Sono le 21.45 dell’8 novembre.
Fuori fa freddo, soffia un vento gelido e Urbino si prepara a festeggiare.
A differenza di gran parte delle altre cittadelle universitarie sparse per il paese, la festa a Urbino comincia la sera del giovedì, non al venerdì – la maggior parte degli studenti sono qui in collegio o in alloggi condivisi, e al venerdì, finite le lezioni, tornano a casa.
Il venerdì sera, Urbino è un mortorio.
La festa è al giovedì.
Ma io non faccio festa, sono barricato nella mia stanzetta in collegio dopo una cena abbastanza frugale, e sconto l’errore più grave della mia vita: l’aver lasciato a casa la radio.
Il silenzio sarebbe già insopportabile di suo, anche senza essere turbato dal mio vicino di stanza -un troglodita rumoroso e insopportabile; ho ascoltato le sue telefonate (una francamente imbarazzante), l’ho sentito cantare sotto la doccia.
Ora tremo in attesa del suo ritorno dalla cena.
La notte, in attesa di un sonno che stenta ad arrivare, si lascia presagire maledettamente lunga.
Mi tiene compagnia, grazie al cielo, La Paziente N. 9, del mio amico Alessandro DeFilippi (che oltretutto legge questo blog, e si becca una quasi-recensione a tradimento).
Il libro è appena uscito per Mondadori, un bel rilegto rigido antiproiettile con una copertina bella inquietante e con appena un accenno di zombie che non c’entra nulla ma immagino venda qualche copia in più.
Che poi, di buoni motivi per comperarlo e leggerlo, La Paziente N. 9, ce ne sono parecchi, anche senza tirare in ballo copertine vagamente ingannevoli.