Questo post parte da un commento lasciato sul solito Malpertuis in risposta ad un post particolarmente interessante.
Dateci un’occhiata.
Ieri ero a Torino.
Commissioni, un paio di visite ai soliti uffici delle tasse ai quale non risulta che io abbia pagato le tasse.
In serata una indispensabile (davvero!) partita a Realms of Cthulhu con la squadra del giovedì.
Niente da dire.
Mentre vagavo per la cintura torinese, ho anche scoperto un interessante grande-magazzino/vivaio dove hanno (evviva!) le felci canadesi che depurano l’aria dagli inquinanti aromatici, e dove ho acquistato una campana antisfiga taoista (modello extra-large, di quelle che scacciano anche i supermostri) da appendere alla finestra di casa per potrenziare il feng shui e tenere, appunto, la sfiga alla larga.
Tutti gli aiuti, in qualunque forma, sono beneaccetti.
Dopo aver fatto la coda alla cassa sentendomi come un carillon e dopo aver sistemato la mercanzia in macchina, mi sono fatto un giro nel centro comemrciale del quale il mio spacciatore di felci e campane tibetane è parte integrante.
Un’area grossa più o meno come il paese in cui vivo.
Colossale supermercato, una costellazione di negozi – tutti negozi di catena, tutti franchise.
Il genere di posto dove potetemangiare una fetta di pizza di scarsa qualità a qualsiasi ora, dove potere comperare una bottiglia di Coca-Cola da mezzo litro per due euro e mezzo da una macchinetta, dove potete vestirvi come tutti gli altri – a patto che non siate sopra la taglia 56 e che non vi importi di sembrare delle comparse in un video di MTV.
Molti negozi di scarpe.
Un posto in cui vendono camice.
Uno in cui vendono tende.
Un bar con un sacco di videopoker.
Sembrerebbe il posto ideale dove rifugiarsi in caso di apocalisse degli zombie.
Ma forse è un’idea vecchia.
Ora non starò a tediarvi con la faccenda del nonluogo, che tanto la conoscete meglio di me.
Non è di questo che mi va di parlare, non è questo che mi ispira il post di Elvezio.
Il fatto è chea un certo punto, complice un ginocchio dolorante, mi spiaggio su una comoda panca in cemento e mi guardo attorno.
Da dove sono seduto posso vederela gente che va e viene, e la folla che si aggira per il supermercato vero e proprio.
Solo uno su tre spinge un carrello o portaun cestino.
Gli altri hanno l’aria di chi sia entrato con un biglietto gratuito ad una mostra di qualcosa che sostanzialmentenon gli interessa.
Ed ecco che capita uno di quei momenti da manualetto dello zen quotidiano.
C’è una pausa nell amuzak di sottofondo e contemporaneamente, per quasi mezzo secondo, c’è il silenzio quasi assoluto.
È uno di quei momenti che capitano a volte in aula, proprio mentre stai commentando i polpacci della prof di matematica, o ad una festa mentre stai dicendo cosa pensi del dessert.
Ma qui non c’è la mia voce, tonante nel silenzio, a causare imbarazzo terminale.
No, qui il silenzio è assoluto.
Come cantava John Hiatt
avresti potuto sentir cadere uno spillo
avresti potuto sentire il tempo strisciare
Oltre la vetrata le persone continuano a vagare per ilsupermercato con l’aria di visitatori annoiati in un museo del consumo – gli scooter esposti vicino ai peperoni.
E mi coglie un’idea.
Siamo ormai più di sei miliardi su questo pianeta.
Troppi, lo diceva già Jacques Cousteau.
E se è vero che il 90% sta cercando di inventarsi un sistema per arrivare al domani, una fetta spaventosamente ampia del restante 10% sta facendo… quello che vedo oltre il vetro.
