Ok, qualcosa di completamente diverso.

L'importante è crederci, vero?
Due sere or sono, durante il telegiornale regionale, un simpatico (ma neanche poi tanto) rappresentante di una finanziaria mi ha spiegato che nell’ultimo semestre le spese medie delle famiglie piemontesi sono calate di un 7-14%.
La cosa, a detta del gentiluomo, è rassicurante.
In questi tempi di crisi, il calo delle spese indica chiaramente che le famiglie piemontesi sono tornate a dare valore al risparmio.
Nel senso che stanno tornando a mettere da parte un piccolo gruzzolo, invece di bruciarsi i soldi in sciocchezze superflue come facevano prima.
Il che, alla luce di fatti che ciascuno di noi può agevolmente constatare giorno per giorno, è talmente sbagliato… meglio, è talmente falso, da lasciare assolutamente allibiti.
Il punto, infatti, è che il taglio alle spese non corrisponde affatto ad un accaparramento, ad un accumulo di ricchezza, bensì al fatto che i quattrini non bastano più per coprire tutte le spese, e quindi si taglia tutto il tagliabile, e si prega che le cose migliorino.
Nessuno sta salvando nulla – e chi aveva un gruzzolo da parte lo ha già dilapidato, o si trova ormai agli sgoccioli.
Ed è estremamente preoccupante che a livello istituzionale la situazione venga letta in maniera tanto irrealistica.
Sarebbe sufficiente parlare con un po’ di persone all’uscita dal supermercato per annullare qualsiasi illusione – ma la versione ufficiale torna a reiterare la leggenda dell’italiano risparmiatore, unica difesa contro la crisi.
Ed è vero – i risparmi degli italiani hanno dato fiato alla nostra economia… finché son durati.
Il mercato del lavoro è involuto, sclerotico e vecchio di un secolo.
I figli laureati vivono a spese dei genitori pensionati… e non è per pigrizia, bamboccionismo o chissà che altro, ma semplicemente perché chi avrebbe dovuto (politica ed economia) non ha sviluppato il mercato del lavoro abbastanza per accomodare persone con una preparazione superiore.
Sarebbe stato logico spostarsi in avanti, passare alle alte tecnologie, alla ricerca ed allo sviluppo, lasciando la manifattura ordinaria a paesi meno sviluppat, con un mercato del lavoro meno evoluto. Invece si è preferito mantenere lo status quo, abbassando i salari in modo da cercare disperatamente di rendere l’operaio non specializzato italiano competitivo con il lavoratore a cottimo cinese.
Che per di più, poverello, viene dipinto come una specie di orco.
L’avidità ci ha congelati da qualche parte a cavallo fra ‘800 e ‘900.
India e Brasile oggi sono nazioni all’avanguardia nell’hi-tech – noi esortiamo gli ingegneri a fare gli idraulici, o i ciabattini, o offramo loro contratti che non coprono le psese minime di sopravvivenza di un adulto.

Noi il treno ce lo siamo perso...
Si deve compensare col risparmio.
Ed ora i soldi – sempre meno, sempre più difficili da guadagnare – stanno finendo.

Sentimenti condivisibili
L’atteggiamento del gentiluomo in TV è particolarmente preoccupante, poiché è impossibile non ricordare quelle economie che crollarono miseramente, nella seconda metà del ventesimo secolo, poiché non solo la leadership aveva falsato le analisi economiche, ma poi aveva agito sulla base delle proprie false affermazioni.
È comprensibile, certo, se non giustificabile, che si tenti tutto il possibile per mantenere l’ordine e la tranquillità della popolazione, ma come recenti fatti di cronaca hanno dimostrato, abbandonare i cittadin a se stessi, e poi inventarsi delle scuse puerili per aver disatteso i propri obblighi, non è una politica vincente.
E mentre i posti di lavoro si fanno sempre più difficili da reperire, le aziende collassano e gli stipendi si volatilizzano, riprende a circolare la voce odiosa secondo la quale il lavoro c’è, e in abbondanza.
Sono solo i cittadini, come al solito, che non hanno voglia di lavorare.
Il mio amico Angelo Benuzzi, che sta tre celle più in giù lungo questo corridoio, e che in campo economico è molto più ferrato di me, dice che le cose devono cambiare.
Io temo la prima scintilla, poiché prevedo una terribile conflagrazione.
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