strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


4 commenti

Case di vetro e Google Translate

94e43c10d0c9b6505639723928f580b82765ab8dGli anglosassoni dicono che chi vive in una casa di vetro non dovrebbe tirare pietre.
Strana gente.
Il fatto è che la traduzione fa un po’ perdere ritmo al proverbio, lo annacqua, lo sgasa… il sapore diventa piatto.
È uno dei rischi che si corrono con le traduzioni.

Molti anni or sono, Philip K. Dick si inventò un gioco – un gioco, badate bene, che all’epoca lui poteva solo immaginare, perché la tecnologia alla base di questo gioco all’epoca non era disponibile.

Descritto in Galactic Pot Healer (Giù nella cattedrale, qui da noi) il gioco consiste nel passare un breve testo ad un traduttore automatico, facendo più passaggi, per lingue diverse, fino a ritornare alla lingua di origine.
I giocatori devono indovinare la frase originale.

Negli anni ’90, morto Dick ma divenuta disponibile la tecnologia, noi ci giocavamo usando un programma che si chiamava Italian Assistant.
Machine translation è il nome di questo tipo di tecnologie.
Oggi c’è Google Translate. Continua a leggere


14 commenti

Io e il barista di Del Piero

Non ho mai letto i romanzi di Giorgio Faletti.
Questo non per snobismo, ingiustificato senso di superiorità o qualche altra baggianata.
Oh, ho sentito storie, certo, da amici che li hanno letti.
Di soli che tramontano ad est.
Di strane espressioni che parevano cattive traduzioni dall’inglese.
Ma non è per questoche non ho mai letto quei libri.
È semplicemente che ci sono libri che mi interessano di più – e questo non è un giudizio di merito, è semplicemente una questione di gusto – o mancanza del medesimo – personale.

Da qualche settimana, d’altra parte, la faccenda degli anglicismi sospetti circola su giornali e siti web.
Per chi se la fosse persa – due traduttrici (scopro solo oggi quanto quotate) hanno notato quelli che giudicano un po’ troppi anglicismi illeciti nell’ultimo volume dell’opus falettiano.
Cose tipo chiamare grandi (grands) i pezzi da mille – che sarebbero poi testoni o zucche, oppure bigliettoni, in italiano, o a voler essere etnocentrici, gambe, nel gergo della mala piemontese.
Oppure dire non girare intorno al cespuglio invece di non menare il can per l’aia.
Cose così.

Oggi, complice La Stampa in penuria di grosse notizie estive, l’autore incriminato pubblica la propria autodifesa.

giorgio-faletti.jpgOra, poiché poco mi cale dei romanzi di Faletti (se non per la loro natura di fenomeno letterario in un paese nel quale ostinatamente e fieramente non si legge – e varrebbe la pena farci sopra un post a parte), ancor meno mi cale della presenza di simili brutture nel testo dell’autore, o della ragione di tali brutture.
Davvero Giorgio Faletti si serve di un ghostwriter di lingua inglese che poi viene tradotto in maniera barbina, magari utilizzando (orrore!) un software come il vetusto, famigerato Italian Assistant?
Certo è un bel giallo, ma mi lascia un po’ il tempo che trova.

Se dovessi proporre una mia interpretazione, basata esclusivamente sui dati disponibili, direi che Faletti (come molti altri) semplicemente legge troppo in inglese e troppo in cattiva traduzione, e certe forme lessicali che si appiccicano addosso – tanto per dire – al mio modo di parlare e di scrivere, si appiccicano pure al suo.
Poi, lì la palla passa agli editor.
E quando uno scrive bestseller dovrebbe avere degli editor anfetaminici – ma evidentemente no.

No, non è la faccenda della vera origine di Io sono Dio – neanche fosse la Sindone – che mi porta a postare questa notte.
Né la figura francamente antipatica e supponente che l’autore decide di dare di sé, in quella che vorrebbe essere una difesa del proprio operato, sarebbe sufficiente a destarmi dal torpore.
Frasi del tipo…

Devo dire che ho inizialmente osservato con un certo divertimento il nascere di questa polemica balneare e non ho ritenuto opportuno disturbare queste due signore mentre si godevano i loro cinque minuti di popolarità.

… non hanno bisogno di commenti.
Che la difesa vada poi a chiudersi sulla solita questione dell’invidia da parte di persone alla ricerca di un attimo di notorietà, è una faccenda che avevamo già dissezionato a lungo in passato – su questo ed altrui blog – e rimane inspiegabile nella sua banalità.
Passi l’antipatia, ma a livello argomenti ci si aspettava di meglio, a fronte dei volumi di vendite che in chiusura ci viene ammanito a mo’ di spiegazione e giustificazione di… beh, di tutto.

Ma come dicevo, non è neanche questo, che mi fa imbizzarrire.
NO, quello che proprio mi è andato contropelo è questo…

A questo punto tuttavia, essendo anche un essere umano, concedetemi, una breve risposta alle mie due amiche pluriblasonate. Non ho motivo di dubitare del valore della signora Franca Cavagnoli come traduttrice. Ma il fatto che si traducano dei Premi Nobel a volte può essere fuorviante e indurre a facili entusiasmi, che andrebbero tenuti a bada. Non credo che il barista di Del Piero nel tempo si sia convinto di saper tirare le punizioni anche lui.

Che è una colossale castroneria.
Una dimostrazione di ignoranza e di supponenza inammissibile in una persona che pratichi l’editoria – foss’anche l’editoria amatoriale: anche l’ultimo fanzinaro derelitto, nella sua cantina, se non è completramente decerebrato (e naturalmente ce ne sono), rispetta i traduttori bravi.
E sostenere che tradurre un testo non comporti una conoscenza dei meccanismi narrativi, dello stile, della sintassi e della lingua – di quegli strumenti cioé che si presumono in possesso di uno scrittore – è calunniare una categoria già ampiamente bistrattata e cronicamente malpagata nel nostro paese.
Tradurre significa non solo convertire un vocabolario in un altro, riordinando magari le frasi, ma anche e soprattutto mediare, interpretare e reinterpretare il testo.
Sono possibili traduzioni più o meno vicine al testo.
Oh, garantito, esistono traduttori cani, così come esistono scrittori cani.
Ma paragonare una traduzione al fare un caffé, e negare qualsiasi legame fra traduttore e narratore è una assurda dimostrazione di arroganza.
E con buonapace del barista di Del Piero, al quale in questo momento và tutta la mia simpatia, il paragone non regge, è offensivo e dimostra una ignoranza che difficilmente si può compensare col coraggio delle proprie convinzioni.

E, soprattutto, si tratta del genere di ragionamento che potrebbe fare uno che utilizza Italian Assistant per fare le proprie traduzioni.
Dopotutto, cosa deve saper fare ormai, il mio amico barista che prepara il caffé ai calciatori, se non inserire la cialda e tirare una leva?

Powered by ScribeFire.