Estate, tempo di grigliate.
E di cibo disordinato.
Non è sempre caviale, e questo lo sappiamo, e può capitare, spulciando siti improbabili, di trovare ricette improbabili.
Possibile che The Paris Review abbia davvero pubblicato la ricetta dell’hamburger più gradito a Ernest Hemingway?
Possibile.
Ed è quasi una impresa di archeologia gastronomica, metterlo assieme.
Però suona… interessante. Continua a leggere →
Ieri – o forse è stato due giorni or sono – mi è stato segnalato un articolo nel quale sostanzialmente si identifica uno dei tratti distintivi della brutta narrativa di genere italiana nell’aver mutuato un lessico sbagliato da traduzioni dubbie e cattivi doppiaggi cinematografici.
Il risultato sarebbe che molti autori nazionali scrivono brutti libri, in un linguaggio che è una specie di traduttorese.
Meglio sarebbe parlare e scrivere in italiano di storie italiane, concludeva l’autore, citando alcuni film fondati sull’italianità che pare siano gli unici che vendono in America.
In parallelo, ho ripescato proprio ieri – o forse è stato due giorni or sono – un articolo comparso nel 2014 su The Paris Review, riguardo a come i film italiani – inclusi un paio di quelli citati nell’altro articolo – non piacciano più agli americani, che non li capiscono.
C’è stata un po’ di maretta, negli ultimi giorni, per ciò che riguarda i personaggi femminili.
Avete letto cosa è capitato a Joss Whedon, vero?
Non necessariamente ‘forte’…
Ora, io ammetto che, probabilmente perché ho un po’ di personaggi femminili in catalogo, queste controversie mi mettono sempre un po’ di nervosismo addosso.
Il discorso è che a me dispiacerebbe molto offendere qualcuno inconsapevolmente.
Nulla mi urta di più che scoprire di aver offeso qualcuno senza volere.
Se ciò che scrivo deve risultare offensivo per qualcuno, voglio che sia consapevolmente offensivo. E se possibile voglio avere una idea chiara di chi sto offendendo, come lo sto offendendo e perché lo sto offendendo – non mi piace sparare nel mucchio.
Resta il problema che il genere – in tutti i media, dalla narrativa ai giochi – al momento sembra da una parte ossessionato dai personaggi femminili forti, e dall’altra pare avere delle idee abbastanza confuse su cosa costituisca questa presunta forza – e nel dubbio, scatta l’indignazione di questa o quella parte del pubblico.
Il risultato è che da una parte abbondano un po’ troppo spesso a che fare con quei personaggi che sono stati stenograficamente descritti come uomini con le tette, mentre dall’altra qualunque personaggio femminile proviamo a scrivere si presta a una critica che rischia (Whedon, ricordate?) di diventare molto complicata.
OK, facciamoci due risate.
Anzi no, non c’è niente da ridere: hanno inventato una cosa che si chiama Clean Reader.
Si tratta di un’App che gira su tablet, sia iOS che Android, un reader che ripulisce il testo che state leggendo dalle parolacce.
Clean Reader impedisce che le parolacce (swear words, NdT) nei libri vengano mostrate sul vostro schermo. Siete voi a decidere quanto deve apparire pulito il vostro libro, e Clean Reader fa il resto.
Apparentemente ha quattro settaggi possibili
. Spento
. Pulito
. Molto pulito
. Senza macchia
Ho scoperto la cosa attraverso il blog di Chuck Wendig, e credo di condividere in pieno il suo giudizio, che fa più o meno così
Ok, parliamo di donne.
E di cavalli.
E di aerei.
E di Africa.
Beryl Clutterbuck nacque nel 1902 in Inghilterra ma nel 1906 suo padre, il colonello Charles B. Clutterbuck, decise di trasferirsi in Africa, per allevarci cavalli da corsa.
Sua moglie Clara ben presto fece i bagagli e tornò in patria con il loro unico figlio maschio, ma la piccola Beryl rimase a Njoro, nella Grande Valle del Rift.
Poi, un giorno, Beryl mise le sue cose in un paio di bisacce, montò in sella e se ne andò, per guadagnarsi da vivere come addestratrice di cavalli – la prima donna con una licenza da horse trainer in Africa.
Aveva 17 anni. Continua a leggere →