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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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L’autore o il libro?

English: Harlan Ellison at the Harlan Ellison ...

Questo è un post estemporaneo che parte da una curiosa coincidenza – ieri ho sentito due opinioni opposte ventilate dalla mia amica Lucia (che sta nel braccio femminile del Blocco C della Blogsfera) e da Harlan Ellison (che non sta in rete, perché lui è Harlan Ellison).
E qui capirete che c’è una questione di lealtà in gioco – perché Ellison è un colosso, ma Lucia è un’amica mia.

La questione si può ridurre a una domanda – se non rispetto l’autore, posso apprezzare il suo lavoro?

Un paio di classici – se ne è anche discusso parecchio in rete – sono ad esempio Dan Simmons, ottimo narratore che si è lasciato scappare un racconto decisamente discutibile un paio d’anni addietro – o più recentemente Orson Scott Card, le dichiarazioni del quale hanno urtato una grande quantità di lettori.
E se poi uno va a spulciare, di grandi scrittori che hanno detto sciocchezze inammissibili ce ne sono stati tanti.

Ma, ok, ammettiamolo, sono persone esecrabili.
O per lo meno, sottoscrivono idee che ci fanno ribrezzo.
È giusto a questo punto cassare i loro libri?

“Io l’autore X non lo leggo perché è una persona che mi disgusta.”

Ma, e il libro? Continua a leggere


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Roger Ebert & Pacific Rim

Pochi minuti fa (o due giorni or sono, per voi che leggete questo post), mi sono sorpreso a fare una sciocchezza.
Nulla di terminale, badate, ma una sciocchezza che mi ha bloccato per un attimo, e mi ha spinto a scrivere questo post, di getto.

Pochi minuti fa (o due giorni or sono) mi sono colto sul fatto a digitare tre parole nella finestrella

Pacific Rim Ebert

Siskel and Ebert 2Il che è stupido.
Roger Ebert è morto, così come è morto Gene Siskel.
Le due persone che di più mi hanno insegnato sulla critica cinematografica, non ci sono più.
E io non posso assecondare quell’istinto, e andare a vedere cosa ne dice Roger Ebert, sul film di Guillermo del Toro.
L’opinione critica di Roger Ebert su Pacific Rim la sa Dio.
E Gene Siskel probabilmente non la condivide.

Ora, perché cercare l’opinione di Ebert su Pacific Rim?
Beh, per i soliti due motivi:

  • perché leggere Ebert che scriveva di cinema era ed è sempre un gran divertimento
  • perché di Roger Ebert io mi fido

E per vedere, in questo caso specifico, in quale campo Roger Ebert sarebbe cascato – se fra i miei amici che mi dicono che Pacific Rim è un’esperienza mistica, o fra i miei amici che mi dicono che Pacific Rim è letame fumante.

Ma tu non hai un’opinione tua?

… domanderà qualcuno.

pacific_rim_ver3No, perché il film non l’ho ancora visto.
E perché, a differenza di molti, non ho un investimento emotivo particolarmente elevato nella pellicola – non l’ho attesa con anticipazione, non ne ho letto su siti web e riviste, non credo di aver neanche visto un trailer intero (quelli che passano in TV sono rieditati).
Questo non perché io sia meglio di chiunque altro, o più intelligente, o maledettamente più colto.
È solo che a me Pacific Rim interessa un po’ poco*.
Ci sono pellicole – di prossima uscita, o uscite in passato – sulle quali il mio interese, e quindi il mio investimento emotivo, era ed è molto più alto.
Succede.

Il secondo importante motivo per cui cercavo, istintivamente, poco fa, l’opinione di Roger Ebert su Pacific Rim, è che desideravo una opinione… non imparziale, perché la critica non può essere imparziale, e non educata, perché i filtri culturali sono solo parte della fruizione del film.
Onesta?
Significherebbe tacciare di disonestà coloro che hanno recensito il film finora – molti li conosco, qui nel Blocco C, sono amici, li rispetto.
Non posso certo considerarli disonesti.
Non sono disonesti.
Autorevole?
Beh, in parte sì – Ebert non uscirebbe fuori tema; non ricorderebbe con gli occhi lucidi le serate passate a guardare Goldrake, non farebbe strani discorsi politici su Del Toro regista messicano traditore al servizio del Grande Diavolo Americano.
Ebert mi parlerebbe del film.
Senza onomatopee, senza neologismi dubbi, senza cazzate.
Senza esperienze mistiche e senza dannazioni infernali.

article-2304149-191849FA000005DC-105_634x418Ebert mi parlerebbe del film.
E non sarebbe possibile chiamarlo ignorante, dirgli che è uno che si fa imbambolare dagli effetti speciali, uno che non ha cultura, uno che non capisce, uno che non ama il cinema, uno che non c’era quando Zion sganciò la colonia su Sidney, uno che ama il passato, uno che vuole solo i blockbuster, un cvitico, un fighetto, uno pseudointellettuale, uno che guarda solo Truffaut…
No, perché lui è (era) Roger Ebert.
E basta.

