Angel Dare non si chiama davvero così. È il suo nome d’arte, adottato quando, a vent’anni, è entrata nel mondo della pornografia. È stata una superstar, Angel Dare – ha vinto premi, ha fatto un sacco di soldi. E dopo nove anni di onorata attività ha cambiato mestiere, aprendo una agenzia per attrici pornografiche, prendendosi cura degli interessi di ragazze che per vivere fanno film per adulti. Perché è un lavoro come un altro, e vale lapena di farlo con uno straccio di dignità.
Poi, una sera, Angel accetta di vedere un vecchio amico per fargli un favore. È una specie di emergenza, Sam è a corto di una ragazza, dieci minuti d’azione, in nome dei vecchi tempi…
In capo a poche ore Angel viene malmenata, violentata e lasciata per morta nel bagagliaio di una macchina. E non ha idea del perché.
Perciò decide di scoprirlo.
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Il primo Quarry
Natale 1970.
Iowa State University.
Quarry, un giovane reduce del Vietnam, è appostato in una villetta sfitta a qualche chilometro dal campus.
Bravo ragazzo del Midwest, Quarry in Vietnam ha imparato un mestiere.
Quarry in Vietnam faceva il cecchino.
Legittima difesa preventiva.
Ora Quarry è tornato, e fa il killer per conto del Broker, una sorta di manager per specialisti un po’ fuori dal comune – un giorno li chiameranno contractor.
E qui, all’università dell’Iowa, Quarry è appostato dirimpetto alla villetta nella quale un docente universitario di scrittura creativa con una propensione per il sesso orale palleggia un paio di complicate relazioni con due sue studentesse.
Ed è già morto, il prof, ma non lo sa.
Il professore scrive “romanzi di non-fiction”.
Già solo per questo, Quarry lo accopperebbe volentieri anche gratis.
Il fatto che lo paghino, per accopparlo, rende più sopportabile il freddo.
Ma le cose, naturalmente, si complicheranno.
Cinquanta-a-uno
È bello avere degli idoli che non sono ancora morti.
Ci aiuta a sentirci giovani.
Ci sono giorni in cui mi basterebbe essere Charles Ardai.
Giovane – beh, ha praticamente la mia età – ricco, soddisfatto del proprio lavoro.
Ex bambino prodigio delle dot.com, fondatore di Juno, imprenditore dell’era digitale riciclatosi come narratore ed editore.
Charles Ardai, che ha vinto un Edgar.
Charles Ardai, il marito di Naomi Novik.
Charles Ardai quello di Gabriel Hunt.
Charles Ardai, quello della Hard Case Crime.
Festa della repubblica.
Sono qui con gli occhi infiammati per overdose di microscopio in fisico debilitato da allergia primaverile.
Penombra.
Té freddo.
Un po’ di musica in sottofondo.
E un libro.
Questa è una strategia evolutiva garantita e indispensabile – avere sullo scaffale un paio di libri (meglio cinque) per i momenti di necessità.
Ben stampati su carta color crema perché siano delicati con gli occhi.
Ben scritti, perché altrimenti non vale la pena di leggerli.
Ed il genere di storie che anche con la febbere a quaranta sareste capaci di divorare.
Sullo scaffale, alla voce “In caso di necessità rompere il vetro”, c’è anche Fifty-to-One, cinquantesimo volume pubblicato dalla Hard Case Crime, e scritto da Ardai con una carica ironica ed iconica da un megatone.
L’autore si proietta all’indietro di cinquant’anni, nell’epoca d’oro dei paperback originals e immagina una storia parallela della propria casa editrice – qui fondata da un cialtrone per capitalizzare sulla popolarità dei pulp, finché non capita di pubblicare la storia vera di un contabile della mafia che ha gabbato il proprio mammasantissima, e da lì le cose si fanno decisamente interessanti.
Anche con gli occhi in subbuglio, il libro si legge con una rapidità preoccupante.
Lieve come panna montata, c’è dentro tutto.
L’ufficio scalcinato che confina con una agenzia per ballerine e modelle, la ragazza venuta dalla provincia in cerca di fortuna, il boss della malavita italoamericano, le scazzottate, gli inseguimenti, l’intrigo, la valigia piena di quattrini…
La copertina, da sola, vale il prezzo di ammissione – come spesso accade con la Hard Case Crime.
