La revisione de Il Crocevia del Mondo è quasi completa, e il post di oggi riguarda un personaggio che avrei davvero voluto inserire nel volume, ma non c’è modo di farlo – poiché gran parte delle sue attività si svolsero in Manciuria, lontano dai luoghi sui quali il mio volumetto si va ad appuntare.
E allora, parliamone qui, di Yoshiko Kawashima.
Yoshiko Kawashima non si chiamava Yoshiko Kawashima, ma Aisin Gioro Xianyu – era una principessa manciù, quattordicesima figlia di un notabile della corte imperiale di Beijing, ed era anche nota come Gioiello d’Oriente.
Venne adottata a otto anni da un tale che si chiamava Kawashima – un losco figuro, mercenario e spione giapponese che vedeva, nella possibilità di allevare una principessa cinese come una giapponese, una potente arma diplomatica e uno strumento spionistico.
Il condizionamento della giovane al fine di farne una leale e amorale agente imperiale non fu esattamente una scampagnata, e lasciò probabilmente delle cicatrici nella personalità del Gioiello d’Oriente.
Il nonno adottivo la violentò ripetutamente, e successivamente, Yoshiko divenne l’amante del proprio padre adottivo.
Trasferitasi a Tokyo per studiare all’università, divenne un popolare personaggio nel giro di artisti e perditempo della capitale, collezionando una bella infilata di amanti.
A vent’anni, nel 1927, per ordine del padre adottivo/amante, sposò il figlio di un generale mongolo, ma divorziò in capo a due anni, trasferendosi a Shanghai – e trovando probabilmente congeniale l’ambiente selvaggio della Parigi d’Oriente.
Straordinariamente attraente, con una personalità dominante, una figura quasi da dramma cinematografico, mezza maschiaccio e mezza eroina, e con la passione per l’indossare abiti maschili.
A Shanghai divenne l’amante e l’agente di un certo Tanaka, uomo dei servizi giapponesi, e quando questo venen richiamato in patria, Yoshiko rimase sul libro paga del suo successore – che non esitò a sfruttare la sua amicizia con Pu yi, l’Ultimo Imperatore (e con la moglie di costui, piuttosto sensibile alle grazie del Gioiello d’Oriente).
Quando i giapponesi si presero il Manchukuo, e i cinesi si sollevaronoin massa, Yoshiko si pose alla testa di una armata di alcune miglaiia di banditi e tagliagole, e divenne una cacciatrice di guerriglieri per conto dei giapponesi.
La propaganda ne fece una figura alla Giovanna d’Arco, ma sostanzialmente il generale Kawashima era a questo punto un signore (una signora?) della guerra come tanti altri in cina – col suo esercito privato,la tendenza ad estorcere danaro dai mercanti cinesi e una lealtà verso il Sol Levante che forse non era completamente corrisposta.
Il fatto che l’Armata del Kwantung non la volesse fra i piedi fu probabilmente la ragione per cui, nel momento in cui divenne una figura centrale della macchina di propaganda giapponese (programmi radio, articoli, anche racconti sulle riviste pulp), il suo atteggiamento si fece scomodo per l’Impero.
Le venne consigliato di abbassare il proprio profilo e scomparire.
Frattanto, Yoshiko si era trovata un altro amante, Riyoichi Sasakawa, spia e avventuriero, un uomo che, nel ’45, avrebbe accolto con gioia ed entusiasmo il fatto di essere stato etichettato come criminale di guerra di prima classe dagli americani (e dai russi, e dai cinesi), tanto da voler entrare in tribunale con l’accompagnamento della marcia della Marina Imperiale.
Sasakawa, pur travolto dalla passione per il Gioiello d’Oriente, non mancò di descriverla come una oppiomane sessualmente insaziabile, capace di “ripassarsi” una mezza dozzina di amanti – uomini e donne – ogni notte.
Poi, nel 1945, non essendo riuscita a rendersi invisibile (come avrebbe potuto?), Yoshiko Kawashima, il Gioiello d’Oriente, venne arrestata dai servizi segreti cinesi, sommariamente processata, ed eliminata con un colpo alla nuca.
Fucilarla, essendo di famiglia imperiale, sarebbe stato irrispettoso.
Yoshiko Kawashima fu molto popolare – naturalmente – presso gli sceneggiatori cinematografici.
C’è un film su di lei del 1957, compare ne L’Ultimo Imperatore ed è stata portata sullo schermo nel 1990 dalla grande, compianta Anita Mui.
Circolò voce, naturalmente, che fosse sopravvissuta, continuando con la propria vita avventurosa e dissoluta fino al 2006.
Ma era solo una leggenda.
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