Ebert mi direbbe la sua.
Aprirebbe il suo pezzo spiegandomi che il cinema di robottoni tira.
Citerebbe investimenti e incassi – non più di un paragrafo.
Poi mi direbbe che l’aspettativa per Pacific Rim è tale che qualunque opinione critica diventa irrilevante per il pubblico.
E poi mi direbbe la sua.
Su com’è stare in sala a guardare Pacific Rim.
E poi io andrei al cinema, e potrei vedere se ancora una volta condivido la sua opinione.
O se, ancora una volta, dovrei dare ragione a Gene Siskel.

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* Vent’anni fa leggevo una rivista che si intitolava Pacific Rim… ma si occupava di cultura, società e tecnologia nel settore del margine del Pacifico.


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Novel & Romance

La differenza essenziale fra “novel” e “romance” si ritrova nel concetto di caratterizzazione. Il romanziere (romancer) non tenta di creare “persone vere” quanto figure stilizzate che si espandono in archetipi psicologici. È nel romance che troviamo la libido, l’anima e l’ombra di Jung riflesse rispettivamente nell’eroe, nell’eroina e nel malvagio. Ecco perché il romance così spesso irradia un bagliore di intensità soggettiva che la novel non possiede, e perché una suggestione di allegoria alligna ai suoi margini. Certi elementi del personaggio sono lasciati liberi nel romance, che lo rendono una forma naturalmente più rivoluzionaria della novel. Il novelist si occupa della personalità, coi personaggi che indossano le loro personae o maschere sociali. Gli serve l’incastellatura di una società stabile, e molti dei nostri migliori novelist sono stati convenzionali al limite della pignoleria. Il romancer si occupa dell’individualità, coi personaggi in vacuo idealizzato per fabulazione e, per quanto possa essere conservatore, qualcosa di nichilista e di indomabile è probabile che emerga dalle sue pagine.
(Northorp Frye)

bodice_ripper_cover1

Copertina classica del romance, con in più rosmarino tattico.

Roba tosta.
Però, onestamente, quella qui sopra mi pare la miglior distinzione fra narrativa di genere e narrativa “seria” che mi sia capitato di incontrare in giro.
Chi fa genere è un romancer*.
Chi scrive mainstream è, almeno in prima battuta, un novelist.
Bello liscio.

E dire che tutto questo era cominciato per capire come, partendo dal piuttosto ampio “romance” si fosse arrivati, passando per bodice-rippers, copertine con Fabio e altri orrori, ad identificare con quell’etichetta solo un genere molto stretto, molto codificato.

La cosa è partita da ieri, dai Romance of Adventure di Stephen Jared, dalla perplessità (mia, dichiaratamente) riguardo all’uso del termine romance.
Tempo di leggere un paio di articoli, fare un po’ di ricerche.
Magari poi fare un pezzo tagliente su come si sia passati da passioni suggerite ad amplessi descritti.

E invece, oltre a trovare in Frye una bella distinzione sulla base della caratterizzazione, trovo anche, in Richard Chase, una bella distinzione sulla base della descrizione…

Senza dubbio la principale differenza fra novel e romance è il modo in cui esse vedono la realtà. La novel rende la realtà accuratamente e in elevato dettaglio.
[…]
Per contrasto, il romance, seguendo alla distanza il modello medievale, si sente libero di descrivere la realtà in minor volume e dettaglio. tende a preferire l’azione al personaggio, e l’azione sarà più libera in un romance che non in una novel, incontrando, per così dire, una minor resistenza dalla realtà.
(Richard Chase)

E questo è davvero meraviglioso*.
Non solo perché mi parla di differenti approcci narrativi, di forme che hanno un peso sul significato.
Ma anche perché in questa distinzione – ormai perduta? in italiano sia romance che novel diventaono romanzo– si annida io credo una certa tignosità degli ipercritici.
Che cercano nel romance il livello di dettaglio e realtà della novel, e non trovandola, si imbizzarriscono.
Scarsa dimestichezza coi parametri delle due modalità comporta l’applicazione di criteri simili a due forme espressive molto diverse – e di conseguenza ad una pessima critica.
E forse anche il pubblico, sempre più affamato di dettaglio e di “realtà” – e non di plausibilità – sente questa mancata distinzione formale.
Non male, eh?

