta di un paio di tacche, e per essere all’altezza bisognerà dimostrarsi più agili e scattanti di prima.