Il fatto che ilromanzo sia in cinquanta captoli, ciascuno intitolato come uno dei cinquanta volumi della collana usciti fino a quel momento, è il classico giochino scemo che diverte noi nerd.
Ci sono giorni in cui mi basterebbe essere Charles Ardai.
Che ora pare abbia pure prodotto un serial basato sul più famoso dei volumi della Hard Case – quello scritto da Stephen King.
Nuovo libro al primo piano
Il nuovo libro del primo piano lo sto centellinando.
Si tratta di The Dead Man’s Brother, un thriller spionistico scritto da Roger Zelazny.
Zelazny tocca centellinarlo, perché finito quel che c’è, non ce ne sarà più – l’autore americano è scomparso nel 1995, e pur avendo lasciato dietro di se un abbondante catalogo, ad ogni nuova lettura si sente chiaramente che la scorta si va esaurendo.
The Dead Man’s Brother è un caso un po’ particolare perché in primo luogo non si tratta di fantascienza o fantasy – i generi d’elezione di Zelazny – ma di un thriller – l’unico esperimento di Zelazny col genere.
Il manoscritto rimase perduto per oltre trent’anni fra le carte dell’autore, ed è stato dato alle stampe in anteprima assoluta nel febbraio dell’anno passato, dalla solita Hard Case Crime.
Scritto negli anni ’70 – probabilmente nel 1970 0 1971 – il romanzo presenta il solito eroe freddo ed analitico, ma ironicamente distaccato, così tipico di tanti lavori di Zelazny, alle prese con un oscuro caso di fondi vaticani sottratti da un sacerdote truffaldino.
Con un corollario di traffico d’armi e politica sudamericana.
Le cose che si inventano, eh, questi scrittori…
Come si può evincere dalla copertina, la storia non rimane a lungo negli algidi corridoi di San Pietro.
Ciò che non manca di sorprendere, nel leggere questo Zelazny perduto e ritrovato, è la qualità della prosa dell’autore americano.
Zelazny è precisissimo quando serve, ma il suo linguaggio rimane lieve e quasi giocoso.
Non so se The Dead Man’s Brother riuscirà a rimpiazzare quello che io considero il più grande libro di Roger Zelazny – l’incredibilmente idiosincratico, stupefacente A Night in the Lonesome October – ma di sicuro promette bene.
Molto bene.
Ma devo farlo durare almeno una settimana – quindi non più di cinquanta pagine ogni sera.

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Nessuno lo fa meglio
Ho appena finito di lodare Charles Ardai e la sua Hard Case Crime, ed ecco che il giovane scrittore ed editore americano piazza un altro colpo esemplare.
Scrivo scosso da un parossismo di sghignazzi…
Hard Case Crime si prepara a pubblicare per il prossimo Natale una nuova edizione de La Valle della Paura, di Arthur Conan Doyle.
Sì, quel Conan Doyle, quel Valley of Fear.
Il famoro romanzo della serie di Sherlock Holmes riceve tuttavia il trattamento Hard Case.
Nuova copertina, nuova tagline, nuova quarta di copertina…
YEARS AGO, A P.I. OUT OF CHICAGO
BROUGHT JUSTICE TO A DIRTY TOWN.NOW HE’S GOING TO PAY.
A sawed-off shotgun blast to the face leaves one man dead—and reveals a secret that has pursued another across an ocean and set the world’s most ruthless criminal on his trail. The man needs the help of a great detective…but could even Sherlock Holmes save him now?
- The legendary classic re-presented, Hard Case Crime style
- Edgar Award winner Leslie Klinger on THE VALLEY OF FEAR: “The first real hardboiled detective story.”
- By the best-selling author of THE LOST WORLD
- Inspired by a true story!
“Ispirato ad una storia vera!”
Assolutamente geniale.
Chiunque riesca a farmi seriamente pensare di acquistare un romanzo del quale devo avere almeno tre copie solo per la presentazione, e me lo vende per meno di cinque euro, entra di diritto nella schiera dei miei idoli.
Lo voglio.
Anzi.
Credo ne ordinerò una manciata, e li userò come strenna natalizia per i miei amici devoti del Grande Detective…
In fondo, costa meno di un brutto biglietto d’auguri.

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