E se è vero che la vita dell’indio Yanomami, a caccia di scimmie-ragno nella foresta amazonica, è in fondo esistere più che vivere – nasci, cresci, uccidi scimmie, mangi scimmie, fai figli che cresceranno per ammazzare scimmie e mangiarle e per fare figli che ammazzeranno scimmie per mangiarle e faranno figli che ammazzeranno scimmie per mangiarle e faranno figli che ammazzeranno scimmie per mangiarle e faranno figli che ammazzeranno scimmie per mangiarle e faranno figli che ammazzeranno scimmie per mangiarle e faranno figli che ammazzeranno scimmie per mangiarle e faranno figli che ammazzeranno scimmie per mangiarle…
Felicità è un nuovo astuccio penico.
Beh, la gente dall’altra parte del vetro ha solo una scelta più ampia di astucci penici.
Con una sottile differenza.
Poiché lo Yanomami ha un po’ poche opzioni – ammettiamolo, vibe nudo in un ambiente estremamente stabile e non ha nozioni di storia che vadano oltre la memoria immediata…
Non dico che la sua sia una vita di cacca – ehi, chi sono io per criticare, giusto? – ma io preferisco avere le opzioni che mi offre la mia ppartenenza alla cultura occidentale.
Ho strumenti per apprendere, per comunicare, per cercare di realizzare me stesso, per cercare di lasciare un segno, per cercare di lasciare ai miei figli o ai miei nipoti unposto migliore di come l’ho trovato.
Oppure posso andare a fare un giro al supermercato, e poi a casa a vedere la partita.
O uno sceneggiato.
O un talk show.
O un documentario sugli Yanomami.
Guardare chi gioca invece di giocare.
Guardare chi vive le proprie passioni anziché vivere le mie.
Guardare chi discute dei problemi anziché discuterne.
Guardare il mondo come altri l’hanno visto invece di uscire ed andarlo a vedere.
E poi morire, senza lasciare traccia.
Uno zero nel bilancio dell’esistenza.
Cosa succederebbe, mi domando in quel mezzo secondo di silenzio assoluto, se tutte queste persone, nello stesso momento, cominciassero a voler sapere, creare, realizzarsi, esplorare i misteri dell’universo.
Se ciascuno di loro si dicesse che in fondo non ha bisogno di un nuovo cellulare o di frutta fuori stagione o di una camicia fatta in cina e pubblicizzata con manifesti osceni, e chiedesse invece di lavorare di meno, magari guadagnare un po’ meno, ma avere più tempo per leggere, scrivere, dipingere, suonare, giocare coi figli o vedere gli amici. Se improvvisamente tutti cominciassero a scambiarsi opinioni informate su fatti importanti, usando quei cellulari che hanno e quelle connessioni ADSL – connessioni veloci non per scaricare film o per andare a ballare discoteca in Second Life, ma per pensare, interagire, capire come vedono il mondo quelli che abitano laggiù.
Se improvvisamente non fosse più una questione di qual’è il colore delle strisce della maglietta dei miliardari che guardi giocare, ma trovare un prato, e un pallone, e giocare!
Cosa succederebbe, in altre parole, se questa gente la smettesse di esistere e cominciasse a vivere?
24 ore su 24, sette giorni su sette.
Se ciascuno di loro cominciasse a dedicare il proprio tempo libero non a far passere il tempo, ma a creare qualcosa da lasciare in vista del grande salto nel buio?
Perché tutti gli strumenti ci sono.
Ci sono libri e database per apprendere, e corsi, e strumenti per creare, e c’è un sacco di gente con un sacco di idee e un sacco di problemi da risolvere – e non c’è nulla di più eccitante che risolvere un problema, credetemi, non c’è romanzo o sceneggiato o partita di pallone che tenga…
Poi la muzak riparte, riparte il brusio, ed io mi ritrovo sulla mia panca di cemento, con un ginocchio che batte in testa ed una voglia sdi scappare a gambe levate che nessuna apocalisse degli zombie riuscirebbe a suscitarmi.
Meglio ascoltare un po’ di musica…
=-=-=-=-=
Powered by Blogilo