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Spade e Reality Show

Sarò completamente onesto.
Ho deciso di procurarmi qualche titolo della serie Rogue Angel per via delle copertine.
No, avanti, non fate quella faccia.
La copertina è fatta per vendermi il libro.
In questo senso, le copertine di Rogue Angel, per quel che mi riguarda, funzionano perfettamente.
Alcune meglio di altre.

Detto ciò, di cosa stiamo parlando.
Di pulp fiction, tanto per cambiare.
Scritti da un ipotetico autore di nome Alex Archer (in realtà un house name sotto al quale si nascondono vari pennivendoli), i romanzi della serie sono pubblicati da Gold Eagle (etichetta che fa ovviamente il verso alla leggendaria Gold Medal).
Questa è narrativa spudoratamente seriale e a formula.

L’idea di base – Annja Creed è cresciuta in un orfanotrofio, si è laureata in archeologia (probabilmente nella stessa scuola che ci ha dato Indiana Jones, Lara Croft e… ehm, Sydney Fox) e poi, in seguito ad una partecipazione al David Letterman Show, è diventata la presentatrice di una trasmissione sui misteri del passato.
Sì, una cosa alla Voyager.
Però, ad un certo punto, Annja si è ritrovata ad essere la nuova titolare della spada di Giovanna d’Arco (sapete come succede), e la spada ha questa strana tendenza ad attirare il male al fine di poterlo distruggere.
La vita della dottoressa Creed è piuttosto movimentata.

Due parti di Tomb Raider, una parte di Highlander, una parte di Witchblade.

Quindi – una premessa che può solo funzionare nel genere pulp, e che all’interno del genere si adatta a qualsiasi trama si voglia mettere giù.
Una manciata di personaggi ricorrenti, una protagonista originale ma non esageratamente, i soliti misteri da trasmissione TV, delle buone copertine.
Un romanzo ogni due mesi, dal 2006 a oggi.
Bello liscio.

Vale la pena?
Dipende in generale dalla vostra tolleranza alla narrativa a formula.
Io al terzo romanzo ho cominciato a vacillare.
nel senso che il primo è ottimo intrattenimento di basso livello – si legge rapido, offre un paio di scene interessanti, e via.
Il secondo anche.
Il terzo pure – ma cambia ben poco rispetto ai primi.
Trentotto volumi?
No, grazie.
Però non vorrei essere frainteso – chi legge questo genere di storie apprezza e cerca la formula, e quindi di solito non disprezza la ripetitività che io posso trovare dopo un po’ logorante.
Non intendo dare un voto a questi libri perché non ho l’abitudine di dare voti, ma la sufficienza abbondante è certa.

Aggiungo che ho acquisito i volumi esaminati (e alcuni altri, che lascerò per i momenti di noia terminale) in formato ebook, e avvalendomi di un sostanzioso sconto – anche se i circa 4 dollari a titolo non sono particolarmente traumatici.


1 Commento

Mummificato

[nota inquietante – è la terza volta che riscrivo questa recensione. Le prime due sono state cancellate da due successivi crash di Firefox – i primi in sei mesi… che sia un segno?]

Ordunque.
Gene Siskel e Roger Ebert, i critici del Chicago Tribune e del Chicago Sun-Times che con “At the Movies”, a partire dalla fine degli anni anni ’70 rivoluzionarono la critica cinematografica negli Stati Uniti, avevano segnalato come fondamentale regola per sopravvivere, della quale ogni spettatore dovrebbe far tesoro, tre semplici parole

EVITATE I SEQUEL

Avrei dovuto dar retta a quei due saggi.
ma d’altra parte, il primo film della serie de La Mummia – ma sono davvero passati nove anni? – mi era piaciuto, e se il secondo m’era garbato molto ma molto meno, il terzo, sottotitolato La Tomba dell’Imperatore Dragone, mi lasciava ben sperare – se non altro perché la presenza di Jet Li e Michelle Yeoh a fianco dell’ormai collaudato Brendan Fraser mi portava ad auspicare una sciocca ma godibile miscela di pulp e wuxia.
Sbagliato.
Cinque euro e – quel che è peggio – due ore della mia vita buttati.

