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Eroi e banditi – Van Dyke Parks

Van Dyke Parks in  1970 wearing sunglasses and cowboy hatFacciamo uno di quei post che non si fila nessuno.
Avevo detto, tempo addietro, che avremmo dovuto parlare di Van Dyke Parks.
Parliamone – perché è un colosso che conoscono pochissimi, e perché è un musicista e un compositore che racconta delle storie, e come ho detto in passato, a me piacciono i musicisti che raccontano storie.

Proveniente da una famiglia di musicisti, bambino prodigio e attore, Van Dyke Parks si fece le ossa nei primi anni ’60 sulla scena folk californiana, suonando con una quantità di persone diverse, da Bob Dylan a Ry Cooder, passando per Charles Manson (sì, quel Charles Manson).
Fu lui a suggerire a Stephen Stills di chiamare la sua band Buffalo Springfield.
E fu frequentando i locali folk che – secondo una sua recente intervista – il serio musicista Van Dyke Parks si rese conto che la musica pop sarebbe diventata la nuova musica seria – quella che importava alla gente. Continua a leggere


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La città si spegne al tramonto

Post sperimentale – per vedere se Blogilo, il nuovo (più o meno) desktop blogging tool per Ubuntu – possa finalmente liberarmi dal traffico malato di postare su WordPress degli ultimi mesi.

E post dedicato a un disco che ho ascoltato parecchio, negli ultimi giorni – probabilmente perché ben si adatta allo stato attuale del posto in cui mi trovo.

Orange Crate Art è un disco terribilmente tranquillo, inciso nel 1995 da Brian Wilson e Van Dyke Parks.
Di Parks ho sempre amato Tokyo Rose – uno dei miei dischi da isola deserta – e Orange Crate Art è sostanzialmente un disco di Parks, con Brian Wilson, forse finalmente uscito dal pozzo nel quale precipitò una quarantina d’anni or sono, come semplice vocalist.

Ammesso che l’uomo che è stato uno dei geni più mostruosamente sprecati della musica occidentale, possa essere un semplice vocalist.

Il disco non ebbe un grande successo.
Arrangiamenti orchestrali su musica sospesa fra il folk e la strana musica pre-ragtime che gli americani composero attorno agli anni ’10 del secolo scorso, testi ingannevolmente semplici.
Orange Crate Art (il brano che dà il titolo al disco) è una semplice canzone sulla vita in campagna.
Wings of a Dove pare fatta apposta per il nubifragio che la notte passata ha riversato 50 millimetri d’acqua sulla Valle Belbo.
Il resto è zeppo di nostalgia e di riferimenti cinematografici, fino a quel This Town Goes Down At Sunset, scritta da Mike Hazelwood, che avrebbe costituito l’ideale colonna sonora per le nostre peregrinazioni nicesi, lunedì sera.
Neanche cinquanta minuti di musica, ma belli.

Secondo i critici, Van Dyke Parks ci mise troppo impegno a voler fare un’opera d’arte.
Nessuno ha mai negato, d’altra parte, che ci sia riuscito.

Tokyo Rose rimane il mio disco-feticcio, ma Orange Crate Art mi culla nel caldo umido del Monferrato.

Addendum:
Suggerito dal commento del sempre puntuale Elvezio Sciallis… un campione del materiale…

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