Quali sono i rapporti che legano il paesaggio britannico, le tradizioni popolari, la storia della Gran Bretagna e la letteratura fantastica?
Esistono parecchi libri indispensabili sull’argomento, dallo straordinariamente dotto Albion, di Peter Ackroyd, all’enciclopedico e monumentale The Lore of the Land di Westwood & Simpson.
Il recente 1The Land of the Green Man, di Carolyne Larrington, rappresenta una alternativa molto più accessibile dei due volumi qui sopra – un buon primo passo per scoprire il folklore delle isole britanniche non solo da un punto di vista storico, ma anche – abbastanza curiosamente – da un punto di vista morfologico. Continua a leggere →
Sta girando, qui nel Blocco C, è una specie di meme, ma non è stato studiato a tavolino.
Il nome è poco elegante ma è ok perché è preso da un film.
Il primo ad usarlo è stato Germano su Book & Negative, poi è stata la volta di Marina e Alessandro.
Oggi tocca a me – non che ci si sia accordati, però funziona.
Perché ha un senso.
Perché secondo me quelli che pensano ai motivi del come e perché hanno cominciato e si preparano la “storia del cesso”, sono quelli che non scrivono. Che il libro rimane nel cassetto perché ha bisogno della limatura eterna. Che non hanno mai tempo. E vivono aggrappati al sogno che sfuma sempre più. E non hanno nemmeno il brivido del rischio, come i poliziotti infiltrati, ma possiedono un Mac da tremila euro per sfogare la loro creatività, che è sempre in potenza e mai atto.
Io scrivo, e pubblico, e qualcuno di quando in quando mi legge.
E la domanda – ne avevamo parlato, vero? – del “cosa fai?/perché lo fai?” viene sempre fuori, in un modo o nell’altro.
E sì, ci sono quelli in gamba che hanno i demoni interiori, la furia creative, l’impeto di non so cosa.
Io no.
Io scrivo perché volevo essere come gli scrittori che mi piacevano.
L’ho già spiegato in passato – se si cresce leggendo fantascienza e fantasy non si viene solo esposti alle storie, ma anche al folklore.
Alla storia orale della narrativa fantastica.
Gli scambi di lettere fra H.P. Lovecraft, Robert E. Howard e C.A. Smith.
Kipling che manda lettere di complimenti a Burroughs. Walter B. Gibson che è amico di Houdini. Catherine Crook De Camp che tiene testa a Robert Heinlein, L. Sprague de Camp che chiama Asimov “Ike” e Ike lo detesta. Doc Smith che porta ciambelle per tutti.
Henry Kuttner che conosce la sua futura moglie C.L. Moore pensando che sia un uomo.
Ed Hamilton e Jack Williamson che scendono il Mississipi con una zattera. L’asma di Gordon R. Dickson, l’allergia ai graffi dei gatti di Piers Anthony, i problemi cardiaci di Cyril Kornbluth. Michael Moorcock ospite a casa di Harlan Ellison che gioca a billiardo e piange per il proprio matrimonio in frantumi, e scrive lettere a G.J. Ballard.
Il funerale di Fritz Leiber, con la bara aperta, e qualcuno che mette un whiskey e una sigaretta accesa nelle mani del morto – perché è così che avrebbe voluto andarsene.
Io ho cominciato a scrivere perché volevo essere parte di questa leggenda, di questo folklore.
Volevo essere come gli scrittori che ammiravo – magari non ricco, magari non esageratamente felice, ma… leggendario.
Sì, certo, mi piace scrivere – ma mi piacciono anche le frittelel di mele, però non faccio il frittellaio.
E chiaramente ho delle storie da raccontare – ma quelle le hanno tutti*.
Io, se devo essere onesto con me stesso, scrivo per questo – per essere parte di una tribù, di una cultura, di una storia. Il che, tra l’altro, spiega anche perché scrivo molto più volentieri in lingua inglese.
Perché oltremare la tribù l’ho trovata.
C’è, esiste, è la mia tribù.
Qui no.
Ma questa, naturalmente, non è la storia che racconto.
Quando mi chiedono come ho cominciato a scrivere, racconto di quando intrattenevo i compagni di scuola inventandomi delle storie, alle elementari.
Che non è falso.
Ed è molto più user-friendly.
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* Il che naturalmente non significa che siano in grado di raccontarle.
C’è un modo migliore di celebrare il periodo fra Natale ed Epifania, che leggendo un dotto saggio su una delle più antiche tradizioni (?) che proprio in questo periodo dell’anno vedeva il proprio culmine?
Non molti ricordano – ed ancor meno celebrano, cosa mai ci sarà da celebrare – le processioni di sinistrissime sagome che, secondo la tradizione, attraversavano i cieli e le campagne dell’Europa in epoca medioevale.
Ed anche prima, a sentire gli esperti.
Uno di questi esperti è il francese Claude Laconteux, già docente di letteratura e civiltà medioevale alla Sorbona, ed il suo Phantom Armies of the Night è il volume che mi tiene compagnia in queste notti.
Di cosa stiamo parlando?
Ma dela Caccia Selvaggia, naturalmente!