Ammettiamolo – di tutte le possibili edizioni di Darker than you think di Jack Williamson, possiedo quella con la copertina più schifosa.
È un dato di fatto, come vedrete dalle altre immagini che illustrano questo post.
Il fatto è che sono stato contattato da un’amica, che mi ha chiesto se stavo progettando un post sul capolavoro science-fantasy di Jack Williamson. Il che mi ha sorpreso un po’, dato che ero assolutamente certo di aver già postato su questo romanzo.
Ma mi sbagliavo.
Falsi ricordi e tutto il resto.
Quindi, per rimediare alla mia omissione, sto pubblicando su Darker than you think sia qui che sul mio blog in inglese.
Si tratta di un romanzo del 1948 in cui compaiono lupi mannari, donne nude e una tigre dai denti a sciabole. Non possiamo sbagliare, giusto? Continua a leggere
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La Storia del Cesso
Sta girando, qui nel Blocco C, è una specie di meme, ma non è stato studiato a tavolino.
Il nome è poco elegante ma è ok perché è preso da un film.
Il primo ad usarlo è stato Germano su Book & Negative, poi è stata la volta di Marina e Alessandro.
Oggi tocca a me – non che ci si sia accordati, però funziona.
Perché ha un senso.
Perché secondo me quelli che pensano ai motivi del come e perché hanno cominciato e si preparano la “storia del cesso”, sono quelli che non scrivono. Che il libro rimane nel cassetto perché ha bisogno della limatura eterna. Che non hanno mai tempo. E vivono aggrappati al sogno che sfuma sempre più. E non hanno nemmeno il brivido del rischio, come i poliziotti infiltrati, ma possiedono un Mac da tremila euro per sfogare la loro creatività, che è sempre in potenza e mai atto.
Io scrivo, e pubblico, e qualcuno di quando in quando mi legge.
E la domanda – ne avevamo parlato, vero? – del “cosa fai?/perché lo fai?” viene sempre fuori, in un modo o nell’altro.
E sì, ci sono quelli in gamba che hanno i demoni interiori, la furia creative, l’impeto di non so cosa.
Io no.
Io scrivo perché volevo essere come gli scrittori che mi piacevano.
L’ho già spiegato in passato – se si cresce leggendo fantascienza e fantasy non si viene solo esposti alle storie, ma anche al folklore.
Alla storia orale della narrativa fantastica.
Gli scambi di lettere fra H.P. Lovecraft, Robert E. Howard e C.A. Smith.
Kipling che manda lettere di complimenti a Burroughs.
Walter B. Gibson che è amico di Houdini.
Catherine Crook De Camp che tiene testa a Robert Heinlein, L. Sprague de Camp che chiama Asimov “Ike” e Ike lo detesta.
Doc Smith che porta ciambelle per tutti.
Henry Kuttner che conosce la sua futura moglie C.L. Moore pensando che sia un uomo.
Ed Hamilton e Jack Williamson che scendono il Mississipi con una zattera.
L’asma di Gordon R. Dickson, l’allergia ai graffi dei gatti di Piers Anthony, i problemi cardiaci di Cyril Kornbluth.
Michael Moorcock ospite a casa di Harlan Ellison che gioca a billiardo e piange per il proprio matrimonio in frantumi, e scrive lettere a G.J. Ballard.
Il funerale di Fritz Leiber, con la bara aperta, e qualcuno che mette un whiskey e una sigaretta accesa nelle mani del morto – perché è così che avrebbe voluto andarsene.
Io ho cominciato a scrivere perché volevo essere parte di questa leggenda, di questo folklore.
Volevo essere come gli scrittori che ammiravo – magari non ricco, magari non esageratamente felice, ma… leggendario.
Sì, certo, mi piace scrivere – ma mi piacciono anche le frittelel di mele, però non faccio il frittellaio.
E chiaramente ho delle storie da raccontare – ma quelle le hanno tutti*.
Io, se devo essere onesto con me stesso, scrivo per questo – per essere parte di una tribù, di una cultura, di una storia.
Il che, tra l’altro, spiega anche perché scrivo molto più volentieri in lingua inglese.
Perché oltremare la tribù l’ho trovata.
C’è, esiste, è la mia tribù.
Qui no.
Ma questa, naturalmente, non è la storia che racconto.
Quando mi chiedono come ho cominciato a scrivere, racconto di quando intrattenevo i compagni di scuola inventandomi delle storie, alle elementari.
Che non è falso.
Ed è molto più user-friendly.
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* Il che naturalmente non significa che siano in grado di raccontarle.
Frederik Pohl (1919-2013)
L’anno terribile del fantastico prosegue con la scomparsa di Frederik Pohl, ultimo grande vecchio della fantascienza americana.
Leggendaria la sua lunga collaborazione con Cyril Kornbluth, che gettò le basi di quella che sarebbe stata chiamata “fantascienza sociologica” – e della quale possiamo ricordare il classico I Mercanti dello Spazio.
Essenziale anche il lavoro svolto in coppia con l’altro colosso dell’età dell’oro, Jack Williamson.
E in solitaria, la produzione di decine di romanzi e racconti fondamentali, frai quali vale la pena di menzionare per lo meno Gateway, e le storie del ciclo degli Heecee.
Pohl fu anche l’uomo che colpì con un destro alla mascella Isaac Asimov, durante una movimentata sessione del club dei Futurians.
Noi vogliamo ricordarlo così.
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- Galaxy – November, 1956 (yellowedandcreased.wordpress.com)