È qui fra le mie mani avide.
Non è malandato ed eccitante come il volume che prestai il primo anno di università e andò perduto, ma è solido, come un bel mattone con la copertina azzurra, stampato su carta eco-friendly e con un senso di… sostanza.
È reale.
Mi è costata circa dieci euro, contando anche le spese di spedizione.
Un’inezia.
E vale naturalmente ogni maledetto centesimo.
Questa non è una antologia di racconti.
Non è un semplice paperback da viaggio.
Questo è più di un testo sacro.
È più di un breviario.
Questo è un momento nella storia, congelato sulle pagine.
Questo libro ha la mia età.
Questo è Dangerous Visions, di Harlan Ellison.
L’edizione Gollancz nella collana SF Masterworks è la ristampa del 2012 della ristampa del 2002 del volume originale del 1967.
Grande anno, il 1967.
Il fatto che sia la ristampa del volume del trentacinquennale significa che ci troviamo dentro un sacco di apparato metatestuale.
Vediamo…
L’introduzione 2011 di Adam Roberts.
La prefazione 2002 di Michael Moorcock.
L’introduzione 2002 di Harlan Ellison.
DUE (ovviamente) prefazioni 1967 di Isaac Asimov
L’introduzione 1967 di Harlan Ellison…
Ciò che stringete fra le mani è più di un libro. Se saremo fortunati, è una rivoluzione.
E poi 33 racconti.
Trentatré storie originali che Ellison commissionò fornendo una sola linea guida – racconti che nessun editor, nel 1967, avrebbe avuto il coraggio di pubblicare.
Ciascun racconto è preceduto da una introduzione di Ellison e seguito da una postilla dell’autore.
Silverberg, Pohl, Aldiss, Dick, Niven, Leiber, Anderson, Sturgeon, Ballard, Delany, Ellison, Zelazny, Spinrad, Lafferty…
Trentadue autori in tutto (David R. Bunch ha il privilegio di comparire con due storie).
Di queste trentatrè storie, sette hanno vinto il premio Hugo e/o il Nebula.
E altre tredici sono state nominate al premio Hugo e/o al Nebula.
Questa è la crema della fantascienza nel 1967 per autori, temi, forma.
Questa è una rivoluzione, la più storica e colossale mattanza di vacche sacre che mai si fosse verificata nel genere, e l’annuncio che le cose stavano cambiando.
La nota di Fritz Leiber al proprio pluripremiato Gonna Roll the Bones è illuminante…
La Scienza stessa è una battaglia contro quei babau quali il Cancro è Incurabile, il Sesso è Sporco, Spaccarsi la Schiena col Lavoro è il Destino Eterno dell’Uomo, la Gente non può Volare, le Stelle sono Irraggiungibili, l’Uomo non è fatto per Conoscere (o Fare) Questo, Quello e Quell’altro.
Quindi niente tabù.
Nessuna timidezza di fronte ai nostri nemici.
Nessuna preoccupazione che il pubblico possa restare sconvolto, offeso, disorientato.
Senza rete.
Dangerous Visions, al di là del valore dei singoli racconti, è straordinariamente significativo.
È la dimostrazione di quanto possa essere pericoloso un singolo individuo con una intelligenza vivace ed una macchina per scrivere… di più (o di meno, fate voi), quanto sia pericoloso un uomo (o una donna!) capace di esprimersi creativamente.
Lo soppeso qui fra le mie mani, Dangerous Visions, e penso alla cancellazione di Firefly e di Dollhouse, e di Farscape.
Penso alle ore ed ore di rassicuranti sacerdoti investigatori, cani-meraviglia, saltimbanchi e ballerine, e caramellosi melodrammi, ai “reality show” (non c’è una contraddizione in termini, qui da qualche parte?) ed ai bollini colorati per farci sapere se possiamo o non possiamo guardare.
Al linguaggio della vecchia TV dei ragazzi esteso a tutta la programmazione televisiva.
A infinite partite di pallone.
Il dumbing-down come stile di vita.
Penso ai deliri sul crollo della civiltà pronosticato come conseguenza dell’accesso del maggior numero di persone agli strumenti minimi dell’espressione creativa.
Penso alla minaccia del ritorno alla vecchia fantascienza – non ai temi (il vapore, il diesel, i meccanismi ad orologeria) ma al rassicurante formalismo, alla difesa strenua dello status quo.
Penso al fatto che in quarantacinque anni questa antologia è stata tradotta nel nostro paese una sola volta, nel 1991, e fortunato chi ne ha reperita una copia.
Ma ora Dangerous Visions è (di nuovo!) qui nelle mie mani, ed è davvero (finalmente!) una rivoluzione.
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