Nonostante IMDB mi garantisca che il film dura 112 minuti, la prima metà è di una noiosità a tal punto monolitica e plumbea da causare nello spettatore un senso di angoscioso soffocamento, seguito da una dilatazione temporale del tipo che sostengono di aver sperimentato i rapiti dagli alieni, alla quale segue una dolorosa cappa di abbiocco.
La trama è al contempo stupidamente semplicistica ed inutilmente complicata, la regia non riesce a star dietro alle scene d’azione che anziché coinvolgere lo spettatore lo disorientano, e gli procurano un solido mal di testa.
La colonna sonora è invadente.
http://imagecache2.allposters.com/images/pic/CUP/G-164-150~Raiders-Of-The-Lost-Ark-Posters.jpg
Eppure non è difficile fare un sequel di un film come La Mummia – che per sua natura appartiene ad un genere che ha fatto della serialità e della serializzazione un proprio tratto caratteristico.
Si prendono la stessa trama e gli stessi protagonisti del primo film, si trasferisce l’azione dall’Egitto alla Cina… un cambio di costume, un cambio di fondali et voilà, il gioco è fatto.
C’è la formula di Lester Dent, disponibile a tutti da cinquant’anni.
C’è la vecchia formula dei serial cinematografici degli anni ’30 e ’40, le ricette della RKO.
Servono:

  • un eroe
  • una ragazza
  • una spalla comica
  • un misterioso straniero
  • un doppiogiochista
  • un cattivissimo
  • una buona fornitura di comprimari sacrificabili

Cosa succede: il cattivissimo vuole conquistare/distrugere il mondo ed al contempo smanacciare/porchizzare la ragazza; e sembra anche riuscirci, con l’aiuto dell’infido doppiogiochista. Ma poi, mentre i comprimari corrono in tondo e muoiono, l’eroe, conl’aiuto del misterioso straniero ed il supporto morale della spalla comica, salva il mondo. E la ragazza.
Soprattutto la ragazza.
Fine.
È tutto qui – da Le Miniere di Re Salomone a La Maschera di Fu Manchu, passando per I Predatori dell’Arca Perduta, Rocketeer e il primo La Mummia, la ricetta è questa.
Ma qui qualcuno è andato giù pesante con gli ingredienti, buttando in pentola, o piuttosto sullo schermo…
https://i0.wp.com/www.slashfilm.com/wp/wp-content/images/mummy3poster2.jpg

  • il vecchio eroe quarantenne
  • sua moglie, già ragazza in pericolo
  • il giovane eroe ventenne, figlio dei due di cui sopra
  • la spalla comica
  • l’altra spalla comica
  • la misteriosa straniera, già oggetto del desiderio del cattivissimo
  • la figlia della misteriosa straniera, straniera e misteriosa anch’essa, nonché ragazza in pericolo
  • il doppiogiochista
  • il cattivissimo
  • il cattivo
  • l’amante del cattivo

Troppa gente con troppo poco da fare – perché la sfida è rimasta la stessa, solo enfiata a dismisura.
Troppi oggetti dacercare, trovare, proteggere, distruggere, utilizzare.
Troppe località mistiche da visitare e devastare.
Troppi dialoghi banali e privi di spirito, recitati da attori in imbarazzo, con una snervante mancanza di umorismo che marca decisamente male in un film in cui ci sono ben due spalle comiche, che si ritrovano così senza nulla da fare.

Il numero eccessivo di protagonisti si associa ad una inquietante assenza, pressocché totale, di personaggi secondari e morituri, di vittime sacrificali, di innocenti passanti, di “casacche rosse”, per cui alla fine si ricava la strana impressione che il colossale conflitto messo in scena si svolga in un mondo spopolato e desertico, ad un milione di anni luce dalla nostra realtà, e senza alcun legame con essa.
E così, quando finalmente le due armate di zombie e guerrieri di terracotta si schiantano l’una contro l’altra in una battaglia epica che non può tuttavia non ricordarci una versione più costosa e più moscia de L’Armata delle Tenebre, il sentimento generale è che, vincano i buoni o vincano i cattivi, sì, ok, ma in fondo chissenefrega.

E poi basta.
Sconfitto il male,tutti al night club.
Il giovane eroe palpa la natica fodarata di lustrini della giovane non-più-così-misteriosa straniera mentre i suoi attempati genitori quarantenni pomiciano sullo sfondo, il bene trionfa, la spalla comica se ne và e noi restiamo con la promessa (la minaccia) di un quarto film.

Aggiungiamo alla sceneggiatura sciatta ed offensiva – dell’intelligenza del pubblico, oltre che delle basi del genere – ed alla regia indifferenziata un Jet Li che pare davvero mummificato, una Maria Bello clamorosamente fuori parte (l’interprete originale, Rachel Weisz, apparentemente ha letto il copione e dato picche) ed una barcata di effetti speciali di routine, ed il risultato è assolutamente desolante.

È brutto vedere il cinema di genere fare questa fine.