Ma ne parleremo ancora.

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* il pezzo di Chase è preso da un saggio sull’American Novel uscito nel 1957, ed è una minima parte di un discorso molto più articolato che, per pigrizia, non ho avuto voglia di tradurre. Ma queste due o tre frasi rendon bene l’idea…


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Lettera aperta ad un critico inadeguato

Ciao.

Lo so, questa non te l’aspettavi, ma onestamente siamo arrivati a un punto in cui, o comincio a sbattere ripetutamente la testa sulla tastiera, o ti scrivo due righe.
Perciò, ti scrivo due righe.
Sai com’è.

Il fatto è, vedi, che l’imbarazzo comincia a farsi doloroso.
Sai quando vedi uno che si sta rendendo a tal punto ridicolo, in maniera così ferocemente imbarazzante, che cominci a sentirti male per lui, senti una fitta allo stomaco, una pressione sul diaframma, non riesci a staccare gli occhi da quello spettacolo orrendo ma ti senti male, male male…?
Così.
È l’empatia, dicono.

Ossessionato dall’empatia (e da un sacco di altre cose)

Philip Dick, per dirne uno, era fssato con l’empatia – ciò che distingue gli esseri umani dagli androidi, diceva.
Ecco, è anche colpa di Dick.
E di Clarke.
E di Vance.
E di tutti gli altri.
Il punto, per capirci, è che io amo molto la fantascienza, e la leggo da trentacinque anni (dio, mi sento vecchio), e non ho mai… MAI, credimi… mai letto opinioni così abominevolmente imbarazzanti, quanto quelle che tu scrivi.
Al confronto, la vecchia storia dei calamari parlanti in orbita è… no davvero, è una seria e circostanziata analisi critica del genere fantastico.

Però no, aspetta.
Cerchiamo di rendere costruttivo questo discorso.
A me non piace fare discorsi distruttivi e odiosi – sono uno scienziato, e voglio che ciò che faccio contribuisca a rendere le cose migliori. Continua a leggere


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Critica, recensione ed editing

Prendo l’avvio da una osservazione fatta ieri, e dal post di Black Gate Magazine Blog di qualche giorno addietro, per mettere giù una rapida serie di idee sfuse.
Poi da domani si torna a parlare di buoni libri ed altre amenità…

Cito me stesso e dico

io credo che sia crollata la distinzione fra critica, recensione ed editing

Credo di sì – per lo meno a un certo livello, per lo meno nella blogsfera (ma anche sul cartaceo cominciano a vedersi i segnali del crollo, e non da ieri).

Facciamo un po’ di chiarezza Continua a leggere


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Critici, recensori e la violenza superflua

Rapido post per segnalare un bell’articolo comparso oggi sul blog di Black Gate Magazine, e scritto da Bud Webster.
Sulla natura della critica – e di un certo taglio critico in particolare.

Why are so many critics seemingly determined, even eager, to show so much unreserved contempt for their subjects, to cross the lines of civility to devastate the reputation (not to mention the feelings) of the artists they write about?

Una lettura fondamentale.
Vivamente consigliato.


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La Beeb e il Times hanno toppato

Strana giornata per gli appassionati di genere.
Da dove cominciamo, dall’America o dall’Inghilterra?
Da Game of Thrones o dall’incacchiatura generica ma feroce di decine di autori di fantascienza e fantasy?

Cominciamo con l’America, perché il caso del New York Time è un esempio a più alto profilo di ciò che ha scatenato la crociata in UK, e perché voi siete comunque fan di George R. R. Martin…

Continua a leggere


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Come si scrive un articolo di critica

L’ultimo post suMalpertuis – che dovete leggere e guardare, perché è grande – mi ha fatto venire voglia di riascoltare la voce di Roger Ebert, e quella del suo vecchio complice, il compianto Gene Siskel.

Quello che segue è un pezzo girato nei primi anni ’90 per una serie di video destinati ai licei, sulla scrittura.
In particolare, Siskel & Ebert parlano di come si affronta un pezzo di critica – cinematografica o di altro genere.
Io lo trovo fantastico – e credo che un paio di persone là fuori dovrebbero farselo incidere come loop nelle sinapsi.

Mi dispiace, è in inglese – ma non è difficile.